Lucrezia Borgia e il suo difficile cammino nella storia - Treccani - Treccani

«Madonna più che mai tranquilla, umile,/ con tai parole e ‘n sì cortese affetto/ mi si mostrava, e tanto altro diletto,/ ch’asseguir no ‘l poria lingua né stile»

(Pietro Bembo, Rime, LXXXIX)

Vi è un ritratto, conservato alla National Gallery of Victoria di Melbourne, che per molti anni venne indicato come Ritratto di un giovane, di artista sconosciuto, ma che nel 2008 fu identificato come l’unico dipinto, a opera di Dosso Dossi, raffigurante con certezza la più controversa tra le donne del Rinascimento, Lucrezia Borgia, figlia illegittima di Alessandro VI (Rodrigo Borgia), l’«infame» o la «bastarda del papa», come fu più volte appellata nel corso dei secoli, morta a 39 anni il 24 giugno 1519: le uniche altre sue raffigurazioni accertate appaiono in alcune monete, mentre ancora si discute, per esempio, se sia Lucrezia la dolcissima ragazza bionda affrescata dal Pinturicchio nella Disputa di Santa Caterina, nell’Appartamento dei Borgia al Vaticano, o la Flora a seno nudo di Bartolomeo Veneto, conservata allo Städel Museum di Francoforte. Lo stupore non fu poco perché quel ritratto restituiva un’immagine di Lucrezia difficilmente ricomponibile con quella tramandata: una donna così poco seducente da essere scambiata per un ragazzo, priva di gioielli, con i famosi «capelli più simili a oro che ad altro» (Pietro Bembo) raccolti dietro la nuca, in un casto abito nero e – con riferimento alla sua devozione religiosa – un cartiglio in latino che recita «La virtù che vi regna è più splendida di quella del corpo».

Sposata una prima volta a 13 anni con Giovanni Sforza da Pesaro il quale, in seguito all’annullamento del matrimonio imposto da Alessandro VI perché venutogli scomodo, gettò su di lei il sospetto di una relazione incestuosa col padre, poi nuovamente a 18 con il giovanissimo e adorato Alfonso d’Aragona, fatto uccidere dal fratello di lei Cesare (il “Valentino”) nel 1500 affinché potessero organizzarsi nozze più convenienti, e infine una terza due anni più tardi con Alfonso I d’Este, Lucrezia fu strumento politico nelle mani del padre e del fratello, ma divenne tra i contemporanei anche mezzo di propaganda anti-Borgia, responsabili principali della “ruina d’Italia”, nonché, nelle epoche a venire, soprattutto in ambiente riformato, simbolo della corruzione del papato e poi, ancora, nell’Ottocento strumento dell’anticlericalismo romantico. È stato così molto difficile per gli storici districarsi tra mito misogino e realtà.

Tra i primi e più sprezzanti suoi denigratori contemporanei, vi furono Guicciardini, Iacopo Sannazzaro e Giovanni Pontano, che fecero eco alle dicerie sul presunto incesto con il padre e i fratelli, una ipotesi non supportata, ma che nei secoli successivi sarebbe stata presa acriticamente per vera. Anche Leibniz, più di un secolo dopo, con polemica anticattolica avrebbe enfatizzato la corruzione dei Borgia, ma fu soprattutto Victor Hugo, con la tragedia a lei intitolata (1833) e trasposta poi nell’opera di Donizetti (1855), a creare lo stereotipo negativo, difficilmente superabile, della Lucrezia crudele avvelenatrice.

Nell’Ottocento però la figura di Lucrezia iniziò anche a essere approfondita da un punto di vista storico: venne pubblicata nel 1859 la corrispondenza con l’amato Bembo e s’iniziò a gettare maggior luce sulla sua attività di animatrice culturale della corte estense. Nel 1874 uscì Lucrezia Borgia di Ferdinand Gregorovius, che iniziò anche in Italia a demolire il mito romantico che la condannava, e nel 1877 fu pubblicato Le Renaissance. Scènes historiques di Gobineau, che la dipingeva come donna dotta capace di discutere con Ariosto e Bembo di letteratura e politica.

Dopo l’Unità in Italia gli studi si moltiplicarono, producendo una storiografia che oscillava tra “colpevolisti” (Lucrezia frivola e dissoluta complice dei parenti) e “innocentisti” (vittima della storia). Nel Novecento in Italia cercò di scalfire il mito negativo il romanzo di Maria Bellonci (1939), fondato su accurate indagini, che senza fini apologetici volle però dimostrare l’inconsistenza delle accuse di incesto, e che si concentrò sul periodo ferrarese – quello della Lucrezia più matura, con responsabilità politiche e apprezzata animatrice culturale di una corte vivace – piuttosto che sul periodo romano: quello degli scandali e degli intrighi.

Più recentemente sono stati compiuti studi archivistici sulla sua attività di affidabile e apprezzata amministratrice del ducato ferrarese e sono state inoltre scoperte le lettere con il suo confessore e confidente Tommaso Caiani, seguace di Savonarola, studiate dalla storica Gabriella Zarri: è qui che ci riconduce il ritratto di Dosso Dossi, a una figura storica di grande consistenza e complessità, di religiosità non irriflessa, il cui ruolo politico e la cui influenza culturale sono ancora almeno in parte da ricostruire e ricollocare con più oggettività nel contesto storico.

Immagine: Il ritratto di Lucrezia Borgia di Dosso Dossi (1518 circa). Crediti: (National Gallery of Victoria) http://www.paradoxplace.com/Perspectives/Italian%20Images/images/PPPortraits/Borgias/AFd102127websuitable.jpg [pubblico dominio], attraverso it.wikipedia.org

© Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani - Riproduzione riservata

    Argomenti

    #Ariosto#ritratto#Lucrezia Borgia