Cosmo: “Gioco col corpo e amo i suoni essenziali. Non faccio solo dischi politici ma sto dalla parte di Ghali” - la Repubblica

Firenze

L’intervista

Cosmo: “Gioco col corpo e amo i suoni essenziali. Non faccio solo dischi politici ma sto dalla parte di Ghali”

Cosmo: “Gioco col corpo e amo i suoni essenziali. Non faccio solo dischi politici ma sto dalla parte di Ghali”

Prima nazionale del nuovo tour a Firenze (al Teatro Cartiere Carrara il 30 marzo) per il cantautore “antipop”. “La cosa che mi fa paura di questo governo è che smantelli lo stato sociale fingendosi amico del popolo”

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Aggregazione, socialità, riflessione. Sono le parole d’ordine dei concerti di Cosmo, il cantautore piemontese sempre più capace di coniugare la club music con le tensioni emotive, politiche e poetiche del cantautorato. Al secolo Marco Jacopo Bianchi, sceglie di nuovo Firenze per un debutto nazionale: dopo aver presentato in anteprima al Festival dei Popoli Antipop, il documentario biografico su di lui, realizzato da Jacopo Farina, il 30 marzo al Teatro Cartiere Carrara (alle 21) va in scena la prima nazionale del tour che segue l’uscita dell’album Sulle ali del cavallo bianco.

I suoi live sono sempre stati nel segno della rivendicazione del corpo. Stavolta?

«Gioco di più con le emozioni, con l’interiorità. Ma il corpo rimane imprescindibile: è la base della nostra individualità. Non siamo entità astratte, nel pensare a cosa possiamo o non possiamo fare spesso ci riferiamo al posizionamento del nostro corpo nella collettività, e non solo all’espressione di idee».

Le polemiche sanremesi hanno riacceso il dibattito su un possibile ricoinvolgimento politico della canzone. Lei, invece, adesso preferisce guardare dentro sé: c’è un messaggio dietro questa sua scelta?

«Non mi interessa fare per forza dischi politici. E poi bisogna vedere cosa s’intende per musica politica. Sulle ali del cavallo bianco è carico di utopismo; c’è anche una canzone dedicata a mia figlia, Talponia, in cui parlo proprio della libertà di fare ciò che vorrà del suo corpo. Sono contento dell’intervento di Ghali a Sanremo, mi piacerebbe che ce ne fossero di più perché io credo nell’intellettuale organico. Anche se non ho la cognizione per definire quello di Israele un genocidio, ma un massacro sì. Detto questo non voglio incentrare la mia musica sulla politica, anche se non mi tiro indietro a dire la mia su certi argomenti».

Il terrorismo mira a colpire sempre di più i concerti, gli eventi per i giovani: dal Bataclan al rave in Israele alla strage di qualche giorno fa a Mosca. La paura dilagherà anche da noi?

«Non bisogna farsi intimidire, non bisogna pensare ai concerti come a un rischio. Con le dovute proporzioni, e al netto del differente appeal mediatico, non è che smetto di guidare perché ogni giorno ci sono centinaia di incidenti stradali. Aldilà dell’affollamento che permette di fare un grande numero di vittime, mi fa riflettere il fatto che la condanna sia verso eventi di festa, vissuti dai terroristi come sfregio nei confronti di chi si sente oppresso, o come offesa religiosa. Come si può condannare una festa?».

La sue dichiarazioni contro la legge antirave voluta da Giorgia Meloni sono state viralissime. Oggi cosa le fa paura della destra al governo?

«Il fatto che vogliono smantellare lo stato sociale facendosi passare per amici del popolo. Le loro affermazioni sono sempre contro qualcosa o qualcuno: contro una minoranza, contro i diritti ritenuti offensivi per una parte della società, mentre è vero che i diritti acquisiti sono un vantaggio per tutti. La repressione e l’inasprimento della pena sembrano essere le loro uniche risposte invece della prevenzione o dell’integrazione. Alla destra vorrei chiedere: che futuro immaginate a parte punire, sanzionare, chiudere, escludere, negare?».

Il nuovo album segna un avvicinamento alla canzone più tradizionale, ovviamente secondo la sua indole di sperimentatore. È questo l’antipop?

«Anche, certo. È stare al di sopra delle mode, dei momenti. È porre attenzione a un suono essenziale, proprio mentre il pop italiano sceglie l’iperarrangiamento telefonato. Io e Alessio Natalizia, che ha lavorato con me alla produzione di Sulle ali di un cavallo bianco, siamo molto sensibili all’essenzialità perché indice di personalità, e spesso la andiamo a ricercare negli anfratti più dimenticati della musica. Ma non solo. Proprio qualche sera addietro riascoltavamo i Cccp, travolti dalla dirompenza della loro economia di suoni che ti arriva come un pugno in faccia. Ma penso anche alle ultime produzioni di Rosalia. Con quattro suoni, dà lezioni di stile».

In Sulle ali del cavallo bianco colpisce l’atteggiamento molto battistiano di trasformare la canzone in un territorio di ricerca così libera da risultare “psichedelica”.

«Ho sempre amato l’essere outsider di Battisti: non negarsi niente, dall’inno da spiaggia alla ricerca di Anima latina, dal funk all’elettronica astratta degli ultimi anni. E ancora, l’attenzione all’architettura del pezzo, ma anche la centralità della produzione. Non si è mai posto limiti, e non si è mai preccupato di scontentare qualcuno. Nel mio piccolo, è quello che cerco di fare anche io».

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