John Ford, la nascita del western | Cinema | Rai Cultura

John Ford, la nascita del western

Fort Apache, un classico del 1948

Il più grande regista americano di tutti i tempi. Secondo Orson Welles “il più grande di tutti”. Nasce alla fine di un secolo interminabile John Ford, nel 1894 nel Maine. Un'imponente produzione di pellicole western (150) e il record di 4 Oscar alla regia. Primo fra tutti John Wayne ma anche Henry Fonda, John Corradine e Lee Marvin gli attori che amava dirigere sul set dei suoi film. Co-fondatore della Motion Picture Directors Association, un'organizzazione senza fini di lucro formata da ventisei registi, nata a Los Angeles, in California, nel 1915.
Il suo nome è indissolubilmente legato al genere western che egli stesso ha portato a battesimo ai tempi del muto con il cortometraggio Il tornado (The Tornado, 1917) di cui fu regista, sceneggiatore, attore e stuntman. Anche il suo primo lungometraggio, Centro! (Straight Shooting, 1917), era un western e descriveva il conflitto tra allevatori e latifondisti.
Il primo vero successo Ford lo raggiunge nel 1924 con la pellicola Il cavallo d’acciaio dove il vero protagonista è la ferrovia, esaltata come simbolo di progresso e di unità nazionale. Un colossal di grande impegno produttivo che finalmente gli fece salire molti gradini verso l'empireo dei cineasti mondiali.
Il primo lungometraggio parlato arriva nel 1929 e si intitola The black watch, mentre nel 1930, con il film bellico Il sottomarino (Men without Women) inizia il sodalizio artistico con lo sceneggiatore Durley Nichols con cui firmò molte delle sue opere successive.
L’ Oscar numero uno Ford lo conquista nel 1936 con Il traditore (The Informer), tratto dall'omonimo romanzo di Liam O'Flaherty, che in totale si aggiudicò ben quattro statuette e una presentazione al Festival di Venezia nel ’35 nonostante fosse stato girato in tempi record: solo tre settimane. Ambientato nella patria d’origine di Ford, l’amata Irlanda, l’azione si svolge a Dublino nel 1922, durante la rivolta del Sinn Féin. 
Ma è Ombre Rosse (Stagecoach), nel 1939, che fa di John Ford il padre indiscusso del cinema western classico. Il film, interpretato da un John Wayne non ancora famoso e da una brava attrice di teatro, Claire Trevor, non gli fece vincere un altro Oscar né fece grandi incassi al botteghino ma decretò i canoni con cui doveva essere girato e montato un western. Ombre Rosse come la Bibbia del genere dunque che impone tutti gli ingredienti utilizzati per i film che seguiranno: la diligenza, lo sceriffo duro dal cuore tenero, il medico che spesso alza il gomito, il banchiere truffatore, la prostituta redenta, il pistolero con la sete di vendetta, l'assalto degli indiani, la Monument Valley, l'arrivo dei "nostri", il duello finale e il coronamento della storia d'amore dei protagonisti. Una camera quasi fissa che si riempie di una serie meravigliosa di azioni.

Ford ha inventato e percorso per noi tutti il paesaggio del West, lo ha scoperto, lo ha codificato. Dire lo ha scoperto non sembri un' esagerazione: le guglie, i torrioni di granito rosso, le cattedrali di roccia di Monument Valley certo erano lì da millenni, ma sono state da lui trovate, e usate, ed esaltate, e gli appartengono come i paesaggi senesi appartengono a Simone Martini o certi calanchi toscani agli sfondi di Leonardo
Irene Bignardi

All’inizio degli anni ’40, subito dopo il successo di Ombre Rosse, Ford fa uscire nelle sale cinematografiche americane due caposaldi della filmografia hollywoodiana: il primo, Furore (The Grapes of Wrath), tratto dal capolavoro di John Steinbeck e girato nel 1940, gli valse il secondo Oscar come migliore regista. Con Com’era verde la mia valle (How Green Was My Valley) del 1941, trasposizione cinematografica del romanzo di Richard Llewellyn, arriva la terza statuina.
Ma la guerra è alle porte e Ford decide di arruolarsi nell’esercito per dare il suo contributo realizzando documentari di propaganda. Nel 1942 prende personalmente parte alla battaglia delle Midway e, benché ferito al primo attacco, continua a girare con la sua cinepresa a colori, testimoniando sulla pellicola le vicende belliche alle quali partecipa.
Finita la Seconda guerra mondiale, che gli costò la perdita di un occhio in battaglia e la famosa benda sotto il sopracciglio sinistro, Ford ritorna al western. Nel ’46 realizza un altro classico, Sfida Infernale (My Darling Clementine) con l’immancabile Henry Fonda nel ruolo dello sceriffo. Qui si narra il famoso episodio della Sfida all’Ok Corral. Ford quell'anno entra nella classifica dei 10 migliori film.
Il massacro di Fort Apache (Fort Apache), di cui qui proponiamo la visione, è un film del 1948. I critici lo catalogano come il primo di una trilogia dedicata all’esaltazione delle imprese della Cavalleria dell’Esercito dell’Unione, la gloriosa Union Army, insieme a I cavalieri del Nord-Ovest (She Wore a Yellow Ribbon, 1949) e Rio Bravo (Rio Grande, 1950). Cosa hanno in comune queste tre pellicole tanto da poterle considerare un unicum? La caratteristica è il respiro corale: i caratteri individuali si spostano in secondo piano per lasciare la scena alla comunità che è la vera protagonista. Le gesta dei singoli sono sempre dettate da un forte senso di appartenenza al gruppo. Nel cast John Wayne, Henry Fonda e Shirley Temple ormai ventenne. La trama fa chiaramente riferimento alla vicenda che vide protagonista il generale Caster e al massacro di Little Bighorn quando gli indiani Lakota e i loro alleati sterminarono gran parte del 7° reggimento di cavalleria dell’esercito degli Stati Uniti. Nonostante il massacro di bianchi, lo sguardo di Ford ci restituisce un’immagine degli indiani come di un popolo coraggioso e leale e ne riconosce le ragioni. La responsabilità della disfatta infatti è da attribuire solo all’arroganza del colonnello Turner/Fonda.
Tra le ultime prove registiche di Ford bisogna ricordare Un uomo tranquillo (The quiet man, 1952) con cui cattura il quarto e ultimo Oscar della sua lunga carriera e che segna il ritorno all’ambientazione irlandese; Il sole splende alto, diretto nel 1955 in cinemascope e l’uomo che uccise Liberty Vallance del 1962 con James Steward, ancora John Wayne e Lee Marvin. Missione Manciuria, nel 1966, conclude una storia professionale unica e straordinariamente ricca. Lo fa, ironia del destino, con un fiasco totale, di pubblico e di critica. Destino dei grandi. 
John Ford, da tempo malato, si spegne all’età di 79 anni nella sua casa di Palm Desert in California.

Mi è sempre piaciuto fare film; sono stati tutta la mia vita. Mi piace la gente che ho attorno, gli attori, le attrici, i tecnici, gli elettricisti; e mi piace essere sul set, indipendentemente dalla storia che sto girando. L'unica cosa che riconosco di aver sempre avuto è occhio per la composizione; non so da dove mi viene, ma è tutto quello che ho. Da bambino, credevo che sarei diventato un artista. Ma dopo non ho mai pensato a quello che faccio in termini di arte. Per me, il mio è sempre stato un lavoro - che ho amato immensamente - e questo è tutto
John Ford