Cristianesimo e pensiero moderno: tra ottimismo e drammaticità dell’esistenza

Jean Daniélou, Le mystère de l’Avent, 1948

È di questa opposizione biblica che il pensiero contemporaneo ci offre un aspetto degradato quando ci mostra sia una prospettiva ottimistica e storica, sia una prospettiva disperata e drammatica. Da un lato, abbiamo l’immensa fede nel progresso materiale che sta alla base di un movimento come il comunismo. La base del pensiero comunista, al di là di tutte le questioni politiche ed esterne, come la troviamo nella filosofia di Marx, che ne è il fondamento, è l’idea che attraverso la storia ci sia un progresso che si compie irrevocabilmente. Ci possono essere crisi e rivoluzioni. Tutto questo si perde nel processo del divenire, che si estende per centinaia di migliaia di anni e attraverso il quale si compie il progresso.
In conseguenza, basta far fede alla storia, avere fiducia nel progresso. Possiamo non vederlo, ma l’importante è che avvenga.
Si tratta della degradazione di una grande idea cristiana: la fede cristiana in una città beata, una fede basata sulla promessa di Dio, che nel comunismo si degrada nella speranza di una città temporale perfetta, frutto degli sforzi dell’uomo. Ed è proprio quando critichiamo un modo di pensare come quello dei comunisti che dobbiamo stare molto attenti a rifiutare ciò che è perversione e non a rifiutare ciò che è un’eredità e una degradazione del nostro pensiero cristiano. La fede nella direzione della storia, questa fede profonda che attraverso tutte le rivoluzioni, attraverso tutti i drammi che stiamo vivendo, c’è qualcosa che sta maturando, qualcosa che si sta facendo e che si muove nella direzione del bene, è essenzialmente una visione cristiana. È nostro dovere oggi, in mezzo a tutta la disperazione e a tutte le apparenti delusioni, mantenere questo ottimismo di fondo, non solo ma più di chiunque altro, perché sappiamo più di chiunque altro che attraverso tutti i drammi la Città di Dio si sta costruendo misteriosamente, in modi che non sono i nostri, ma con una certezza incrollabile, perché Dio è fedele alla sua promessa. Sappiamo che la Parola di Dio è all’opera nel mondo, portando avanti il suo piano, e che questo piano si compirà irrevocabilmente e che un giorno tutte le nazioni saranno riunite nel regno del Padre.
Allo stesso tempo – ed è questo il paradosso – abbiamo nel pensiero contemporaneo una corrente assolutamente opposta, per la quale il mondo è essenzialmente assurdo e per la quale non c’è altro atteggiamento possibile che una sorta di umanesimo disperato, che consiste, sapendo che tutto è assurdo, nel non avere speranza, poiché ogni speranza è un’illusione, ma nel cercare di riuscire a salvare un minimo di felicità umana. È quello che cerca di fare Camus, per esempio. Ovviamente si tratta di una linea di pensiero che l’aspetto del mondo in cui viviamo giustifica da molti punti di vista; è certo infatti che la sua situazione è eminentemente assurda e che ci troviamo invischiati in un insieme di contraddizioni e complessità su cui non prevale la ragione. Ed è facile capire perché alcune persone trovino, in una
una filosofia dell’assurdo e della disperazione, l’espressione stessa di questa realtà.
Anche in questo caso ci troviamo in presenza di un’idea cristiana degradata, il pessimismo cristiano di Pascal e Kierkegard, cioè la consapevolezza del disordine del mondo. Ma per i cristiani questo disordine non è la natura stessa delle cose; la sua causa risiede nella libertà peccaminosa dell’uomo, attraverso la quale egli introduce il male nell’opera armoniosa di Dio. La critica degli esistenzialisti ai marxisti è molto efficace quando mostra che l’ottimismo comunista è ingenuo, perché ignora totalmente questa realtà fondamentale, che è il terribile potere della libertà dell’uomo. Gli elementi materiali non sono sufficienti a determinare il destino umano. La libertà dell’uomo è indipendente dalla causalità materiale; questa è la sua grandezza, ha qualcosa di divino, e di conseguenza ha il terribile potere di fare il male o il bene. È un elemento imprevedibile, proprio l’unico che non rientra nella prospettiva del comunismo, ma che è bastato a farlo fallire. Ora, quando si tratta di questa libertà, sappiamo che c’è solo una cosa che può impadronirsi di essa: è un’altra libertà, superiore, che non può rifiutare senza negare se stessa.

Originale in francese

C’est cette opposition biblique dont la pensée contemporaine nous offre un aspect dégradé quand elle nous montre à la fois une perspective optimiste et historique, et une perspective désespérée, dramatique. Nous avons d’une part cette immense foi au progrès matériel qui soulève un mouvement comme le communisme. Le fond de la pensée communiste, au delà de toutes les affaires politiques, extérieures, telle que nous la trouvons dans la philosophie de Marx qui est à sa base, c’est l’idée que par l’Histoire il y a un progrès qui s’accomplit irrévocablement. Il peut y avoir des crises, des révolutions. Tout cela se perd à l’intérieur de ce devenir qui court sur des centaines de milliers d’années, et à travers lequel le progrès s’opère.
Par conséquent, il n’y a qu’à faire foi à l’Histoire, à faire confiance au progrès; nous pourrons ne pas le voir, mais l ’important c’est qu’il s’accomplisse.
Nous sommes ici en présence de la dégradation d’une grande idée chrétienne : c’est la foi chrétienne en une cité bienheureuse, foi appuyée sur la promesse de Dieu, qui, dans le communisme, se dégrade dans l’espérance d’une cité temporelle parfaite, résultant des efforts de l’homme. Et justement, quand nous critiquons une pensée comme celle des communistes, il faut que nous fassions très attention à rejeter ce qui est perversion et à ne pas rejeter ce qui est un héritage et une dégradation de notre pensée chrétienne. La foi dans un sens de l’Histoire, cette foi profonde qu’à travers toutes les révolutions, à travers tous les drames que nous traversons, il y a quelque chose qui mûrit, quelque chose qui se fait et qui va dans le sens du bien est essentiellement une vue chrétienne. C’est un devoir pour nous aujourd’hui, au milieu de tous les désespoirs et de toutes les déceptions apparentes, de maintenir cet optimisme foncier, de le maintenir non seulement aussi mais plus que les autres, parce que nous savons plus que personne qu’à travers tous les drames la Cité de Dieu s’édifie mystérieusement, par des voies qui ne sont pas les nôtres, mais avec une certitude inflexible, parce que Dieu est fidèle à sa promesse. Nous savons que le Verbe de Dieu est à l’œuvre dans le monde, réalisant son plan, et que ce plan s’accomplira irrévocablement et que toutes les nations un jour seront réunies dans le royaume du Père.
En même temps — et c’ est là le paradoxe —nous avons dans la pensée contemporaine, un courant absolument inverse, pour qui le monde est essentiellement absurde et pour qui il n’y a pas d’autre attitude possible qu’une sorte d’humanisme désespéré, qui consiste, sachant que tout est absurde, à n’avoir pas d’espérance, puisque toute espérance est illusion, mais à essayer de s’arranger pour sauver un minimum de bonheur humain. C’est ce que cherche un Camus par exemple. Evidemment c’est une pensée que l’apparence du monde dans lequel nous vivons justifie à bien des points de vue; car il est certain que sa situationest éminemment absurde et qu’on se trouve pris dans un ensemble de contradictions et de complexités auquel aucune raison ne préside. Et l’on comprend très bien que des esprits trouvent, dans
une philosophie de l’absurde et du désespoir, l’expression même de cette réalité.
Là encore nous nous trouvons en présence d’une idée chrétienne dégradée, du pessimisme chrétien de Pascal et de Kierkegard, c’est-à-dire la prise de conscience du désordre dans le monde. Mais pour les chrétiens, ce désordre n’ est pas la nature même des choses, il a sa cause dans la liberté pécheresse de l’homme par laquelle il introduit le mal dans l’œuvre harmonieuse de Dieu. La critique que les existentialistes font des marxistes est très efficace quand ils montrent que l’optimisme communiste est naïf, parce qu’il méconnaît totalement cette réalité fondamentale qui est la puissance terrible de la liberté de l’homme. Les éléments matériels ne suffisent pas à déterminer le destin humain. La liberté de l’homme est indépendante de la causalité matérielle; c’est sa grandeur, elle a quelque chose de divin et par conséquent elle a cette puissance terrible de faire le mal ou le bien. Elle constitue un élément imprévisible, le seul précisément qui ne rentre pas dans la perspective du communisme, mais qui suffit à le faire échouer. Or, sur cette liberté, nous savons qu’il n’y a qu’ une chose qui puisse avoir prise : c’est une autre liberté supérieure, à laquelle elle ne puisse se refuser sans se renier.

Cristianesimo e storia: aspetto perenne e incarnazioni successive

Jean Daniélou, Essai sur le mystère de l’histoire, 1953.

Se vogliamo abbracciare tutti gli aspetti del problema [del senso della storia], possiamo allora discernere una duplice relazione tra il cristianesimo e la storia. Da un lato, il cristianesimo è nella storia. Appare in un determinato momento nello sviluppo degli eventi storici. Fa parte del tessuto della storia nel suo complesso. In questo senso, è un oggetto di conoscenza per lo storico che lo descrive così come emerge nella serie dei fatti storici osservabili. Ma, d’altra parte, la storia è parte del cristianesimo; la storia secolare è parte della storia sacra, perché a sua volta è parte di un tutto in cui costituisce una preparazione. Questa preparazione riempie tutto il secolo presente. Ma il cristianesimo è proprio il secolo futuro, già presente nel mistero. In questo senso, nella sua realtà profonda, è al di là non solo di un momento, ma di tutta la storia. È veramente “novissimus“, l’ultimo; con esso, la “fine” è già qui. Ma, e questo è tutto il mistero della Chiesa, questo al di là della storia è già presente e coesiste con essa. Vediamo di nuovo questi due aspetti. Da un lato, il cristianesimo è nella storia. È realmente incarnato nella storia. Come Cristo è stato l’uomo di un paese particolare, di una civiltà particolare, di un periodo particolare, così anche la Chiesa si incarna nelle civiltà successive. E queste incarnazioni fanno parte della caducità che è la caducità di queste civiltà. Quando Marx vede nel cristianesimo delle origini un riflesso delle condizioni economiche della Galilea del primo secolo, nel cristianesimo bizantino un’immagine della teocrazia degli imperatori di Costantinopoli, nel cristianesimo della Riforma l’espressione dell’espansione economica del Rinascimento e della disgregazione della società medievale, ciò che descrive sono le condizioni economiche e sociali del tempo, quello che descrive sono, si potrebbe dire, le cristianità successive, che sono, per usare il linguaggio marxista, sovrastrutture obsolete e mutevoli, non l’infra-struttura, che è la Chiesa permanente nella sua realtà incorruttibile.
Applichiamo questo al problema di oggi. Il cristianesimo si è normalmente incarnato nella civiltà borghese degli ultimi quattro secoli. Esiste un cristianesimo borghese che ha prodotto frutti ammirevoli di santità e carità. Oggi, però, il mondo sta attraversando una crisi di civiltà come raramente ne ha vissute nel corso della storia. Un intero vecchio mondo, quello della civiltà borghese, sta crollando. Sono eventi che trascendono le volontà individuali e non c’è motivo né di gioia né di dolore. È giusto parlare dell’agonia di questo mondo. Ma l’agonia a cui assistiamo è l’agonia di una certa civiltà e l’agonia di ciò che nella Chiesa è solidale con questa civiltà. È questo cristianesimo borghese che oggi è superato, che i cristiani sentono superato. Ma questo cristianesimo borghese non è il cristianesimo. È l’incarnazione del cristianesimo nella civiltà borghese.
Qui si tocca un aspetto essenziale del nostro problema. Nel cristianesimo c’è una perenne richiesta di incarnazione e di liberazione. L’incarnazione è un dovere. E coloro che vorrebbero un cristianesimo estraneo alla storia, puro e senza tempo, si sbagliano sulla sua essenza. Vedo alcuni che, di fronte agli attuali sforzi per incarnare il cristianesimo nel mondo dei lavoratori, esclamano: “State per commettere lo stesso errore che fece Costantino nel IV secolo, incarnando il cristianesimo nella civiltà bizantina, o i gesuiti del XV secolo incarnando il cristianesimo nel mondo della nascente borghesia”. Ma queste incarnazioni non erano errori. Sono solo più o meno superate. E così torniamo al criterio cronologico di cui abbiamo già sottolineato l’importanza. L’avvento di nuove forme non significa che le vecchie forme non fossero buone a suo tempo. Significa solo che hanno smesso di essere buone.

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Vediamo quindi in che senso la Chiesa è parte della storia, e come partecipa alla legge del declino delle civiltà. Ma d’altra parte, e questo aspetto è molto più importante, è la storia profana che entra nella storia sacra. La storia sacra è infatti la storia intera, all’interno della quale la storia profana, che ne è solo una parte, svolge un ruolo specifico. Cullmann ha notato che queste erano le prospettive dei pensatori cristiani fin dagli inizi del cristianesimo. Sebbene i cristiani fossero interessati soprattutto agli eventi essenziali della salvezza, essi giudicavano anche la storia secolare. Già la Bibbia insisteva sull’identità del Dio del cosmo e del Dio della redenzione. Ireneo riprese questo tema contro lo gnosticismo. La storia della salvezza non abbraccia solo la storia umana, ma l’intera storia cosmica. Non è situata all’interno di un mondo di natura e di storia naturale, nel quale irromperebbe. Piuttosto, abbraccia la storia stessa di cui è parte costitutiva. La Parola redentrice è la stessa della Parola creatrice.

Originale francese

Si nous voulons embrasser tous les aspects du problème, nous arrivons alors à discerner une double relation du christianisme et de l ’histoire. D’une part, le christianisme est dans l ’histoire. Il apparaît à un moment donné dans le développement des événements historiques. Il fait partie de la trame de l ’histoire totale. En ce sens, il est objet de connaissance pour l ’historien qui le décrit en tant qu’il affleure dans la série des faits historiques observables. Mais, par ailleurs, l ’histoire est dans le christianisme ; l ’histoire profane rentre dans l ’histoire sainte, car c ’est elle à son tour qui est une partie dans un tout où elle constitue une préparation. Cette préparation remplit la totalité du siècle présent. Mais le christianisme est précisément le siècle futur, déjà présent en mystère. En ce sens, dans sa réalité profonde, il est un au-delà non seulement d’un moment, mais de la totalité de l ’histoire. Il est vraiment « novissimus », le dernier ; avec lui la « fin » est déjà là. Mais, et c ’est tout le mystère de l ’Eglise, cet au-delà de l ’histoire est déjà présent et coexiste avec elle. Reprenons ces deux aspects. Le christianisme, d’une part, est dans l ’histoire. Il s ’incarne réellement en elle. Comme le Christ a été l ’homme d’un pays, d’une civilisation, d’une époque déterminée, ainsi en est-il de l ’Eglise, Elle s ’incarne dans les civilisations successives. Et ces incarnations participent de la caducité qui est celle de ces civilisations. Lorsque Marx voit dans le christianisme originel un reflet des conditions économiques de la Galilée du premier siècle, dans le christianisme byzantin une image de la théocratie des empereurs de Constantinople, dans celui de la Réforme l ’expression de l ’expansion économique de la Renaissance et de l ’éclatement de la société médiévale, ce qu’il décrit, ce sont, pourrait-on dire, les chrétientés successives, qui sont, pour reprendre à l ’inverse un langage marxiste, des supra-structures caduques et changeantes, non l’infra-structure, qui est l ’Eglise permanente dans sa réalité incorruptible.
Appliquons ceci au problème d’aujourd’hui. Le christianisme s ’est normalement incarné dans la civilisation bourgeoise des quatre derniers siècles. Il y a un christianisme bourgeois et qui a donné des fruits admirables de sainteté et de charité. Or, aujourd’hui, le monde traverse une crise de civilisation comme il en a peu connu au cours de l ’histoire. Tout un monde ancien, qui est précisément celui de la civilisation bourgeoise, est en train de s ’effondrer. Il s ’agit là d’événements qui dépassent les volontés particulières, dont il n’y a lieu ni de se réjouir ni de s ’affliger. A l ’égard de ce monde, on a raison de parler d’agonie. Mais l ’agonie, à laquelle nous assistons, c ’est l ’agonie d’une certaine civilisation et l’agonie de ce qui dans l ’Eglise est solidaire de cette civilisaton. C ’est ce christianisme bourgeois qui est aujourd’hui dépassé, dont les chrétiens sentent la vétusté. Mais ce christianisme bourgeois n’est pas le christianisme. Il est l ’incarnation du christianisme dans la civilisation bourgeoise.
Nous touchons ici un aspect essentiel de notre problème. Il y a dans le christianisme une exigence perpétuelle à la fois d’incarnation et de dégagement. L ’incarnation est un devoir. Et ceux qui voudraient d’un christianisme étranger à l ’histoire, d’une pureté intemporelle, se trompent sur son essence. J ’en vois qui, devant les efforts présents pour incarner le christianisme dans le monde ouvrier, s ’écrient : « Vous allez commettre la même erreur que celle de Constantin au ive siècle, incarnant le christianisme dans la civilisation byzantine, ou des Jésuites du xvne siècle incarnant le christianisme dans le monde de la bourgeoisie montante. » Mais ces incarnations n ’étaient pas des erreurs. Elles sont seulement plus ou moins périmées. Et nous retrouvons ainsi ce critère chronologique dont nous avons dit l ’importance. L’avènement de formes nouvelles ne signifie pas ue les formes anciennes n’aient été bonnes en leur temps. Il signifie seulement qu’elles ont cessé de l ’être.

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Nous voyons ainsi en quel sens l ’Eglise est dans l ’histoire et comment elle participe à la loi de caducité des civilisations. Mais par ailleurs, et cet aspect est beaucoup plus important, c ’est l ’histoire profane qui rentre dans l ’histoire sainte. Car l ’histoire sainte constitue en réalité l ’histoire totale, à l ’intérieur de laquelle se situe l ’histoire profane qui n’en est qu’une part et qui y tient un rôle déterminé. Cullmann a bien remarqué que ces perspectives étaient celles des penseurs chrétiens dès les origines du christianisme5. Si les chrétiens s ’intéressaient surtout aux événements essentiels du salut, ils n’en portaient pas moins un jugement sur l ’histoire profane. Déjà la Bible insistait sur l ’identité du Dieu du cosmos et de celui de la Rédemption. Irénée reprendra ce thème contre la gnose. C ’est non seulement l ’histoire humaine, mais la totalité de l ’histoire cosmique que l ’histoire du salut embrasse. Elle ne se situe pas à l ’intérieur d’un monde de la nature et d’une histoire naturelle, dans lesquels elle ferait irruption. Mais elle embrasse cette histoire même dont elle est constitutive. Le Verbe rédempteur est le même que le Verbe créateur.

Tra l’eternità e il tempo

Tratto dalla presentazione del libro di Marcelo Bravo Pereira. Per accedere al catalogo, cliccare qui

C’est la fonction propre du théologien de circuler,
comme les anges sur l’échelle de Jacob,
entre l’éternité et le temps et de tisser entre eux
des liaisons toujours neuves

(Les orientations présentes de la pensée religieuse, 1946)

1974 – 2024. Cinquanta anni sono passati dalla morte di Jean Daniélou, quel pomeriggio del 20 maggio 1974. Egli fu uno dei teologi più rappresentativi del secolo XX e una figura ecclesiale centrale nella Francia del post concilio. Dopo la sua scomparsa, in circostanze paradossali – una morte bernanosiana, scriverà P. Tilliette –, la sua eredità è caduta nell’oblio. Solo i più fedeli hanno conservato la sua memoria, costituendosi come una Société des amis du Cardinal Daniélou, le cui attività si ecclissarono definitivamente dopo la pubblicazione, nel 2006, degli Atti di un colloquio tenutosi l’anno precedente, nel centesimo anniversario della sua nascita. Il fatto è che buona parte della sua produzione scientifica è rimasta custodita e nascosta – dimenticata forse – tra le vecchie emeroteche e archivi delle facoltà teologiche europee. Di tanto in tanto si ravviva l’entusiasmo, si fa qualche riedizione, qualche traduzione, perfino qualche tesi dottorale, ma sempre con un po’ di cautela di fronte alla contraddizione di una vita dedicata completamente al servizio della Chiesa ma che si è chiusa brutalmente con uno scandalo mediatico che riempì d’imbarazzo la Chiesa francese.

Al di là dei sospetti e delle ipotesi riguardo la sua morte, di cui qualche accenno dovrò fare necessariamente nel presente volume, ciò che ci dovrebbe interessare di più è la sua eredità esistenziale e teologica, anche con le sue eventuali contraddizioni e oscurità. Jean Daniélou è annoverato tra i grandi teologi del s. XX, protagonista di eccezione degli avvenimenti ecclesiali e culturali dei tempi moderni, dalla Nouvelle théologie al Concilio Vaticano II, senza dimenticare la difesa della dottrina cristiana, al di là dei relativismi e dei fondamentalismi. I suoi scritti ma soprattutto il suo modus teologico hanno molto da insegnarci, a noi che riflettiamo su eventuali rinnovamenti o rifondazioni metodologiche della teologia.

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Nel maggio 2010 avevo difeso pubblicamente la mia tesi di dottorato a Roma, presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, con il titolo «Le religioni non cristiane alla luce della Rivelazione: Uno studio analitico della proposta metodologica di Jean Daniélou in vista della comprensione del problema storico delle religioni». Come si evince dal titolo, la tesi è stata suddivisa in due parti principali: l’approccio metodologico, cioè il modo in cui Jean Daniélou ha svolto il suo ufficio di teologo – il suo «quehacer teológico» come avevo scritto nell’originale spagnolo –, e l’applicazione di questo al problema storico delle religioni.

La tesi fu pubblicata nella collezione di tesi dottorali del Regina Apostolorum, ma purtroppo non ebbe molta diffusione. I risultati della mia ricerca però mi fecero capire quanto Daniélou poteva insegnare le nuove generazioni di teologi specialmente a far teologia e non solo un metodo puramente accademico. Per questo motivo, ho deciso di offrire il presente volume in italiano, aggiornando eventualmente alcune parti, affinché possa essere di aiuto a coloro che desiderano approfondire il pensiero di questa figura d’eccezione.

In questo libro, dunque, offro la prima parte della mia tesi, che nell’edizione originale si intitolava «Approccio analitico alla proposta teologica di Jean Daniélou». Tuttavia, l’incipit del presente contributo – in specifico, la prima parte –, restò fuori dalla pubblicazione della tesi originale. Questa è un’introduzione biografica dell’autore, con il quadro storico in cui Daniélou è vissuto e i problemi che hanno preceduto, accompagnato e seguito il Concilio Vaticano II. Non è una semplice biografia, ma un tentativo di capire quale sia la portata dell’essere e del fare «il teologo» nel contesto concreto nel quale sorge e nei rapporti che stabilisce e il servizio che presta alla Chiesa, anche, come abbiamo detto, con le contraddizioni e fragilità della condizione dell’uomo che si mette al servizio della teologia.

Quando ho scritto questa prima parte, conoscevo solo la versione ufficiale delle circostanze della morte di Daniélou – e poi ovviamente le dicerie scandalose e offensive –, e soprattutto non ero entrato in contatto con i suoi discepoli, collaboratori e amici. Ho potuto toccare con mano la loro sincera adesione al loro Père Daniélou. Essi mi hanno delineato i tratti di un uomo che coincideva pienamente con il profilo che emergeva dalle letture che avevo fatto dei suoi scritti intimi e divulgativi. La loro sofferenza di fronte a ciò che è accaduto a Rue Dulong, 56, è ancora visibile nei loro occhi. In tanti giudicarono tutta la sua vita sotto lo spettro della sua morte. Come dichiarò uno dei suoi tanti amici intimi, Daniélou sembra essere stato tradito dalla morte. Tanti sono i testimoni della sua frenetica vita pubblica. Pochi, quelli che ancora restano, lo hanno conosciuto intimamente. Solo Dio però scruta ciò che c’è nel cuore dell’uomo.

Con il tempo ho potuto raccogliere altre fonti e ho visitato diversi archivi. Esse, pur riconoscendo la grandezza accademica e umana del cardinale, hanno meso in luce anche le umane contraddizioni e le zone meno luminose: il suo nervosismo, le sue fragilità, le sue antipatie, cioè quelle finestre che, per dirla con Johari, lui conosceva e sopportava, ma era sconosciute a quasi tutti. Ho confrontato le testimonianze riservate dei suoi confratelli e amici, i riassunti degli incontri del provinciale con la comunità dopo la sua morte – il report del provinciale è ancora sotto segreto –, ma anche di quelli che gli erano più ostili… Al di là di tutto, Jean Daniélou resta comunque umano, e nell’esistenza di ogni uomo non tutto è nero o bianco. Come lui stesso affermò a più riprese: la storia di ogni anima è un mistero di grazia e di peccato, fatta da sinergia e condiscendenza, volontà salvifica e risposta contingente…

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La seconda parte del nostro libro presenta le linee generali del pensiero dell’autore. Si tratta di un breve excursus che mira a comprendere i principi ispiratori di Daniélou e di tre degli autori che hanno influenzato il suo pensiero – non gli unici –, sia attraverso le loro opere sia, soprattutto, attraverso i rapporti personali che si sono instaurati tra loro. Riconosco che questa parte è piuttosto sbrigativa e sommaria; credo comunque che potrà gettare luce sulla sua teologia incarnata.

La terza parte – «Metodo e prassi nell’opera teologica di Jean Daniélou» – è il cuore di tutto, la parte più originale e spero che possa essere d’aiuto a chi cerca ispirazione e guida per il proprio stile teologico inteso come un opus caritatis, al servizio della Chiesa e dei fratelli e sorelle. Il pensiero di Daniélou potrebbe sembrare asistematico; in tutta la sua produzione però si possono scorgere linee metodologiche abbastanza chiare, alle quali Daniélou è rimasto sempre fedele.

Nella quarta parte del lavoro ho cercato di verificare la tesi sostenuta nella terza parte applicando lo schema che avevo scoperto a due opere di Daniélou – Le mystére du salut des nations e Les saints paiens de l’Ancient Testament. La scelta di queste opere non è stata casuale. Entrambe le opere sono finalizzate alla comprensione storica delle religioni e lo scopo della tesi originale era proprio orientato a questo argomento.

Trattandosi di una tesi, alcuni elementi di stile e l’insistenza sulle fonti a conferma delle mie conclusioni avrebbero potuto essere semplificati o migliorati. Tuttavia, questo mi avrebbe portato via molto tempo e, dopo quattordici anni dalla discussione – e nel contesto del suo cinquantesimo anniversario dalla sua morte –, è meglio accelerare la pubblicazione.

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Come ho appena accennato, mesi prima della pubblicazione di questo libro ho avuto la gioia di incontrare amici e discepoli di Jean Daniélou. Essi, oltre a condividere con me quanto questo apostolo-teologo fosse importante per le loro vite, mi hanno confermato alcuni dei suoi tratti caratteristici: la sua gentilezza, la sua disponibilità, la sua assenza di ambiguità nei rapporti interpersonali, la sua profonda spiritualità, ma anche il suo disordine, il suo nervosismo e la sua imprudenza. Il cardinale, che agli occhi del mondo appariva come mondano – come il solito intellettuale parigino che occasionalmente faceva anche il prete –, era semplicemente un cristiano, incarnato nel suo contesto storico, ma sempre alla ricerca della trascendenza. Ringrazio di cuore Xavier e Catherine de Bayser, Françoise Jacquin, Serge Rolez e Jacqueline Pigeot per quei momenti di grazia, momenti che mi porto nel cuore nei quali ho potuto rivivere, attraverso di loro, la statura umana e teologica di Jean Daniélou. Un grazie va anche al personale degli archivi di Vanves che si sono mostrati sempre efficaci e disponibili.

Tra l’eternità e il tempo

L’ufficio del teologo nella vita e nella proposta metodologica di Jean Daniélou (nuovo libro di Marcelo Bravo Pereira)

6 gennaio 2024, la mia vita si è fermata in modo drammatico. Un incidente di grande impatto mi portò via la mia mamma e mi lasciò grave in ospedale dove fui sottoposto a due interventi per ricomporre una frattura esposta con lesione al nervo radiale e perdita della mobilità alla mano destra. Grazie a Dio gli altri membri della mia famiglia risultò con contusioni li media o lieve gravità. Per questo motivo il presente blog si è fermato per un periodo così lungo.

Adesso riprendo con una bella notizia: è pronto il mio libro “Tra l’eternità e il tempo. L’ufficio del teologo nella vita e nella proposta metodologica di Jean Daniélou”. A breve sarà in vendita presso le librerie italiane oppure seguendo questo link.

Ecco la sinossi:

«La funzione del teologo è quella di muoversi, come gli angeli sulla scala di Giacobbe, tra l’eternità e il tempo e di tessere tra loro legami sempre nuovi» (Jean Daniélou). Il presente volume non mira tanto a delineare una biografia intellettuale di Jean Daniélou, quanto a presentare la sua proposta teologica e il suo impegno teologico come fonte d’ispirazione per chi desidera intraprendere lo studio della Sacra Dottrina. Jean Daniélou è annoverato tra i grandi teologi del XX secolo e ha giocato un ruolo di spicco nel Concilio Vaticano II, contribuendo al rinnovamento teologico e promuovendo quella che è stata chiamata Nouvelle Théologie. Quest’ultima ha cercato, attraverso un ritorno alle fonti, di dare un nuovo impulso teologico per affrontare le sfide ecclesiali e culturali contemporanee. Dopo una breve biografia, vengono presentati i principi fondamentali del suo metodo teologico, il quale, senza trascurare l’essenza della fede e in piena fedeltà al dato rivelato e al magistero, si apre all’ampio orizzonte dell’intelletto, della filosofia e del progresso scientifico. Quattro sono i momenti del lavoro teologico di Jean Daniélou: il momento metafisico, il momento tipologico, il momento storico e il momento ermeneutico. In questo modo, il teologo sarà in grado di salire e scendere tra l’eternità e il tempo, rendendo il mistero cristiano accessibile all’uomo di ogni epoca e cultura.

Cristo, sole giustizia: la liturgia di Natale e il tempio cosmico

Jean Daniélou, Le Signe du Temple, 1942 (traduzione italiana e originale in francese)

Come il sole è il principio vitale della biosfera, così Cristo, il sole degli spiriti, è il principio vivificante dell’universo spirituale. È lui che Zaccaria e Simeone hanno salutato al suo sorgere: “Visitavit nos oriens ex alto“. Come il sole sorge a est, così sorge Cristo secondo la Scrittura. È in Oriente che è stato piantato il primo Paradiso; è verso di esso che gli uomini non hanno mai smesso di guardare; è dall’Oriente che è venuto il Signore. Egli è il Paradiso riconquistato, la prima creazione restaurata. È ancora verso Oriente che continuiamo a guardare, perché è a Oriente che è salito nel giorno dell’Ascensione, ed è da Oriente che deve tornare come un lampo all’orizzonte. E così è verso Oriente che si affacciano le chiese, è verso Oriente che le anime del desiderio si protendono con il loro peso, portate da una gravitazione invisibile, è verso Oriente che, alzandosi prima dell’alba, i monaci vigilanti, eredi dei primi cristiani, attendono il sorgere del sole visibile, l’immagine, il segno quotidiano dell’altra luce: “O Oriens, splendor lucis aeternae et sol iustitiae, veni ad illuminandos sedentes in tenebris et umbra mortis“. Il sole ogni giorno rappresenta la venuta, la parousia, il sorgere dello splendore della luce eterna.
La liturgia conserva una traccia di questa promozione dal Tempio cosmico al Tempio ecclesiale nella festa del Natale, che era il Natale solis invicti dei Romani. Cristo ci appare così come l’erede non solo dell’ordine ebraico e del Tempio mosaico, ma anche dell’ordine pagano e del Tempio cosmico.

Egli avrebbe ereditato la terra e Roma, il mare viola e la porpora di Sion (Péguy).

Il carattere del Natale è quello di mostrarci questo, non nella linea e nella sequenza dell’attesa ebraica, del ciclo di Pasqua, Pentecoste e Tabernacoli, nella linea dei culti pastorali e dell’Oriente ebraico – ma nella linea dell’altra attesa, quella dei saggi pagani che osservavano le stelle e che sono rappresentati vicino alla culla di Cristo, dai magi accanto ai pastori. Il sole visibile, infatti, era la prefigurazione pagana nel Tempio cosmico e l’attesa del sole invisibile e di un’altra illuminazione, così come l’ingresso annuale nel Tempio del grande sacerdote era nell’Antica Legge mosaica la prefigurazione dell’ingresso del vero grande sacerdote nel Tempio celeste; e nella Nuova Legge rimane la rappresentazione rituale quotidiana, in sintonia con la nostra esistenza soggetta al ritmo del sonno e della notte, del sorgere ormai irreversibilmente acquisito del sole definitivo. Un giorno, finalmente, questo sole visibile si spegnerà e brillerà solo la vera luce. Allora non avremo più bisogno di figure; allora, nel cielo di un giorno eterno, i nostri occhi contempleranno un sole senza tramonto, un oriente perpetuo, il sorgere sempre nuovo del sole di giustizia.

originale in francese

Comme le soleil est le principe vital de la biosphère, ainsi le Christ, soleil, des esprits, est le principe vivifìant de l’univers spirituel. C’est lui qu’à son lever saluèrent Zacharie et Siméon : « Visitavit nos oriens ex alto. » Comme le soleil se lève à l’Orient, ainsi le Christ selon l’Ecriture. C’est à l’Orient qu’était planté le premier Paradis; c’est vers lui que depuis n’avaient cessé de regarder les hommes; c’est de l’Orient que le Seigneur est venu. Il est le Paradis retrouvé, la première création restaurée. C’est encore vers l’Orient que nous continuons de regarder parce que c’est à l’Orient qu’Il s’est élevé au jour de l’Ascension et que c’est de l’Orient qu’il doit revenir comme un éclair à l’horizon. Aussi est-ce vers l’Orient que sont orientées les églises, est-ce à l’Orient que tendent de leur poids, emportées par une invisible gravitation, les ámes de désir, est-ce vers l’Orient que, levés avant l’aurore, les moines vigilants, héritiers des premiers chrétiens, attendent le lever du soleil visible, image, signe quotidien de l’autre lumière : « O Oriens, splendor lucis aeternae et sol iustitiae, veni ad illuminandos sedentes in tenebris et umbra mortis. » Le soleil chaqué jour nous représente la venue, la parousie, le lever de la splendeur de la lumière éternelle.
Cette promotion du Temple cosmique au Tempie ecclésial, la liturgie en garde la trace dans la fète de Noel, qui étaìt le Natale solis invicti des Romains. Ainsi le Christ nous apparaìt comme l ’héritier, non seulement de l ’ordre juif et du Temple mosaique, mais de l’ordre paien et du Temple cosmique.

Il allait hériter de la terre et de Rome et de la mer violette et de l’àpre Sion (Péguy).

Le caractère de Noel est de nous manifester cela, d’etre non dans la ligne et la suite et la séquence de l’attente juive, du cycle de Pàques, de la Pentecóte et des Tabernacles, dans la ligne des cultes pastoraux et de l’Orient juif — , mais d’étre dans la ligne de l’autre attente, celle des sages paiens qui observaient les astres et qui sont représentés près du berceau du Christ, par les mages voisinant avec les bergers. Car le soleil visible était la préfìguration paienne dans le Temple cosmique et l’attente du soleil invisible et d’une autre illumination , comme l’annuelle entrée dans le Temple du grand prètre était dans l’Áncienne Loi mosaique la préfìguration de l’entrée du véritable grand prètre dans le Temple céleste; et dans la Loi nouvelle il reste la représentation rituelle quotidienne, à la mesure de notre existence soumise au rythme du sommeil et de la nuit, du lever désormais acquis irréversiblement du soleil défìnitif. Un jour enfin ce soleil visible s’éteindra et seule brillerà la vraie lumière. Alors nous n’aurons plus besoin des figures, alors dans le ciel d’un jour éternel, nos yeux contempleront un soleil sans couchant, un perpétuel orient, le lever toujours nouveau du soleil de justice.

Natività: tu sei un mondo nuovo

Jean Daniélou, Carnets spirituels, 1940.

Natività: i sentimenti dei personaggi: la gioia di Maria, la profonda contemplazione e il silenzio di Giuseppe; che meravigliosa epifania; ma che gioia scoprire un amico in questo bambino; mi tende le braccia, e qui tutto diventa più chiaro e comprensibile, tutto diventa così semplice. O Gesù, stare con te, stare con te, dimenticando e ignorando tutto il resto, condividendo la tua povertà, la tua pietà. Tu sei un mondo nuovo, incredibilmente nuovo, senza rughe. Entrare in questo mondo con te, abbandonando tutto il resto, senza preoccuparsi di nulla. Lasciare tutti i vecchi vestiti, tutte le preoccupazioni. Inaugurare questa vita con te, il mio unico desiderio, il mio unico sogno, sempre rimandato. Fa’ che smetta di gironzolare ad ogni cespuglio lungo il cammino e segua la strada dritta e semplice, nella pietà, nella carità e nell’obbedienza. Nihil aliud.

originale in francese

Nativité: sentiments des personnages : la joie de Marie, le recueillement profond, le silence de Joseph ; quelle épiphanie merveilleuse ; mais quelle joie de découvrir en cet enfant un ami ; il me tend les bras, et voici que tout s’éclaire et s’explique, que tout devient si simple. O Jésus, être avec vous, rester avec vous, dans l’oubli et l’ignorance de tout le reste, partageant votre pauvreté, votre piété. Vous êtes un monde nouveau, incroyablement neuf, sans ride. Entrer dans ce monde avec vous, laissant tomber tout le reste, ne m ’inquiétant plus de rien. Laisser tous les vieux vêtements, tous les soucis. Inaugurer cette vie avec vous, m on seul vœu, mon seul rêve, toujours remis. Faites que je ne m’arrête plus à musarder à tous les buissons du chemin, que je suive la route toute droite et simple, dans la piété, la charité, l’obéissance. Nihil aliud.

Il Dio dei mistici

Jean Daniélou, in Dieu et nous, 1956 (italiano e francese)

Il Dio nascosto della Rivelazione non si fa conoscere solo attraverso le testimonianze che dà nella sua opera, il cui significato è rivelato dalla teologia speculativa. Si rivela anche direttamente all’anima. È il “Dio sensibile al cuore”, il cui fuoco ha consumato l’anima di Pascal durante la notte evocata nel memoriale. Ma è già questo Dio la cui presenza ha strappato Adamo da sé alla creazione della donna, misteriosa prefigurazione della creazione della Chiesa; è lui che si è manifestato a Mosè nelle tenebre e nel fuoco del Sinai; È il Dio dei santi e non dei teologi; o meglio, è il Dio sia dei teologi che dei santi, ma non solo dei teologi.
Ma i teologi ci spiegano cos’è questa esperienza dei santi. Ci dicono che la Trinità, toccando l’anima con la sua grazia, la eleva al di sopra di sé e la divinizza. La fa partecipare all’amore con cui Dio si ama e alla conoscenza con cui si conosce. A questa tenebra divina, inaccessibile all’uomo carnale, l’uomo spirituale è dotato di nuove disposizioni, di nuovi sensi, che lo connaturano ad essa e gli permettono di penetrarla. Queste nuove disposizioni sono le virtù teologali, i doni dello Spirito Santo, che rendono l’anima, ormai divina, capace di percepire le cose divine. Questo è ciò che l’occhio non ha visto né l’orecchio ha udito e che Dio ha rivelato a coloro che lo amano. E questa testimonianza di chi ha toccato Dio in questo modo è talmente sorprendente da essere, anche per chi non l’ha condivisa, uno dei motivi per credere in Dio.
Questa conoscenza mistica di Dio non è, come quella teologica, il risultato di un’intelligenza discorsiva illuminata dalla fede che cerca di comprendere le verità della Rivelazione. Si differenzia innanzitutto per il suo oggetto, che è la Trinità, come presente all’anima. Questa dimora di Dio nell’anima si colloca nella sequenza dei mirabilia Dei, nel disegno della storia della salvezza, nelle grandi opere della Trinità. Essa costituisce la realizzazione stessa di questo disegno di Dio, la fonte dell’adozione filiale. La conoscenza mistica è un aspetto di questa vita trinitaria. È la realizzazione da parte dell’uomo del suo essere più profondo, di ciò che Dio ha voluto realizzare creandolo: “La gloria di Dio è l’uomo vivente; e la vita dell’uomo è la visione di Dio”, diceva sant’Ireneo. Non si tratta quindi di una realtà eccezionale, ma della realizzazione da parte dell’uomo del suo vero essere.

Originale francese

le Dieu caché de la Révélation ne se fait pas connaître seulement à travers les témoignages qu’il se rend dans son œuvre et dont la théologie spéculative dégage la signification. Il se révèle aussi directement à l’âme. Il est le « Dieu sensible au cœur », dont le feu a consumé l’ame de Pascal durant la nuit qu’évoque le mémorial. Mais c’est déjà ce Dieu dont la présence arrachait Adam à lui-même, lors de la création de la femme, préfiguration mystérieuse de la création de l’Eglise ; c’est lui qui se manifestait à Moïse dans la ténèbre et le feu du Sinaï ; c’est lui dont le poids trop lourd accablait le cœur de Thérèse et de Xavier, de Philippe et de François, de Bernard et de Dominique ; c’est le Dieu des saints et non pas des théologiens ; ou mieux c’est le Dieu à la fois des théologiens et des saints ; mais non pas seulement des théologiens.
Mais les théologiens nous expliquent ce qu’est cette expérience des saints. Ils nous disent que la Trinité, en touchant l’âme de sa grâce, l’élève audessus d’elle-même et la divinise. Elle la fait participer à l’amour dont Dieu s’aime lui-même et à la connaissance dont il se connaît. Cette ténèbre divine, inaccessible à l’homme charnel, l’homme spirituel est doué de dispositions nouvelles, de sens nouveaux, qui le connaturalisent à elle et qui lui permettent d’y pénétrer. Ces dispositions nouvelles sont les vertus théologales, les dons du SaintEsprit, qui rendent l’âme devenue divine apte à percevoir les choses divines. C’est ce que l’œil n’a point vu ni l’oreille entendu et que Dieu a révélé à ceux qui l’aiment. Et ce témoignage de ceux qui ont ainsi touché Dieu porte en lui une évidence si étonnante qu’il est, même pour ceux qui ne l’ont pas partagé, une des raisons de croire en Dieu.
Cette connaissance mystique de Dieu ne relève pas, comme la connaissance théologique, de la démarche de l’intelligence discursive éclairée par la foi et cherchant à comprendre les vérités, de la Révélation. Elle en diffère d’abord dans son objet, qui est la Trinité, en tant que présente à l’âme. Cette demeure de Dieu dans l’âme se situe dans la séquence des mirabilia Del, dans le dessein de l’histoire du salut, dans les grandes œuvres de la Trinité. Elle constitue la réalisation même de ce dessein de Dieu, la source de l’adoption filiale. La connaissance mystique est un aspect de cette vie trinitaire. Elle est la réalisation par l’homme de son être le plus profond, de ce que Dieu a voulu accomplir en le créant : « La gloire de Dieu, c’est l’homme vivant ; et la vie de l’homme, c’est la vision de Dieu », disait saint Irénée. Il ne s’agit donc aucunement d’une réalité exceptionnelle, mais au contraire de la réalisation par l’homme de son être véritable.

Avvento, crisi e audacia

Jean Daniélou, Essai sur le mystère de l’histoire, 1952.

La spiritualità cristiana è l’impatto della storia della salvezza sulle vite individuali. È la consapevolezza della pienezza dei tempi, cioè del fatto che con la venuta di Cristo nel mondo è già successo l’evento decisivo nella storia dell’umanità. Il giudizio del mondo è iniziato. La storia sta entrando nel suo periodo critico. Questo periodo critico è il tempo della Chiesa. Per tutto questo tempo siamo in crisi, il che significa che non siamo in una situazione stabile e definitiva, ma provvisoria. Questo tempo è una perpetua venuta di Cristo, una perpetua Parousia, un perpetuo Avvento. La parola con cui Cristo inaugura la sua predicazione rimane la definizione: “Fate penitenza, perché il Regno di Dio è vicino“. “Dominus enim prope est“. “Il Signore è vicino! Tutto il tempo della Chiesa è costituito da questa vicinanza della Parousia, che si esprime con la perpetua venuta di Cristo nel mondo e nelle anime. Questo tempo è anche il tempo della decisione. Permette alle persone di scegliere per o contro Cristo. Il principio della vocazione cristiana è quello di aver capito che il momento era critico, che non si trattava più di adagiarsi in un’esistenza facile, che era necessario farsi un’anima commisurata a un tempo di crisi e, di conseguenza, essere interamente orientati alla soluzione di questa crisi, attraverso la missione.
La prima caratteristica della missione è l’audacia, cioè una certa capacità, contando non su se stessi ma sulla potenza di Dio, di affrontare tutte le difficoltà, siano esse provenienti dagli uomini, dalle cose o dagli Angeli maligni. “Abbiamo questa certezza attraverso Cristo in vista di Dio. Non è che siamo capaci da soli di concepire qualcosa che viene da noi stessi; ma la nostra capacità viene da Dio…”. (II Cor., iii, 4). Quindi questa sicurezza non deriva dal fatto che siamo in grado di fare qualcosa da soli. Ma la nostra capacità viene da Dio; è Lui che ci ha permesso di essere “ministri di una nuova alleanza (ministri = servitori), non della lettera ma dello spirito; perché la lettera uccide, ma lo spirito dà vita” (II Cor., iii, 6).

Originale francese

La spiritualité chrétienne est le retentissement, dans l’existence individuelle, de l’histoire du salut. Elle est la prise de conscience de la plénitude des Temps, c ’est-à-dire du fait qu’avec la venue du Christ dans le monde déjà l’événement décisif de l’Histoire de l ’Humanité est arrivé. Le Jugement du monde est commencé. L ’Histoire entre dans sa période critique. Cette période critique est constituée par le temps de l’Eglise. Pendant tout ce temps nous sommes en crise, c ’est-à-dire que nous ne sommes pas dans une situation stable, définitive, mais provisoire. Ce temps est une perpétuelle venue du Christ, une perpétuelle Parousie, un perpétuel Avent. Le mot par lequel le Christ inaugure sa prédication en reste la définition : « Faites pénitence, car le Royaume de Dieu est proche. » « Dominus enim prope est. » « Le Seigneur est proche! » Tout le temps de l’Eglise est constitué par cette proximité de la Parousie, qui s ’exprime par les perpétuelles venues du Christ dans le monde et dans les âmes. Ce temps est aussi le temps de la décision. Il permet aux hommes de choisir pour ou contre le Christ. Le principe de la vocation chrétienne c’est d’avoir compris que le moment était critique, qu’il ne s ’agissait plus de s ’installer dans une existence facile, qu’il fallait se faire une âme à la mesure d ’un temps de crise et, par conséquent être tout entier orienté vers la solution de cette crise, par la mission.
Un premier trait qui la caractérise sera dès lors l ’audace, c’est-à-dire une certaine aptitude, en s ’appuyant non pas sur soi-même, mais sur la puissance de Dieu, à affronter toutes les difficultés, soit qu’elles viennent des hommes, soit qu’elles viennent des choses, soit qu’elles viennent des mauvais Anges. « Cette assurance, nous l’avons par le Christ en vue de Dieu. Ce n’est pas que nous soyons capables par nous-mêmes de concevoir quelque chose comme venant de nous-mêmes ; mais notre aptitude vient de Dieu… » (II Cor., m, 4). Donc, cette assurance ne vient pas de ce que nous soyons capables par nous-mêmes d’accomplir quelque chose. Mais, notre aptitude vient de Dieu ; c’est Lui qui nous a rendus capables d’être « ministres d ’une nouvelle alliance (ministres = serviteurs), non de la lettre, mais de l’esprit : car la lettre tue, mais l’esprit vivifie ». (II Cor., iii, 6)

L’Immacolata Concezione e le nostre aspirazioni

Jean Daniélou, Carnets spirituels , 1939-40. Durante la Guerra

Immacolata Concezione, Bordeaux

Spéculum sine macula: Maria realizza perfettamente l’idea della creatura, che deve essere un’azione di grazia in risposta alla grazia, εικων, απεικονισμα, rapportarsi interamente a Dio, da cui si riceve interamente; e mostrare che questo spossessamento, lungi dal perderci, ci realizza, anzi ci salva perdendoci, poiché la nostra essenza è ricevere, dipendere – e che porsi come assoluto è snaturarci e morire davvero.
Accordo tra l’Immacolata e le aspirazioni del nostro cuore. Nostalgia del Paradiso perduto: un mondo di innocenza: l’alba di certi giorni, nella rugiada dei prati e dei rami, un tale sguardo di bambino:


“Quanto sei lontano, paradiso profumato,
dove in un azzurro limpido tutto è amore e gioia.
Dove tutto ciò che amiamo è degno di essere amato”.

Baudelaire

Nostalgia di un’umanità innocente e fraterna: l’Età dell’Oro e Isaia, Virgilio e Platone, Tommaso Moro e i socialisti: questa ricerca di un ordine migliore nel cuore stesso delle convulsioni del mondo attuale. Maria ha realizzato questo sogno dei nostri cuori: è entrata nel Paradiso dei nostri sogni. È bella, tota pulchra. Nessuna opacità, nessuna macchia, nulla che alteri la sua totale trasparenza: candor est lucis aeternae. Ci sono cose belle nel creato, le cime innevate o il mare all’alba; ci sono anime ammirevoli, di servizio disinteressato, di luminosa limpidezza. Ma ovunque sentiamo che ci sono dei limiti, tranne che in Maria. Quando è apparsa, è apparso un nuovo ordine hiems transit, flores apparuerunt. È l’ordine primitivo restaurato, il Paradiso ritrovato, l’innocenza riconquistata. È la pace ristabilita – gli angeli tornano a circolare tra cielo e terra – e già l’umanità fraterna di cui è madre e che, per il momento, incarna nella sua interezza. Una lezione e una forza: la lezione è mostrarci dove si trova la fonte della vera pace: la fonte della guerra è l’avidità e l’orgoglio; la fonte della pace è il distacco dai beni terreni e l’umiltà; ed è questo che Maria ci mostra. Questo è l’unico principio di un mondo in cui la felicità non si trova nel litigio ma nella condivisione dei beni, non nel dominio ma nel servizio; la forza è che Maria è disposta e capace di comunicarci la pienezza della grazia; ha a disposizione i tesori della grazia, ha trovato la grazia; e la grazia è l’unica cosa di cui abbiamo bisogno. Avviciniamoci dunque alle sue sorgenti, i sacramenti; beviamo profondamente dell’acqua e mangiamo il pane che danno la vita eterna e nutrono coloro che, con Maria e attraverso di lei, ianua caeli, sono tornati in Paradiso, irrigato dai quattro fiumi e dove cresce l’albero della vita. Un tesoro prezioso, un Graal incomparabile, che dobbiamo andare a cercare. Ascoltiamo il richiamo dentro di noi dell’innocenza, del Paradiso, della grazia perduta; sappiamo che nulla è irreparabile, che non c’è macchia che Lei non cancelli, non c’è ferita che Lei non guarisca, non c’è abbandono che Lei non visiti. Maria è lì, che ci tende le braccia. Volgiamoci verso di lei e riceviamo dalle sue mani la grazia che lei solo desidera comunicarci e che esaudisce il desiderio più profondo del nostro cuore.

Il cuore verginale. La purezza è l’assenza di contaminazione; ma un ideale negativo non sarebbe sufficiente: sarebbe soprattutto conservazione, rifiuto, paura e ignoranza. Quindi è qualcosa di molto diverso: è la fedeltà a un unico amore. Tale è il cuore di Maria: fin dall’inizio sedotto da Dio e sempre fedele a lui: Dilectus meus mihi et ego illi. Così la purezza ha un aspetto austero, ma è una fedeltà: è un amore inflessibile: fortis est sicut mors dilectio; – essere fedele all’amore, che rende l’anima estranea a tutto ciò che non è il suo amore, che la separa, la concentra, la raccoglie, la raccoglie in un’intimità dove trova tutto in colui che è il suo tutto. È un’ignoranza di tutto il resto, ma non un’ignoranza che non sa ciò che non sa, bensì un’ignoranza che vuole ignorare ciò che non vale la pena di conoscere. Ma non è strano dire che l’amore è duro e inflessibile? Non ci appare soprattutto come dolcezza e tenerezza? C’è una dolcezza nell’amore: Maria conosce questa dolcezza ed è la dolcezza della sua intimità con Dio; ma proprio perché possiede questo tesoro è forte e pronta a tutto per difenderlo. Il vero amore è come una melagrana che protegge la dolcezza del suo frutto con una scorza dura. Questo è il cuore verginale: non quello che non ama, ma quello che si salva per un solo amore; non quello che rifiuta di amare, ma quello che si conserva e si possiede per donarsi. I cuori che amano veramente sono cuori puri. Il male non potrà mai fare altro che diminuire il nostro amore. Ma questo amore esclusivo e verginale di Dio non separa l’anima dagli altri? Anche in questo caso, niente affatto. Ma la separa solo dal male. L’amore di Dio e l’amore per gli altri, lungi dall’essere opposti, sono una cosa sola; l’amore esclusivo di Dio ci porta nella comunità degli amici di Dio, espande il cuore lungi dal restringerlo, lo libera dai suoi limiti. E in questa formazione infinitamente delicata del cuore, non distrugge nulla; lascia che rimanga la giusta sfumatura di tutti i legittimi amori naturali; ma li purifica dai loro limiti, da ciò che li chiude, li esclude; li fa comunicare insieme e con l’amore di Dio. Ed è solo durante le fasi preparatorie che l’anima deve rompersi e frantumarsi per trovare Dio. Poi, fissata in Dio, trova in Lui tutte le altre. Visione della Vergine che schiaccia il serpente. È l’innocenza che sa e l’esperienza che non sa. Aderisce a Dio: Unus spiritus est. Santo, consacrato, tutto a Dio.

Originale in francese

Spéculum sine macula : Marie réalise parfaitement l’idée de créature qui est d’être action de grâce en réponse à la grâce, eikon, apeikonisma, de se rapporter tout entière à Dieu de qui elle se reçoit entièrement ; et montrer que cette dépossession, loin de nous perdre, nous réalise, ou mieux nous sauve en nous perdant, puisque notre essence est d’être reçu, de dépendre – et que c’est nous fausser et mourir vraiment que de nous ériger en absolu.

  1. Accord de l’immaculée et des aspirations de notre cœur. Nostalgie du Paradis perdu : monde d’innocence : l’aube de certains jours, dans la rosée des prés et des branches, tel regard d’enfant :
    « Comme vous êtes loin, paradis parfumé,
    Où dans un clair azur tout n ’est qu’amour et joie.
    Où tout ce que l’on aime est digne d’être aimé. »
    Nostalgie d ’une humanité innocente et fraternelle : l’âge d’or et Isaïe, Virgile et Platon, Thom as More et les socialistes : cette recherche d’un ordre meilleur au cœur même des convulsions du monde présent. Or, ce rêve de nos cœurs, Marie le réalise : elle est rentrée dans ce Paradis dont nous rêvons. Elle est toute belle, tota pulchra. Aucune opacité, aucune souillure, rien qui altère la totale transparence : candor est lucis aeternae. Il y a de belles choses dans la création, les cimes neigeuses ou la mer à l’aurore ; il y a des âmes admirables, de service désintéressé, de limpidité lumineuse. Mais partout nous sentons ici ou là des limites, sauf en Marie. Quand elle est apparue. c’est un ordre nouveau qui est apparu? hiems transit, flores apparuerunt . C ’est l’ordre primitir restauré, le Paradis retrouvé, l’innocence recouvrée. C ’est la paix rétablie – les anges circulent à nouveau entre le ciel et la terre – et déjà l’humanité fraternelle dont elle est la mère et pour le moment qu’elle incarne tout entière. Une leçon et une force : la leçon, c’est de nous m ontrer où est la source de la vraie paix : la source de la guerre, c’est la cupidité et l’orgueil ; la source de la paix, c’est le détachement des biens de la terre et l’humilité; or, c’est cela que nous montre Marie. C ’est là le seul principe d’un univers où l’on mettrait son bonheur non à se disputer, mais à se communiquer les biens, non à dominer, mais à servir ; la force, c’est que cette grâce dont elle a la plénitude, Marie veut et peut nous la communiquer, elle dispose des trésors de la grâce, elle a trouvé la grâce ; or, la grâce est la seule chose dont nous ayons besoin. Approchons-nous donc de ses sources que sont les sacrements, buvons à long trait l’eau et mangeons le pain qui donnent la vie éternelle et qui nourrissent ceux qui, avec Marie et par elle, ianua caeli, sont rentrés au Paradis, arrosé des quatre fleuves et où pousse l’arbre de vie. Trésor précieux, Graal incomparable, qu’il faut se mettre en route pour aller quérir. Ecouter l’appel en nous de l’innocence, du Paradis, de la grâce perdue ; sachons bien que rien n ’est irréparable, qu’il n ’est nulle souillure qu’elle n ’efface, nulle blessure qu’elle ne guérisse, nul abandon qu’elle ne visite. Marie est là qui nous tend les bras. Toum ons-(nous) vers elle et recevons de ses mains cette grâce qu’elle ne désire que nous communiquer et qui comble le vœu le plus profond de nos cœurs.
  2. Le cœur virginal. La pureté est absence de souillure ; mais un idéal négatif ne suffirait pas : ce serait avant tout préservation, refus, crainte et ignorance. Aussi est-ce bien autre chose : c’est la fidélité à un unique amour. Tel est le cœur de Marie : dès le début charmée seduîte par Dieu et qui toujours lui reste fidèle : Dilectus meus mihi et ego illi. Ainsi la pureté a bien un aspect austère, mais c’est qu’elle est une fidélité : c’est un amout inflexible : fortis est sicut mors dilectio; — d’être infidèle à l’amour, qui rend l’âme étrangère à tout ce qui n ’est pas son amour, qui la sépare, la concentre, la recueille, la rassemble dans une intimité où elle trouve tout dans celui qui est son tout. C ’est une ignorance de tout le reste, mais non l’ignorance qui ne sait ce qu’elle ignore, mais l’ignorance qui veut ignorer ce qui ne vaut pas la peine d’être connu. Mais n’est-ce pas étrange de dire que l’amour est dur, inflexible, ne nous apparaît-il pas avant tout douceur et tendresse ? Il y a une douceur dans l’amour : Marie connaît cette douceur et c’est la suavité de son intimité avec Dieu ; mais c’est justement parce qu’elle possède ce trésor qu’elle est forte et prête à tout pour le défendre. Le vrai amour est comme la grenade qui protège d ’une dure écorce la suavité de son fruit. Ainsi est le cœur virginal : non qui n ’aime pas, mais qui se garde pour un unique amour ; non qui se refuse, mais qui se préserve et qui se possède pour se donner. Les cœurs vraiment aimants sont les cœurs purs. Le mal ne peut jamais que diminuer en nous l’amour. Mais cependant, est-ce que cet amour exclusif, virginal de Dieu ne sépare pas l’âme des autres ? Ici encore aucunement. Mais elle ne la sépare que du mal. L ’amour de Dieu et l’amour des autres, loin de s’opposer, ne font qu’un ; l’amour exclusif de Dieu introduit dans la communauté des amis de Dieu, elle dilate le cœur loin de le resserrer, elle le libère de ses limites. Et dans cette infiniment délicate formation du cœur, elle ne détruit rien; elle laisse subsister la nuance propre de toutes les amours naturelles légitimes ; mais elle les purifie de leurs limites, de ce qui les ferme, les clôt; elle les fait communiquer ensemble et avec l’amour de Dieu. Et ce n’est que pendant les étapes préparatoires que l’âme pour trouver Dieu doit rompre et briser. Ensuite, fixée en Dieu, elle retrouve en Lui tous les autres. Vision de la Vierge écrasant le serpent. C ’est l’innocence qui sait et c’est l’expérience qui ignore. Elle adhère à Dieu : Unus spiritus est. Sainte, consacrée, toute à Dieu.

Avvento e missione: Cristo è colui che viene nelle anime

Jean Daniélou, Liminaire, 1958.

L’Avvento ci riporta a un mistero caro a tutti noi, quello della venuta di Cristo nei nostri cuori. C’è stato il primo Avvento, la venuta di Cristo nella carne. Ci sarà l’ultimo Avvento, che sarà il suo ritorno alla fine dei tempi. Ma tra i due c’è questo Avvento, che è coevo a tutto il tempo della Chiesa. Perché Cristo è sempre “colui che viene”. La nostra vocazione è di essere attenti a questa venuta. Perché c’è una parte immensa dell’umanità per la quale Cristo non è ancora venuto, che sta ancora aspettando. Ed è questa attesa che dobbiamo condividere con loro, anticipando la parusia del Signore con la preghiera e l’attesa.
Che gli altri siano attenti alle trasformazioni di questo mondo, ai cambiamenti delle strutture economiche, ai cambiamenti della società internazionale. Noi crediamo che gli eventi più profondi, i cambiamenti più fondamentali, siano quelli che avvengono nel mondo nascosto dei cuori. La conversione di una sola anima a Cristo si riverbera fino alle estremità del mondo spirituale. Ma quale lungo cammino, quale paziente preparazione, è il misterioso risultato. Siamo impegnati in questa attesa. Stiamo guardando la messe che diventa bianca.
Ma non si tratta di un’attesa passiva. Se vogliamo rientrare nei tempi di Dio, dobbiamo anche rientrare nella sua volontà salvifica. Dobbiamo credere che tutto è possibile per grazia, dobbiamo pregare con coraggio per coloro che ignorano Cristo. Non dobbiamo fermarci di fronte all’apparente impossibilità. Perché la grazia non è vincolata da nulla. Nel mezzo del nostro tempo, la grazia può portare alla conversione dell’Islam, al ritorno a Cristo dei Paesi comunisti, all’unione delle Chiese separate. Se la fede dei cristiani fosse più luminosa e la loro carità più intensa, abbatterebbero i confini e creerebbero i varchi attraverso i quali la grazia passerebbe. Ed è questa fede e questa carità che l’Avvento liturgico deve riaccendere in noi in preparazione all’Avvento missionario.

originale in francese

L’Avent ramène un mystère qui nous est cher entre tous, celui de la venue du Christ dans les coeurs. II y a eu le premier Avent, qui est la venue du Christ dans la chair. II y aura le dernier Avent, qui sera son retour a la fin du Temps. Mais entre l’un et l’autre il y a cet Avent qui est coextensif à tout le temps de l’Eglise. Car le Christ est toujours “celui qui vient”. Notre vocation est d’etre attentif à cette venue. Car il y a une part immense de l’humanite pour qui le Christ n’est pas encore venu, qui est encore dans le temps de l’attente. Et cette attente que nous devons partager avec elle, anticipant par la priere et hatant la parousie du Seigneur.
Que d’autres soient attentifs aux transformations de ce monde, aux modifications des structures economiques, aux changements de la sociéte Internationale. Nous pensons que les événements les plus profonds, les mutations les plus fondamentales sont ceux qui s’accomplissent dans le monde cache des coeurs. La conversion d’une seule âme au Christ retentit jusqu’aux extremites du monde spirituel. Mais de quels longs cheminements, de quelles preparations patientes est-elle le mysterieux aboutissement. Nous sommes engagés dans cette attente. Nous regardons blanchir les moissons.
Mais il ne s’agit pas là d’une attente passive. Si nous devons rentrer dans les délais de Dieu, nous devons entrer ausai dans sa volonté salvifique. Nous devons croire que tout est possible à la grace, Nous devons prier avec hardiesse pour ceux qui ignorent le Christ. Nous devons ne pas nous arrèter aux impossibilités apparentes. Car la gràce n’est enchainee par rien. Elle peut accomplir au milieu de nos temps la conversion de l’Islam, le retour au Christ des pays communistes, l’union des Eglises séparées. Si la foi des chrétiens était plus eclatante et leur charité plus intense, elles briseraient les cloisons et créeraient les brèches par ou la gràce passerait. Et ce sont cette foi et cette charite que l’Avent liturgique doit ranimer en nous en vue de l’Avent missionnaire.