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ritratto di una regina
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A differenza di quanto accade per altre regine o principesse del Quattrocento Isabella di Chiaromonte, prima moglie di Ferrante d’Aragona, è una figura tutta storica: da una parte infatti manca letteratura
encomiastica a lei rivolta direttamente o indirettamente e mancano
testimonianze umanistiche sul suo matrimonio o ancora sui suoi funerali; dall’altra le ricerche storiografiche del secolo scorso ci hanno
restituito il ritratto di una donna autorevole e forte, con la pubblicazione di alcune sue lettere e dei resoconti degli ambasciatori milanesi
durante i sei anni che videro il consorte impegnato sul campo per
affrontare la prima congiura dei baroni1. Eppure su di un particolare
episodio della biografia della regina, coerentemente ricostruita sui
1
Cfr. M. Vocino, Isabella di Chiaromonte, pia regina, virile ma buona massaia, in
Regine di Napoli, Napoli, s.d., pp. 83-92; B. Croce, Due letterine familiari di principesse italiane del Quattrocento, in Id., Aneddoti di varia letteratura, Bari, 1953, vol.
1, pp. 256-266 e I. Schiappoli, Isabella di Chiaromonte regina di Napoli, in Ead.,
Napoli Aragonese. Traffici e attività marinare, Napoli 1972, pp. 253-269. Per il periodo storico: E. Nunziante, I primi anni di Ferdinando d’Aragona e l’invasione di Giovanni d’Angiò, in «Archivio Storico per le Province Napoletane», XVII, 1892, pp.
299-357, 567-583, 731-779; XVIII, 1893, pp. 3-40, 207-246, 411-462, 563-617; XIX,
1894, pp. 37-96, 300-353, 417-444, 595-658; XX, 1895, pp. 206-264, 442-516; XXI,
1896, pp. 47-64, 204-240; XXII, 1897, pp. 144-210; E. Pontieri, Per la storia del
Regno di Ferrante I d’Aragona Re di Napoli, Napoli 1946; G. Galasso, Il Regno di
Napoli. Il Mezzogiorno angioino e aragonese (1266-1494), Torino, 1992, pp. 625-665;
Dispacci sforzeschi da Napoli, vol. 1. 1444-2 luglio 1458, a cura di F. Senatore, Napoli, 1997, vol. 2. 4 luglio 1458-30 dicembre 1459, a cura di F. Senatore, Napoli 2004 e
vol. 4. 1 gennaio-26 dicembre 1461, a cura di F. Storti, Napoli, 1998; F. Senatore, F.
Storti, Spazi e tempi della guerra nel Mezzogiorno aragonese. L’itinerario militare di re
Ferrante (1458-1465), Salerno, 2002.
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documenti d’archivio e sulle fonti classiche della storiografia napoletana da Irma Schiappoli in un saggio del 1972, siamo costretti a
sospendere il giudizio2.
Come ben si sa, alla morte di Alfonso il Magnanimo il figlio designato a succedergli si era dovuto scontrare con l’aperta ostilità prima
di Callisto III, poi dei più potenti tra i suoi sudditi, i baroni, che, guidati dal principe di Taranto, Giovanni Antonio del Balzo Orsini, avevano chiamato in Italia e appoggiato Giovanni d’Angiò3. Il 7 luglio
1460 Ferrante fu sconfitto presso il fiume Sarno: la disfatta fu terribile, il re rischiò di essere preso prigioniero e si rifugiò a Napoli4. Fu
Isabella a darsi da fare per risollevare le sorti finanziarie della corona.
Il più antico testimone di queste vicende, Giovanni Pontano, ci racconta che la regina si mostrò nelle piazze e nelle chiese insieme ai figli
piccoli per chiedere aiuto e appoggio al popolo:
Isabella Regina nunc in templis nunc publicis in locis sese civibus ostendere, praeferre parvos liberos Alfonsi nepotes dicere qui de populo Neapolitano tantopere esset bene meritos. cives eos esse Neapolitanos, italici generis, apud ipsos genitos altos educatos, non Gallicam praferre
insolentiam, non peregrinos mores in urbem illaturos, cum ipsorum liberis ac nepotibus aetate acturos, cum iis divitias honores magistratibus
distributim partituros, cum iis pueritiam, cum iis adulescentiam cumque
eisdem quoque senectutem exacturos, regias opes, regni administrantionem in eorum arbitrio ad manu futuram. Se vero quidnam aliud curaturam quam ut publice privatimque Neapolitani populi patrocinium gere2
Schiappoli, Isabella... cit., p. 264. I risultati della mia ricerca su questa vicenda
saranno resi noti in un volume di prossima pubblicazione.
3
Sul principe di Taranto cfr. A. Squitieri, Un barone napoletano del Quattrocento:
Giovanni Antonio Del Balzo Orsini Principe di Taranto, in «Rinascenza Salentina»,
n.s. VII, 1939, pp. 138-185; G. Antoniucci, Curiosità storiche salentine. 1. La corte
degli Orsini del Balzo, in «Rinascenza Salentina», n.s. XI, 1943, pp. 40-53; M. Paone, Arte e cultura alla corte di Giovanni Antonio del Balzo Orsini, in Studi di storia
pugliese in onore di G. Chiarelli, a cura di M. Paone, Galatina, 1973, vol. 2, pp. 59102; F. Tateo, La cultura umanistica, in Storia della Puglia. I. Antichità e Medioevo, a
cura di G. Musca, Bari, 1979, pp. 345-363; P. Sisto, Due medici, il Principe di Taranto e la peste. I trattati di Nicolò di Ingegne e Saladino Ferro da Ascoli, Napoli, 1986;
infine, sulla storia del principato di Taranto, cfr. G. Carducci, A. Kiesewetter, G. Vallone, Studi sul Principato di Taranto in età orsiniana, Bari, 2005.
4 Cfr. P. Manzi, La rotta di Sarno ovvero la battaglia degli Orsini (7 luglio 1460), in
«Samnium», XLVII, 1974, pp. 12-72 e F. Senatore, Cava e la battaglia di Sarno: un
episodio di mitologia cittadina, in «Rassegna Storica Salernitana», n.s. XV, 1998, 1,
pp. 259-271.
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re videretur? Haec dicendo lentos excitabat, excitatos impellebat,
impulsos confirmabat5.
I discorsi di Isabella vertevano non sui meriti di Ferrante, non sulla fedeltà dei sudditi, ma su quei bambini che ella portava con sé in
pubblico, additando in essi il futuro del regno, presentandoli come i
più legittimi, perché napoletani e italiani (a differenza di Alfonso e
Ferdinando), sovrani di Napoli. E le sue parole e forse anche le sue
minacce ebbero il giusto effetto se, come ci testimonia una cedola di
tesoreria del 31 luglio dello stesso anno, «diverse persone donano pei
bisogni della corte in S. Pietro martire 3786 ducati, 4 tarì e 4 grana»6.
L’intervento della regina in quell’occasione fu memorabile e il suo
valore e le sue virtù politiche non sfuggirono al Pontano che con
rispetto scrisse: «ipsa magna et excellens habebatur» e tracciò un breve ma efficace ritratto, ricordando, tra le altre cose, lo stretto legame
che univa Isabella con il primo nemico di Ferrante, il principe di
Taranto, che era suo zio. E quando, a conclusione del primo libro del
De bello Neapolitano, ragionava sulle cause che spinsero Giovanni
Antonio Orsini, proprio dopo la vittoria presso il Sarno, a sottrarsi
lentamente ma decisamente all’alleanza con Giovanni d’Angiò,
aggiungeva che il principe di nascosto mandò anche a Isabella dei
messi che la esortassero a stare di buon animo e rassicurassero il re.
Su questi fatti, l’azione di Isabella e i contatti con lo zio, esiste
anche la testimonianza della Cronica attribuita ad un contemporaneo
del Pontano, Notar Giacomo: la sua versione nella sostanza non differisce da quanto detto nel De bello Neapolitano, anche se la narrazione è più colorita e più densa di particolari. La regina «mandava ad
chiamare più cittadini che li prestassero denari et chi lo faceva volentieri li ringraciava et chi non li mandava presuni in castello et stava
5
Pontani De bello neapolitano et de sermone, Napoli 1509, f. CIII. Liliana Monti
Sabia ha fornito un’edizione parziale del De bello Neapolitano in Ead., Pontano e la
storia. Dal De bello Neapolitano all’Actius, Roma, 1995, pp. 73-171. Si vedano inoltre: F. Tateo, Astrologia e moralità in Giovanni Pontano, Bari, 1960; Id., Umanesimo
etico di Giovanni Pontano, Lecce, 1972; Id., I miti della storiografia umanistica,
Roma, 1990; A. Iacono, La «guerra d’Ischia» nel De bello neapolitano di Giovanni
Pontano, Napoli, 1996; G. Ferraù, Il tessitore di Antequera. Storiografia umanistica
meridionale, Roma, 2001, pp. 81-129.
6
Cfr. N. Barone, Le cedole di tesoreria dell’Archivio di stato di Napoli dall’anno 1460
al 1504, I, in «Archivio Storico per le Province Napoletane», IX, 1884, pp. 5-34: 15.
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con uno bacile como chi adomandasse la elemosina»7. Più che spontanee donazioni in favore della corona si trattava di una rigida imposizione, eppure la maniera in cui Isabella si presentò al popolo suggerì l’immagine del frate questuante, che concede indulgenza in cambio
di elemosina, piuttosto che quella di un esattore. È significativo che
Tristano Caracciolo nel suo De varietate fortunae concordi con il
Notar Giacomo: «vasculo ante se posito, velut stipem emendicaret...
inter preces et verba minas indicantia» dice infatti, sottolineando l’atteggiamento della regina8. E nelle annotazioni attribuite a Giuliano
Passero si legge addirittura: «et poi se travestì et stette a cercare la
limosina alla porta»9.
Negli scrittori di storia del Regno dunque tra la fine del Quattrocento e i primi trent’anni del Cinquecento Isabella viene presentata
come esempio di prudenza e di religio: l’episodio ripetuto direi coralmente è quello della raccolta di fondi nella chiesa di San Pietro Martire, una scena in cui la protagonista in un contesto religioso veste gli
abiti della questuante. Il Pontano e il Notar Giacomo inoltre parlano
di messaggi tra la regina e il principe di Taranto: ma se nel De bello
Neapolitano è quest’ultimo, il principe, a rassicurare la nipote, nella
Cronica è lei a chiedere allo zio un atto di pietas e a ricevere in risposta la conferma della sua immanitas. Il racconto di Notar Giacomo è
infatti molto più dettagliato rispetto a quello del Pontano:
mandò uno suo familiarissimo a lo principe de Taranto in Sarno et li
comese che li dicesse a boccha che grande gloria era la sua che una sua
nepote regina volesse fosse andato sperta per lo mundo e cazarla dal suo
regno. Lo quale li replicò: «Dicate ad mia nepote che quanta miglia sono
de Sarno in Napoli tanto farrò stare ad pigliare lo reame et ipsa è regina
et morerà regina».
Vale la pena di notare che le parole che si scambiano zio e nipote
ricordano in maniera significativa quelle che, secondo quanto riferi7
8
Notar Giacomo, Cronica di Napoli, a cura di P. Garzilli, Napoli 1845, pp. 102 s.
T. Caracciolo, Della varietà della Fortuna, in Opuscoli storici editi ed inediti, a cura
di G. Paladino, Bologna, 1934-1935 (RIS2 XXII, parte I), pp. 73-105: 76.
9
G. Passero, Istoria in forma di Giornali, a cura di V. M. Altobelli, Napoli 1785, p.
26. Il Passero fu commerciante di panni, telaiolo e visse sotto il regno di Ferdinando il Cattolico e di Carlo V; la sua testimonianza è particolarmente interessante per
i primi anni del Cinquecento.
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sce Loise de Rosa, Maria d’Enghien, madre del principe di Taranto e
nonna di Isabella, pronunciò a chi la metteva in guardia giustamente
dall’accettare la proposta di matrimonio di re Ladislao, che voleva
solo impadronirsi delle sue terre: «non me ne curo, chè se moro,
moro regina»10. Questo motto, che si ripete come un’eco attraverso le
generazioni, profuma di storia.
È proprio il contenuto del messaggio di Isabella e della risposta
del principe a costituire l’humus per quella che la Schiappoli ha chiamato la leggenda di una missione segreta della regina presso lo zio nei
giorni successivi alla disfatta del marito, leggenda che Marcello
Moscone, curatore della voce per il Dizionario Biografico, attribuisce
al Pontano seguendo un lapsus di Angelo Di Costanzo. Quest’ultimo
nell’Historia del Regno di Napoli raccontava:
fu fama, la quale il Pontano tiene per vera, che Isabella di Chiaramonte
Reina, vedendo le cose del marito disperate, si fusse partita da Napoli
con la scorta d’un suo confessore in habito di Frate di San Francesco et
fusse andata a trovare il Prencipe di Taranto suo zio e buttataseli ai piedi l’havesse pregato, che poi che l’havea fatta reina, l’havesse ancora fatta morire Reina, et ch’il Re11 l’havesse risposto che stessi di buon animo
che così farebbe.
Il contenuto della conversazione ricorda le parole di Notar Giacomo, ma per quanto concerne la risposta del principe («che stesse di
buon animo») si accorda con la testimonianza del Pontano, che tuttavia non parla mai di un incontro di Isabella con lo zio. La vera fonte del Di Costanzo sono i Diurnali del Duca di Monteleone, cronaca
che per le pagine che ci interessano è gravata dal sospetto di essere un
falso del Cinquecento12. La corrispondenza tra il testo della Historia
e quello dei Diurnali non è perfetta e lascio la questione del rapporto
10
Loise de Rosa, Ricordi, a cura di V. Formentin, Roma 1998, vol. 2, p. 534; e cfr.
M. de Nichilo, De Rosa, Loise, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 39, Roma
1991, pp. 171-174.
11
A. Di Costanzo, Historia del Regno di Napoli, L’Aquila, 1581, p. 444. Il testo della princeps recita qui «Re» al posto di «Principe», errore che fu corretto solo con l’edizione di Napoli del 1769. Cfr. P. Farenga, Di Costanzo, Angelo, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 39, Roma, 1991, pp. 742-747.
12
I diurnali del Duca di Monteleone, a cura di M. Manfredi, Bologna, 1958 (RIS2
XXI, parte V), p. 208.
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tra i due testi ad altro luogo. Bisogna notare tuttavia che in entrambi
manca l’episodio della raccolta dei fondi e in entrambi la missione
segreta di Isabella è l’unico e direi vago ricordo dell’azione della regina in favore del marito. Ed è importante sottolineare che quella dei
Diurnali, seguiti dal Di Costanzo, e più liberamente da Giacomo
Antonio Ferrari nello stesso arco di tempo (tra gli anni settanta e
ottanta del Cinquecento)13 è la prima attestazione di questa leggenda
nel regno. Prima di loro infatti non vi è traccia nelle cronache e nelle
storie del Mezzogiorno del viaggio di Isabella, e benché a partire dal
Seicento e per tutto il Settecento la storia narrata dal Di Costanzo
abbia avuto un certo successo, a cominciare dal Summonte14 fino a
Giovanni Bernardino Tafuri, la verità è che la leggenda non è nata a
Napoli, ma molto lontano, e le sue origini sono tutte letterarie.
La più bella e la più antica attestazione si legge nella biografia inserita da Sabadino degli Arienti all’interno della sua raccolta Gynevera
de le clare donne, portata a termine nella sua veste definitiva tra il 1490
e il 149215. È utile notare che prima di tutto l’autore della Gynevera
riferisce due episodi della biografia dell’illustre regina, che rimandano
alla virtù della pietas e della religio nei confronti della patria e del
marito. Il primo è quello dell’elemosina, nel secondo si narra appunto del viaggio che Isabella compì presso lo zio: l’Arienti riporta il discorso della regina, degno di essere paragonato a quello che la nobile
Veturia tenne al figlio Coriolano che assediava Roma, descrive la commozione del principe e conclude che Ferrante fu legittimamente coronato re di Napoli da Pio II. Negli anni ottanta del Quattrocento l’A-
13
I.A. Ferrari, Apologia paradossica della città di Lecce, a cura di A. Laporta, Lecce,
1977, pp. 443 s.
14 G.A. Summonte, Dell’Historia della città e regno di Napoli, Napoli, 1640, III, p. 290.
15 G.S. degli Arienti, Gynevera le clare donne, a cura di C. Ricci e A. Bacchi della
Lega, Bologna, 1887; cfr. F. Patetta, Sulla «Glycephila» di Mario Filelfo in un nuovo
esemplare autografo di Giovanni Sabadino degli Arienti, e sulla data di composizione
della «Gynevera de le clare donne», in «Atti della R. Accademia d’Italia. Rendiconti
della Classe di scienze morali e storiche», s. VII, II, 1941, 9, pp. 275-341; V. Zaccaria, La fortuna del De mulieribus claris del Boccaccio nel secolo XV: Giovanni Sabbadino degli Arienti, Iacopo Filippo Foresti e le loro biografie femminili (1490-1497), in
Il Boccaccio nelle culture e letterature nazionali, a cura di F. Mazzoni, Firenze, 1978,
pp. 519-545; S. D. Kolsky, Men Framing Women: Sabadino degli Arienti’s «Gynevera de le clare donne» Reexamined, in Visions and Revisions. Women in Italian Culture, ed. by M. Cicioni, N. Prunster, Providence, 1993, pp. 27-40; C. James, Giovanni
Sabadino degli Arienti: a Literary Career, Firenze, 1996.
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rienti non poteva leggere le cronache partenopee, né tantomeno il De
bello Neapolitano del Pontano: le sue uniche fonti erano i racconti orali, le conversazioni di attualità che si tenevano presso i salotti mondani tra Bologna e Ferrara. Non di tutto quello che sentiva poteva verificare l’esattezza e la correttezza e le sue scelte erano funzionali ai contesti che voleva ricostruire e ai destinatari delle sue opere. L’episodio
che aveva sentito raccontare sulla madre della duchessa Eleonora,
sposa di Ercole d’Este e signora di quella corte che rappresentò per
lui un punto di riferimento costante negli ultimi anni, aveva sicuramente attirato la sua attenzione. Quell’exemplum di pietas inserito nella biografia della regina Isabella, ritratto di donna risoluta e coraggiosa, ma soprattutto di donna di potere, prudente e religiosa, efficacemente arricchito dal parallelo con l’impresa memorabile della romana
Veturia, per un cronista mondano come l’Arienti rappresentava una
buona occasione per presentare i suoi omaggi a Eleonora d’Aragona,
alla quale spedì una copia della vita della madre già nel settembre del
1491. Agli occhi della prima lettrice quelle pagine non offrivano solo
il ricordo della regina scomparsa da anni, ma proponevano un’immagine femminile nella quale rispecchiarsi, nella quale rivedere le sue
stesse esperienze di donna di governo.
Il lettore moderno di questa vita, alla ricerca del dato cronologico, potrebbe notare che l’incoronazione di Ferrante era avvenuta un
anno prima dei fatti di Sarno, chiedersi se l’incontro di cui parla l’Arienti si sia realmente svolto all’indomani della battaglia o in un altro
momento, e potrebbe anche credere infine ad una elaborazione letteraria e fantastica dell’Arienti, togliendo valore storico alle sue parole.
Ma perché non pensare che Isabella di Chiaromonte, di sua spontanea iniziativa o su suggerimento dei consiglieri del marito, nei mesi o
negli anni difficili che seguirono la morte di Alfonso abbia chiesto al
potente e temuto zio di non ostacolare la salita al trono dello sposo e
di permettere che fosse regina alfine, dato che per essere regina aveva sposato il duca di Calabria, ricordandogli la promessa fatta al
Magnanimo, il giorno delle sue nozze, di appoggiare la successione di
Ferrante? Ma fece veramente quel viaggio? Ebbe tanto ardire?
Nessuna testimonianza storica contemporanea ci potrà mai restituire la verità dei fatti: che sia avvenuta nel 1460 o nell’anno precedente o in un altro ancora la missione di Isabella, se fu segreta, è destinata a rimanere segreta. Ma la letteratura, attingendo ai ricordi dei
contemporanei, ha comunque restituito a questa vicenda un posto
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nella storia, a dispetto delle scelte della storiografia aragonese. Nonostante la scarsissima circolazione manoscritta della Gynevera16, questa biografia, tra la fine del Quattrocento e la metà del secolo successivo, giunse presso i lettori del regno e gli scrittori napoletani da quel
momento in poi assorbirono e fecero propria la leggenda. Non credo
che sia stato il Di Costanzo il primo a scegliere di narrare la seconda
delle imprese descritte dall’Arienti, preferendola all’episodio dell’elemosina, ma chi scrive dopo il Di Costanzo naturalmente le racconta
entrambe, apparentemente seguendo l’ordine della Gynevera, ma in
realtà attingendo a due momenti diversi della storiografia napoletana,
di cui il secondo, quello cinquecentesco, aspetta ancora oggi uno studio critico.
16
L’Arienti chiedeva al Tebaldi di informarsi «se a la Excellentia de Madama [Eleonora] è piaciuta quella vita della felicissima memoria della quandam Serenissima
Regina sua matre che io li ho mandata per epso mio figliuolo perché non ne ho inteso cosa alcuna da risposta da la Excellentia de Madama» (The Letters of Giovanni
Sabadino degli Arienti (1481-1510), ed. by C. James, Firenze, 2002, pp. 120 s.). Tra i
manoscritti posseduti dalla duchessa di Ferrara dunque vi era anche una copia della
vita di Isabella, pochissimi fogli destinati a scomparire nel tempo, e potrebbe essere
stata Eleonora a far conoscere questa novella a Napoli. Su di lei: L. Chiappini, Eleonora d’Aragona, prima duchessa di Ferrara, Rovigo, 1965 e W.L. Gundersheimer,
Women, Learning and Power. Eleanor of Aragon and the Court of Ferrara, in Beyond
their Sex. Learned Women of European Past, ed. by P.H. Labalme, New York, 1980,
pp. 43-65.