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Orécchio

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orecchio


orécchio s. m. [variante di orecchia]. – 1. Organo pari dei vertebrati, situato ai due lati del capo, che ha la caratteristica funzione dell’udito e partecipa, insieme ai centri encefalici e midollari, alla regolazione dell’equilibrio statico e dinamico; nell’uomo e negli altri mammiferi è costituito da un complesso di strutture in cui si distingue un o. esterno (padiglione auricolare), che raccoglie il suono, un o. medio, che, separato dal primo mediante la membrana del timpano e situato nello spessore dell’osso temporale, contiene tre elementi ossei (martello, incudine, staffa) articolati a costituire la catena degli ossicini, e ha il compito di trasmettere il suono, e un o. interno, sensitivo, contenuto in un sistema di cavità scavate nella rocca petrosa del temporale - cavità che nel loro insieme costituiscono il labirinto osseo –, distinto in anteriore (coclea) e posteriore (vestibolo e canali semicircolari), il quale funziona anche come organo di equilibrio. La struttura è variamente semplificata nei vertebrati inferiori, nei quali l’orecchio esterno è frequentemente assente, il medio spesso modificato o assente, e quello interno in alcuni casi ridotto alle strutture che regolano l’equilibrio. Per quanto riguarda l’alternanza nell’uso delle forme orecchio e orecchia, v. orecchia; rimane perciò sottinteso che, nella maggior parte dei sign., degli usi e delle locuz. che seguono, in senso proprio e fig., può essere, o si sente, adoperato anche il femm. orecchia, tranne che nel linguaggio più propriam. anatomico, dove la forma orecchio è senz’altro prevalente. a. Con riferimento generico all’organo nel complesso della sua struttura: il padiglione, il timpano, gli ossicini dell’o.; l’o. destro, sinistro; pop., i buchi degli o., i due condotti auditivi; avere mal d’orecchi, per processi infiammatorî o per altre affezioni; sentire un ronzio negli o.; sentirsi fischiare gli o., sentirvi dentro come un sibilo (quando questo avviene, vi è il pregiudizio pop. che in quel momento qualcuno sparli di noi, oppure, secondo altra credenza, che parli bene se fischia l’orecchio destro, male se fischia il sinistro). b. Con riferimento più diretto alla funzione uditiva: parlare all’o., perché altri non senta; dire una parolina in un o.; confidare in un o.; sussurrare, bisbigliare all’o.; mormorare in un o., soprattutto confidando pettegolezzi o maldicenze; assordare, stordire gli o., con grida o rumori o anche, scherz., con chiacchiere; colpi che rintronano gli o. (o negli o.); urla che lacerano gli o.; Il duro capitan, qualor tra l’armi, Sgangherando le labbra, innalza un grido Lacerator di ben costrutti o. (Parini); tapparsi, turarsi gli o., con le mani, per non udire rumori, grida o, in senso proprio o fig., per non volere ascoltare; l’ho sentito con i miei o., frase usuale per asseverare la veridicità di quanto si riferisce; ho ancora negli o. la sua voce, o quel grido, quell’invocazione, mi risuonano ancora all’o. le sue parole, e sim., ne conservo viva tuttora l’impressione uditiva (fig., con allusione a un’impressione più intima, a un ricordo vivo nello spirito: quante volte avrebbe voluto sentir davvero la voce di colei, qualunque cosa avesse potuto minacciare, piuttosto che aver sempre nell’intimo dell’orecchio mentale il susurro fantastico di quella stessa voce, Manzoni); venire, giungere, arrivare agli o., di voce o suono, essere percepito, ma si dice spesso di notizia di cui si viene a conoscenza indirettamente, nel suo diffondersi di bocca in bocca (con sign. affine a avere sentore): agli o. della Gostanza pervenne Martuccio Gomito esser vivo (Boccaccio); un giorno o l’altro il fatto potrebbe arrivare agli o. del direttore; è cosa che non giunge nuova al mio o. (o ai miei o.), di cui ho già sentito parlare; fig., qui anche i muri hanno orecchi, raccomandando di parlare piano o di tacere, in luogo dove si sa o si teme di essere ascoltati, spiati; avere il cotone negli o., avere gli o. foderati (a cui spesso si aggiunge di prosciutto), di chi non sente o non vuole sentire. Di origine biblica le frasi: hanno orecchi e non odono, allusiva a chi, pur essendo in condizione di poter conoscere la verità, si rifiuta di accettarla e seguirla (cfr. Salmi 113, 14 e 134, 17: aures habent et non audient; espressioni simili in Geremia 5, 21 e in Ezechiele 12, 2); chi ha orecchi da (o per) intendere, intenda, o semplicem. chi ha orecchi intenda, modo con cui si conclude un avvertimento oppure un discorso di tono vago e generico che s’intende però dirigere a persone determinate (cfr. Matteo 11, 15; Marco 4, 9; Luca 8, 8 e 14, 35: qui habet aures audiendi audiat; e nella forma si quis habet ecc. in Marco 4, 23 e 7, 16). Con altro senso il prov. chi ha orecchie intenda, chi ha denaro spenda, per dire che ci rimette quasi sempre del suo chi non vuole ascoltare i saggi consigli. c. Locuz. particolari: porgere, prestare, letter. porre orecchio, stare a sentire, prestare attenzione a chi parla; anche col plur.: Porgea gli o. al suon della tua voce (Leopardi); letter., piegare l’o. o gli o., disporsi benevolmente ad ascoltare: amici or piega, Giovin signore, al mio cantar gli o. (Parini); aprire gli o., in frasi imperative, fare bene attenzione a ciò che si dice: Apri li o. al mio annunzio, e odi (Dante); tendere l’o., stare in orecchi, stare con gli o. all’erta, stare intento per afferrare le parole, per avvertire un suono o rumore, e sim.: da quel tempo in qua ella sta in orecchi come la lepre (Machiavelli); cominciò a stare in orecchi, per sentire se il chirurgo arrivava (Manzoni); essere tutt’orecchi, concentrare tutta la propria attenzione in ciò che viene detto: di’ pure, sono tutt’orecchi; fare orecchio (o gli o.) a qualche cosa, abituarsi a sentirla; da quest’o. non ci sente, è un argomento, una questione su cui non è disposto a cedere, a trattare; com. la frase fare orecchi (o orecchie, meno com. fare orecchio) da mercante (tosc. di mercante), fare il sordo, fare finta di non sentire; gli entra da un o. e gli esce dall’altro, di persona che dimentica subito ciò che ha sentito o che non ha memoria per ciò che le viene insegnato (in prima persona, è anche frase con cui si assicura altri della propria segretezza: puoi dirmelo senza timore, perché a me le cose mi entrano da un orecchio e mi escono dall’altro); non avere orecchi, non stare a sentire ciò che altri dice, o, anche sentendo, essere persona segreta e fidata: è un servitore che non ha orecchi; mettere una pulce in un o., fam., mettere qualcuno in uno stato di dubbio, di sospetto. 2. a. Per estens., l’udito stesso, in relazione alla sua maggiore o minore sensibilità: avere gli o. buoni, sentirci bene (ma avere buon o., anche di chi è pronto ad afferrare quanto altri dice, per ritorcere eventualmente le parole a suo danno o per fare la spia); avere o., o essere di o., fine; essere duro d’orecchi o d’orecchio, sentirci poco, essere mezzo sordo. b. Alludendo al sentimento con cui si dà ascolto alle parole d’altri: porgere o. benigno; prestare o. paziente, ecc.; e per indicare i sentimenti, le reazioni affettive o morali che le parole di altri possono provocare: ciò che tu dici giunge gradito al mio o.; è un nome che suona caro al nostro o.; parolacce, bestemmie, discorsi volgari che offendono l’o.; in espressioni come o. casti, puri, innocenti, si allude al candore, all’ingenuità della persona che ascolta (quasi sempre in senso fig. o scherz.). c. Con riferimento alla sensibilità estetica per i suoni, la poesia, la musica: avere un o. fine, squisito, o grossolano, rozzo; o. educato a sentire e gustare la bellezza dei versi, della musica; suoni grati all’o.; incontro di vocali, di consonanti che spiace all’o.; c’è qualcosa in questo verso che disturba l’o.; musica che strazia gli orecchi. In partic., o. musicale, la facoltà d’intendere la musica e di apprendere facilmente le melodie, o di sentire bene l’intonazione, il ritmo; anche semplicem. orecchio, in molte locuz.: avere, non avere orecchio, essere o no capace di distinguere le intonazioni giuste e false, e di cantare con intonazione esatta (con senso più ampio, anche di chi ha o no sensibilità per gli accenti delle parole, per il ritmo e l’armonia delle frasi, e sim.); esercitare, educare l’orecchio, e sim. Cantare, suonare a orecchio, senza conoscere la musica o ripetendo i motivi a memoria; per estens., ripetere a o., fare eco a parole, giudizî, teorie espresse da altri a voce o in iscritto senza meditare sul loro vero significato, e quindi superficialmente, a un dipresso. O. assoluto, capacità dell’udito di riconoscere, per un misto di connaturalità e di educazione musicale, l’altezza delle note che si ascoltano, potendole quindi identificare per nome ed eventualmente trascrivere nella tonalità corretta (si contrappone all’o. relativo, che è la capacità di riconoscere gli intervalli tra le note, ma non le note stesse); per un diverso uso di o. assoluto, v. oltre, nel sign. n. 5. 3. In moltissimi casi, la parola indica solo la parte esterna dell’orecchio, cioè il padiglione: il lobo dell’o.; avere gli o. grandi, a sventola; con gli o. rossi, blu per il freddo; o. puliti, sporchi; dare a qualcuno una tirata d’orecchi (anche fig., rivolgergli un rimprovero, un ammonimento); prese il ragazzino per un o. e lo mise alla porta; gli addentò, gli morse un o.; traforamento o taglio degli o., punizione medievale, che si trova sancita negli statuti comunali; mettere la mano all’o. (o fare con la mano ala all’o.), per sentire meglio; calcarsi il berretto sugli o.; diventò rosso fino agli o.; ha una bocca larga fino agli o., iperb. di chi ha la bocca molto grande (e analogam., aprire la bocca fino agli o., fare un sorriso largo fino agli o., e sim.). Di animali, o. acuti, aguzzi, ritti, pendenti; drizzare gli o.; o. lunghi (e più spesso orecchie lunghe), dell’asino; fig., avere gli o. lunghi, essere un asino, essere ignorante (con altro sign., sentire bene da lontano, avere l’udito fine); andarsene con gli o. bassi, del cane ch’è stato sgridato o bastonato, e fig., di persona, rimanere mortificato, ritirarsi mogio mogio. 4. Usi analogici, connessi con il sign. prec.: a. Piegatura agli angoli di un foglio: v. orecchia, che in questa accezione è forma più comune. b. Prominenza o rilievo laterale, di forma tondeggiante, di varie cose (macchine, costruzioni, oggetti d’uso, recipienti, ecc.). In partic., nell’aratro, la parte superiore dello scoticatore o avanvomere, detta anche orecchietta; talora il nome è usato invece come sinon. di versoio. c. Figura del pattinaggio artistico su ghiaccio, eseguita su un solo piede, nella quale si traccia un disegno simile al padiglione di un orecchio. 5. In elettroacustica e in acustica fisiologica, o. artificiale, ricevitore, per es. un microfono, la cui risposta acustica è simile a quella dell’orecchio umano e che può pertanto sostituirsi a questo nelle prove di audiometri, trasduttori elettroacustici, ecc.; o. normale, o o. assoluto, è un orecchio artificiale la cui risposta acustica corrisponda perfettamente all’audiogramma normale, e come tale atto quindi a simulare il comportamento di un orecchio umano «normale». 6. In botanica, con l’aggiunta di una specificazione, nome com. o region. di varie piante che, per la forma di qualche loro parte o per altre caratteristiche, ricordano l’orecchio umano o animale (in taluni luoghi è usato per esse il masch. orecchio, in altre il femm. orecchia, secondo la forma prevalente nelle singole regioni); così, o. d’asino, o. di lepre indicano in più luoghi varie specie di piantaggine; o. di lupo, o. di gatto, alcune specie del genere aro; o. di olivo, tosc., il fungo dell’olivo (Clitocybe olearia o Pleurotus olearius); o. di topo, tosc., la pelosella, alcune specie di cerastio e altre piante. In partic.: o. di Giuda (Auricularia auricula-judae), fungo basidiomicete delle auriculariacee, mangereccio, comune anche in Italia su tronchi di latifoglie, e in partic. del sambuco, così chiamato per la forma del ricettacolo simile alla forma dell’orecchio, di color bruno, vellutato superiormente e largo fino a 12 cm; o. d’orso (Primula auricula), erba perenne che cresce su rupi calcaree nelle Alpi, negli Appennini e nei Carpazî, con una rosetta di foglie carnose, dal cui centro sorge uno scapo alto fino a una quindicina di cm, che porta all’apice un’ombrella di fiori gialli con fauce bianca. 7. O. di Dionisio (o di Dionigi), grotta artificiale (lunga 65 m, alta 23 m) situata nei pressi di Siracusa, con pianta a forma di S e ingresso simile al condotto auditivo dell’orecchio umano (donde il nome), usata nell’antichità classica come prigione; è stata probabilmente la sua caratteristica risonanza a far nascere la leggenda ch’essa fosse stata costruita dal tiranno Dionigi per poter ascoltare le voci dei prigionieri ivi rinchiusi. ◆ Dim. e vezz., poco com., orecchiùccio; accr. orecchióne, che ha inoltre sign. proprî particolari (v. la voce); pegg. orecchiàccio.

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