DAL MYANMAR/ I golpisti umiliano Aung San Suu Kyi, ma sono “bocciati” dalla Cina

- Lettera firmata

Il regime militare birmano ha trasferito Aung San Suu Kyi ai domiciliari. Ma non sono i domiciliari nostri. Intanto la Cina è scontenta della giunta

myanmar birmania 1 ansa1280 640x300 Prigionieri del regime liberati il 17 aprile attesi dai familiari a Yangon (Ansa)

Caro direttore,
approfitto della tua ospitalità per informarvi di una non-notizia e di una notizia.

Mentre il popolo festeggiava l’ultimo giorno della tradizionale “Festa dell’Acqua” del nostro capodanno, i generali hanno silenziosamente trasferito la Lady (come la chiamiamo noi) – ex leader della Birmania e Premio Nobel Aung San Suu Kyi, 78 anni, condannata a 27 anni di prigione – agli “arresti domiciliari” insieme ad altri 3.303 detenuti che sono stati graziati o hanno vista ridotta la loro pena. Tra questi anche il presidente in carica al momento del golpe U Win Myint che ora è agli “arresti domiciliari” nella medesima città.

Primo problema: il numero dichiarato è 3.303, ma sarà vero? Secondo problema: ho il timore che questa notizia giunga in Occidente in modo distorto, per questo mi affretto a scriverti.

Innanzitutto qui il concetto di “arresti domiciliari” è ben diverso da quello occidentale. La Lady non è a casa sua, a Rangoon con i suoi famigliari. È sempre a Naypyitaw (la nuova capitale amministrativa della Birmania) ma solo in un’altra abitazione, che però dispone di aria condizionata. Tutto qui. Non è cambiato nulla: bontà loro, ora ha l’aria condizionata. Per questo parlo di non-notizia, temo spacciata diversamente in Occidente a cui molti giornalisti frettolosi si sono accodati.

La giunta ha detto che questi provvedimenti sono stati presi a favore dei detenuti che, visto il caldo che impera, potrebbero avere problemi. Quindi l’entusiasmo va fortemente ridimensionato: la Lady rimane agli arresti, non è a casa sua e questo provvedimento non è ad hoc ma riguarda 3.303 detenuti. Ergo: nessuna preferenza, nessun riconoscimento di autorevolezza.

Perché farlo? È una questione di opportunità: la Lady non può morire per il caldo e per capodanno è tradizione che vi sia un gesto di grazia.

Ma giusto per farvi capire la malvagità e la falsità del potere vi segnalo che negli stessi giorni sono stati arrestati molti leader cristiani. In particolare c’è la tragica situazione che riguarda una persona che conosco. L’ex presidente della Kachin Baptist Convention (KBC), il reverendo Hkalam Samson, ministro della Chiesa battista, arrestato due anni fa all’aeroporto di Mandalay quando stava per recarsi in Thailandia per esami medici e condannato a 6 anni di reclusione con l’accusa di associazione illegale, diffamazione e terrorismo. Dopo 16 mesi di carcere a Myitkyina, nello stato Kachin, attraverso l’interessamento di Amnesty International, è stato liberato. Festa grande fra i Kachin di fede battista!

Peccato che dopo poche ore sia stato riarrestato. Conclusione, i generali non sanno cosa sia il concetto di “stato di diritto”: il potere giudiziario è totalmente asservito ma conoscono bene l’arte dell’informazione.

Fine della non-notizia. Inizio della notizia: c’è speranza?

Sul fronte militare ribadisco il grave stato di crisi dei golpisti: numerose sono le notizie di truppe regolari che si arrendono, disertano o cercano rifugio in Thailandia, ecc. Il nostro “Grande Vicino” è sempre più irritato perché i golpisti a cui aveva dato “semaforo verde” non controllano il Paese.

L’aspetto più immediato per loro è che i convogli da e per la Cina sono bloccati ai valichi. Ma oltre questa necessità immediata, per loro c’è bisogno che il nostro sia un Paese pacificato ove poter fare i propri investimenti. Però l’Occidente, che potrebbe in questo quadro di impasse svolgere un ruolo decisivo, non dà segni di vita. C’è un vuoto: è questo il momento per intervenire e ritornare protagonisti in quest’area.

Le questioni sono queste: la vicinanza con la Cina, la sua capacità economica/finanziaria/demografica ci impongono di essere realisti ma – proprio per queste ragioni – i birmani di qualsiasi etnia temono l’ingerenza cinese affinché non si diventi il nuovo Tibet. L’Occidente potrebbe svolgere un ruolo e perché i birmani desiderano uno sviluppo sul modello thailandese. Che certamente non è perfetto, ma ha garantito uno sviluppo al Paese.

Non voglio essere cattivo profeta, ma in assenza di global maker e in un quadro politico mondiale polarizzato sulle crisi Israele e Ucraina, in presenza di un “vuoto”, se a qualcuno a Pechino venisse in mente di intervenire direttamente o indirettamente per risolvere la questione birmana, per quanti giorni ne parlereste nei telegiornali?

Ma questo è un lungo discorso. Ne parleremo, se ne avremo ancora la possibilità, la prossima volta.

(Un lettore dal Myanmar)

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