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Debito pubblico italiano: cos’è, a quanto ammonta e chi lo detiene

Debito pubblico italiano: cos'è, a quanto ammonta e chi lo detiene

Da molti anni l’economia italiana è gravemente condizionata dall’enorme debito pubblico del Paese. Qualsiasi manovra di politica economica deve tener conto dell’impatto che ha sul debito e di riflesso sui mercati internazionali. L’Italia è il Paese in Europa con il più alto indebitamento, dopo la Grecia. Mentre, a livello mondiale risulta al quinto posto dietro Giappone, Grecia, Sudan ed Eritrea. Entriamo più nel dettaglio per scoprire cosa è effettivamente il debito pubblico, a quanto ammonta in Italia e chi sono i soggetti che lo detengono.

 

Debito pubblico: cos’è

Il debito pubblico non è altro che il debito contratto da uno Stato nei confronti di una pluralità di soggetti con lo scopo di finanziare la spesa nazionale. Tali soggetti possono essere privati cittadini nazionali (e anche internazionali) e investitori istituzionali interni ed esteri. I servizi che sono coperti grazie al debito pubblico riguardano la pubblica utilità, le opere infrastrutturali, la sanità, l’istruzione, l’assistenza e molto altro.

Il debito pubblico non deve essere confuso con il deficit nazionale. Quest’ultimo rappresenta la differenza negativa tra le entrate e le uscite nel bilancio annuale di uno Stato. Ciò significa che il Paese spende più di quanto incassa dalle tasse e dalla gestione degli asset pubblici. Il gap viene coperto proprio attraverso l’emissione di debito pubblico. Questi potrebbe definirsi come l’accumulo di deficit dopo aver rimborsato le obbligazioni in scadenza.

Il debito pubblico non copre solamente la spesa pubblica ma anche gli interessi che lo Stato deve pagare per prendere a prestito denaro. Gli interessi sono particolarmente onerosi se un Paese è fortemente indebitato come l’Italia e finiscono per pesare enormemente sul risultato di bilancio annuale. Infatti, per moltissimi anni l’Italia è stata in avanzo primario (entrate maggiori delle uscite), ma ha sistematicamente prodotto deficit perché gli interessi sul debito pubblico erano elevati – non tanto per l’aliquota sostenuta ma per la mole della base imponibile sulla quale essa veniva calcolata.

 

Debito pubblico: la gestione

Gestire il debito pubblico è quanto di più difficile i responsabili di governo di un Paese possono affrontare. Una gestione poco oculata può far andare la situazione fuori controllo alimentando una scarsa fiducia da parte degli investitori, che per acquistare il debito pretendono interessi più alti. Di conseguenza, un governo si trova costretto a tagliare la spesa pubblica – e magari i servizi essenziali ai cittadini – e/o ad aumentare le tasse per coprire anche la componente degli interessi finanziari.

La politica monetaria della Banca centrale è altrettanto importante. Un aumento dei tassi d’interesse o in genere una restrizione monetaria tramite vendita o riduzione degli acquisti dei titoli di Stato o aumento della riserva obbligatoria delle banche contribuiscono a far salire i rendimenti sul mercato mettendo in difficoltà il pagamento degli interessi da parte dello Stato. Viceversa, un taglio del costo del denaro o un’espansione monetaria, attraverso il canale del calo generalizzato dei rendimenti, alleggeriscono la pressione degli oneri sul debito pubblico.

 

Il Patto di Stabilità e Crescita

I Paesi che fanno parte dell’Eurozona devono attenersi a dei vincoli di bilancio imposti dal Patto di Stabilità e Crescita, che mira a salvaguardare la stabilità dei conti pubblici nazionali nel rispetto dell’integrità del sistema finanziario a livello comunitario. Le principali regole che devono essere rispettate sono le seguenti:

  • il debito pubblico deve essere inferiore al 60% del PIL. Nel caso come quello italiano in cui la percentuale è superiore, lo Stato membro deve impegnarsi a ridurre la differenza rispetto al parametro del 5% all’anno;
  • il deficit non deve oltrepassare il 3% del PIL. Vi è la possibilità di trasgredire alla regola solo in caso di eventi temporanei o eccezionali come alluvioni, terremoti, epidemie, ecc;
  • il deficit strutturale, ossia al netto di fattori temporanei, deve attenersi a un obiettivo di medio termine;
  • la spesa pubblica non deve crescere più rapidamente del tasso di crescita medio potenziale del PIL.

Debito pubblico: come viene espresso

Uno Stato finanzia il proprio debito pubblico attraverso diversi strumenti, in gran parte rappresentati da obbligazioni a scadenze brevi, medie e lunghe. In Italia i principali titoli di Stato emessi sul mercato riguardano:

  • BOT, o Buoni Ordinari del Tesoro, che hanno durata dai 3 ai 12 mesi e non prevedono interesse (o cedola) periodico ma solo un prezzo di rimborso più alto;
  • CTZ, o Certificati del Tesoro Zero Coupon, con scadenza fino a 24 mesi e che, come i BOT, non hanno cedola;
  • BTP, o Buoni del Tesoro Poliennali, che recano scadenza dai 3 ai 50 anni, e stabiliscono un interesse cedolare periodico;
  • CCT, o Certificati di Credito del Tesoro, che scadono dopo 7 anni e hanno una cedola semestrale indicizzata ai BOT semestrali con l’aggiunta di uno spread;
  • CCTeu, o Certificati di Credito del Tesoro indicizzati all’Euribor, che si differenziano dai CCT perché hanno una cedola indicizzata al tasso Euribor a 6 mesi;
  • Btp€i, o Buoni del Tesoro Poliennali indicizzati all’inflazione europea, che presentano varie scadenze e dove le cedole e il capitale finale rimborsato sono rivalutati sulla base dell’inflazione europea;
  • BTP Italia, a diverse scadenze, che offrono rendimenti crescenti al crescere del tasso di inflazione nazionale, oltre a un premio fedeltà se si tiene il titolo fino alla scadenza.

Debito pubblico italiano: a quanto ammonta

Secondo l’ultimo aggiornamento della Banca d’Italia riferito al mese di giugno, il debito pubblico italiano è aumentato ancora. Nel periodo in esame si è incrementato di 28 miliardi di euro, passando da 2.815 miliardi di inizio mese a 2.843 miliardi del 30 giugno. Rispetto allo stesso periodo dello scorso anno (2.771 miliardi di euro), il debito pubblico è cresciuto di oltre 72 miliardi di euro.

Sulla base dei dati forniti dall’Eurostat a luglio, alla fine del primo trimestre il debito pubblico ha raggiunto quota 144,5% sul PIL. Dal 1980, il debito pubblico è stato in continuo rialzo, passando da meno del 60% quell’anno a un picco di oltre il 150% nel 2020, quando l’economia nazionale è caduta in ginocchio a causa dell’avvento del Covid-19 che ha costretto lo Stato a interventi robusti di finanza pubblica.

 

Debito pubblico italiano: chi lo detiene

Il debito pubblico italiano quindi rappresenta una vera e propria zavorra per l’economia del Paese, ma la domanda che molti si pongono da tempo è: in quali mani è finito? Spulciando i dati di Bankitalia si evince che alla fine del 2022, la Banca d’Italia possedeva il 26,2% dei titoli di Stato nell’ambito del programma di acquisto della Banca Centrale Europea che prevede il mantenimento fino a scadenza, quindi senza possibilità di cessione sul mercato.

Per il resto: il 38% è detenuto da istituti finanziari italiani, ovvero banche, assicurazioni e fondi comuni di investimento; l’8,5% è in mano a famiglie e imprese; il 27% è di proprietà di investitori stranieri. Molti hanno preso come termine di paragone la situazione del Giappone, che ha un debito monstre giustificato dal fatto che la stragrande maggioranza (88%) è in mano pubblica. A conti fatti, in Italia poi non è che le cose siano così diverse, dal momento che una quota del 73% risulta appannaggio di investitori italiani.

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Redazione

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