Il Seicento: La Svezia in "Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco" - Treccani - Treccani

Il Seicento: La Svezia

Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco (2014)

Silvana Musella
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Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook

Durante il Seicento la Svezia, grazie all’azione di sovrani come Gustavo II Adolfo Vasa e di statisti come Axel Oxenstierna, si afferma come una delle principali potenze europee e assume una posizione egemonica nell’area baltica. L’espansione esterna è resa possibile dal consolidamento delle strutture statali e dallo sviluppo economico, soprattutto in campo minerario e metallurgico. 

L’ascesa della Svezia

L’ascesa e il consolidamento della Svezia come potenza dominante nella regione del Baltico coincide con l’aumento dell’importanza dell’Europa nord-orientale nel sistema degli Stati europei e nella rete sempre più fitta di scambi economici continentali. Ciò significa inoltre che l’esito dei conflitti che oppongono le diverse potenze nordiche – Svezia, Danimarca, Polonia, Russia, Brandeburgo – viene sempre più a dipendere dall’evoluzione complessiva della situazione europea. L’intervento di grandi potenze come l’Olanda, la Francia e l’Impero, sempre attente a impedire il consolidarsi dell’egemonia di un unico Stato in una regione tanto delicata, incide sui i rapporti di forza nel Baltico. Le ragioni e i limiti dell’affermazione della potenze della Svezia nel Seicento devono essere collocati in questo contesto per essere compresi.

Nel 1592 Sigismondo III Vasa, re di Polonia e di Svezia, succede al padre Giovanni III. I suoi tentativi di restaurare il cattolicesimo e di imporre soluzioni assolutistiche suscitano però l’opposizione della maggioranza protestante e dell’aristocrazia. Nel 1599 egli lascia di fatto il trono allo zio Carlo IX che nel 1604 diventa re anche de jure. Da questo momento i destini di Polonia e Svezia si separano, lasciando comunque dietro di loro una scia di conflitti.

La contesa all’interno della dinastia Vasa si inquadra nella crescente tensione confessionale fra protestantesimo nelle sue diverse espressioni e attivismo controriformista cattolico, ma dipende anche dalla ragion di Stato e dalla contrapposizione delle ambizioni degli Stati baltici che si traduce in una intricata sequela di guerre. Oltre alla guerra con la Polonia, la Svezia è infatti impegnata, tra il 1611 e il 1613, nella guerra di Kalmar con la Danimarca e nel tentativo di imporre un proprio candidato come zar di Russia dopo la crisi dinastica apertasi con la morte di Boris Godunov nel 1605. Entrambi i conflitti si concludono sfavorevolmente per la Svezia. La pace di Knäred del 1613 conferma infatti la preminenza danese nella regione, mentre nello stesso anno viene incoronato zar Michele Romanov e la candidatura di Carlo Filippo Vasa tramonta definitivamente. Tuttavia con la pace di Stolbovo del 1617, Gustavo II Adolfo, il nuovo re che nel 1611 è succeduto al padre Carlo, in cambio del riconoscimento di Michele, ottiene dalla Russia concessioni territoriali importanti – l’Ingria e la contea di Kexholm – che consolidano la posizione della Svezia nel Baltico, ulteriormente rafforzata dalla conquista di Riga, strappata alla Polonia nel 1621. Più importante ancora per il futuro è l’avvicinamento fra la Svezia e la potenza navale emergente, le Province Unite, che guardano con preoccupazione al controllo esclusivo da parte della Danimarca dello stretto di Sund, vitale per i traffici commerciali olandesi.

La Svezia nella guerra dei Trent’anni

L’alleanza militare e la cooperazione economica con le Province Unite e la collocazione della Svezia nel fronte protestante europeo sono i fondamenti su cui poggia la fase successiva della politica svedese.

La posizione di primo piano che la Svezia assume nella coalizione antiasburgica è dettata sia da motivazioni confessionali che dalla ragion di stato. Dopo la sconfitta inflitta dal condottiero imperiale Wallenstein alla Danimarca nella cosiddetta fase danese della guerra dei Trent’anni, Gustavo II Adolfo viene infatti sollecitato a intervenire dai protestanti tedeschi sui quali incombe la completa rovina. D’altra parte la marcia verso nord degli imperiali li porta inevitabilmente in rotta di collisione con gli interessi svedesi nel Baltico.

Gustavo Adolfo, in accordo allora con Francia e Olanda, interviene in Germania. A Breitenfeld nel 1631 gli Svedesi sconfiggono gli imperiali del generale Tilly e con una rapida avanzata raggiungono Norimberga e Monaco. Nel 1632 riportano un nuovo successo a Lützen contro lo stesso Wallenstein, ma Gustavo II Adolfo cade sul campo, lasciando come erede la figlia Cristina di soli sei anni. Durante il periodo di minorità della regina gli affari politici sono gestiti da una reggenza consiliare guidata dal cancelliere Axel Oxenstierna, esponente di una delle più importanti famiglie magnatizie del Paese. In Germania la direzione delle operazioni è nelle mani di abili generali come Hans Banér e Lennart Torstenson e gli Svedesi, malgrado la sconfitta subita a Nördlingen nel 1634, riescono a mantenere il controllo di vaste aree e hanno una parte di primo piano nella sconfitta finale degli Asburgo. Con la pace di Westfalia (1648) la Svezia si ritrova tra i vincitori e ottiene importanti acquisizioni: l’Estonia, la Livonia, parte della Pomerania, Wismar, Brema e Verden. In sostanza il Baltico diventa un lago svedese e lo resterà fino all’inizio del Settecento.

I successi delle armi svedesi trovano una spiegazione, oltre che nelle capacità tattiche del sovrano e dei suoi generali, nelle riforme militari introdotte negli anni precedenti. Si deve infatti a Gustavo Adolfo una forma di coscrizione obbligatoria in base alla quale ogni comunità deve fornire un soldato ogni dieci-venti uomini, saliti successivamente a un quinto. L’esercito svedese è quindi composto, almeno in parte, da sudditi con motivazioni patriottiche e religiose e non da mercenari, come invece quelli dei suoi antagonisti. Inoltre vengono messi a punto moschetti più leggeri, cannoni più efficienti e viene rinnovata le tattica d’impiego della cavalleria. In virtù di queste innovazioni tecniche e organizzative, quello svedese resta un modello di organizzazione militare per oltre mezzo secolo.

Gli sviluppi economici e la guerra 

La decisione di Gustavo Adolfo di gettarsi direttamente nel grande conflitto europeo in un frangente in cui le armate imperiali e cattoliche sembrano invincibili appare inizialmente velleitaria. Il fatto che uno Stato geograficamente marginale, economicamente arretrato e con una popolazione modesta sia riuscito in pochi anni a imporsi nel ristretto gruppo della grandi potenze europee è stato qualcosa di sorprendente anche per i contemporanei (prima dei suoi successi chiamavano ironicamente Gustavo Adolfo il “re di neve”) e richiede una spiegazione che va oltre le indubbie capacità personali del sovrano.

Bisogna innanzitutto dire che l’apporto di risorse umane e di capitali esterni è stato fondamentale. Le riforme militari, ad esempio, riprendono aspetti dell’esperienza olandese e nella loro elaborazione un ruolo importante è stato ricoperto da uomini come Jacob de la Gardie, statista e soldato la cui famiglia aveva origini francesi. E come lui molti altri stranieri hanno posto, ben ricompensati, le loro capacità e competenze al servizio della monarchia svedese. Uno di costoro è il fiammingo Louis de Geer, nativo di Liegi ma trasferitosi ad Amsterdam all’inizio del Seicento e poi in Svezia portandovi capitali e tecnici specializzati che danno un impulso decisivo alla nascente industria estrattiva e metallurgica svedese.

Proprio la presenza di estesi giacimenti di rame e ferro è un altro dei fattori che spiegano l’affermazione della Svezia. La loro importanza diretta per l’attività bellica è evidente, dato che il rame è una materia prima essenziale per la produzione di cannoni in bronzo e il ferro per quella di armi da fuoco portatili – moschetti e archibugi – e armi bianche offensive e difensive. Ancora maggiore è però la loro importanza indiretta, economica e finanziaria. Le esportazioni dei due metalli sono infatti una delle principali fonti di reddito della monarchia. In un certo senso rame e ferro sono per la Svezia del Seicento quello che argento e oro sono per la Spagna, ovvero un sostegno essenziale alla politica di potenza di uno Stato altrimenti relativamente povero e arretrato. Ma il loro impatto di lungo periodo sull’economia svedese è ben più positivo perché stimola la nascita di una tradizione manifatturiera e artigianale importante per il futuro.

Inoltre, a differenza di quanto avviene nel caso dell’Impero spagnolo, la cui conservazione prosciuga le limitate risorse della Castiglia, l’Impero svedese si autofinanzia. Gli eserciti che combattono entro i confini del Sacro Romano Impero o del Baltico – senza coinvolgere quindi il territorio nazionale svedese – sono infatti mantenuti dai saccheggi e dai tributi imposti ai territori occupati o dai versamenti finanziari dei ricchi alleati olandesi e francesi. Un’altra fonte importante di entrate per la monarchia sono inoltre i dazi riscossi nelle città portuali baltiche (Reval, Riga, Stralsunda ecc.) via via conquistate dalla Svezia. La forte crescita di Stoccolma durante il Seicento testimonia sia dello sviluppo complessivo della Svezia che del rafforzamento dell’istituzione monarchica. Quella che a fine Cinquecento era una modesta borgata di meno di 10 mila abitanti, nel 1700 ha quadruplicato la sua popolazione e si è arricchita di prestigiosi monumenti.

Società e istituzioni 

I successi internazionali di Gustavo II Adolfo sono anche alla base del compromesso che egli riesce a trovare con la nobiltà, che entra a far parte dell’amministrazione dello Stato e che trova nella guerra e nelle conquiste un’occasione di arricchimento e di gloria.

Il motivo dominante della politica interna svedese durante il Seicento è infatti l’instabile equilibrio fra le tendenze assolutistiche della monarchia e la tradizione del costituzionalismo aristocratico. L’assolutismo svedese presenta varie particolarità rispetto al modello europeo. L’elemento forse più significativo è la persistente forza del ceto contadino, risultato di una non completa definizione in senso signorile-feudale della società svedese. I contadini svedesi godono di una posizione privilegiata rispetto a quanto avviene nel resto dell’Europa, soprattutto orientale. Essi sono infatti rappresentati anche al Riksdag, il parlamento degli Stati, e le comunità contadine su base parrocchiale mantengono la loro vivacità. La stessa esiguità demografica dell’alta nobiltà svedese – una quarantina di famiglie – le impedisce di portare a fondo l’attacco contro i diritti dei contadini. La monarchia può quindi trovare nel Riksdag e nei contadini quel contrappeso al potere dei magnati, che altrove in Europa è costituito dalle città e dai ceti borghesi, che in Svezia sono piuttosto deboli. Quella che possiamo chiamare la via svedese allo Stato moderno presenta dunque una certa originalità.

Durante il governo di Alex Oxenstierna l’equilibrio si spezza a favore dell’aristocrazia. Anche per ragioni finanziarie viene infatti attuata una politica di infeudazione che però sul lungo periodo priva la corona di fonti di reddito. I nobili arrivano a possedere i tre quarti circa delle terre e i contadini liberi sono sempre più soggetti al servaggio, anche a causa del loro crescente indebitamento. Con Carlo XI si ha comunque un ritorno definitivo alla preminenza della monarchia che si appoggia ai contadini, alla borghesia e alla nobiltà minore entrata a far parte dell’amministrazione dello Stato, che nel frattempo si è notevolmente ampliata. Gran parte delle terre di cui la nobiltà si era in precedenza impadronita vengono incamerate dalla corona. Un terzo delle terre è ora nelle mani della corona e un altro terzo dei contadini mentre l’aristocrazia, il cui peso economico e politico risulta notevolmente ridotto, vede dimezzarsi le sue proprietà.

L’“età della grandezza” da Cristina a Carlo XII

Cristina viene dichiarata maggiorenne nel 1645. Anche se dotata di notevoli qualità personali, si rende invisa per l’eccessiva prodigalità della sua corte e per la sua simpatia verso il cattolicesimo, per cui nel 1654 è costretta ad abdicare a favore del cugino Carlo X Gustavo Zweibrücken e prende la via dell’esilio, a Roma, dove dà vita a un cenacolo di artisti, letterati e scienziati. Ha così termine la dinastia Vasa ma non la politica espansionistica della Svezia.

A questo punto gli equilibri internazionali sono mutati. La Svezia è chiaramente la potenza egemone del Baltico, di cui controlla quasi interamente le coste e soprattutto la foce dei grandi fiumi che vi si gettano e che costituiscono anche le principali vie di traffico fra l’entroterra dell’Europa orientale e dell’Europa occidentale. Un’egemonia che l’Olanda, alleata tradizionale della Svezia, vede con preoccupazione. Quando Carlo X, per prevenire l’espansione russa, attacca nuovamente la Polonia, occupandola in gran parte, e la Danimarca, l’atteggiamento delle potenze navali occidentali Inghilterra e Olanda è quindi ostile. In un primo tempo Carlo riesce a imporre alla Danimarca condizioni durissime con la pace di Roskilde (1658) ma l’anno seguente la flotta olandese infligge davanti a Copenhagen una dura sconfitta alla Svezia.

Nel 1660, l’anno della morte di Carlo X, le paci di Oliva e di Copenhagen mettono fine alle ostilità. La preminenza svedese ne esce confermata ma i limiti di quella che è stata definita “l’età della grandezza” risultano evidenti. La Svezia è una “piccola, grande potenza”, le cui ambizioni regionali sono in definitiva subordinate agli interessi economici e strategici delle vere grandi potenze europee quali l’Olanda e la Francia.

Durante la prima parte del regno di Carlo XI, la Svezia si trova infatti nella posizione di stato cliente della Francia di Luigi XIV. Ed è solo grazie all’intervento francese che essa esce senza troppo danni, con la pace di Lund e quella di Saint-Germain, dal nuovo conflitto, la guerra di Scania, che la vede contrapposta alla Danimarca e al Brandeburgo. Nei vent’anni seguenti la Svezia si attiene quindi a un politica prudente, che mira a riorganizzare le basi finanziarie e militari della sua potenza e a conservare lo status quo nel Baltico, riavvicinandosi anche all’Olanda. Tuttavia sui vasti ma dispersi possedimenti svedesi convergono le ambizioni di tutte le altre potenze della regione, sia quelle in declino, come la Danimarca o la Polonia, che quelle in ascesa, come il Brandeburgo e la Russia di Pietro I. A partire dal 1700, il nuovo sovrano di Svezia, Carlo XII, salito al trono appunto nel 1700, deve quindi far fronte a una nuova, formidabile coalizione di avversari i quali, nonostante la sua abilità militare, avrebbero posto fine all’età della grandezza inaugurata dall’intervento di Guastavo Adolfo nella guerra dei Trent’anni.

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