Erzsébet Báthory, la donna al di là della leggenda | Nero Cafè

Erzsébet Báthory, la donna al di là della leggenda

Sulla figura della contessa Erzsébet Báthory (o Elizabeth Bathory) detta “la sanguinaria” si sono fatte fior di speculazioni e, col tempo e grazie anche alla figura trainante di Vlad Tepes (detto “l’impalatore”, ispiratore del personaggio del conte Dracula, di cui abbiamo parlato qui), suo antesignano, si è andata rafforzando la leggenda secondo cui fu una sorta di serial killer, una delle prime riconosciute nella storia. Ma è davvero così? Cerchiamo di conoscerla meglio.
Erzsébet Bàthory nacque a Nyirbátor, in Ungheria, nel 1560, ma crebbe in Transilvania (Romania) nel castello di famiglia di Ecsed. Maggiore di tre sorelle, aveva anche un fratello, il più grande di quattro figli. Grazie alla ricchezza della sua famiglia, le fu impartita un’educazione che pochi, all’epoca, potevano permettersi, e imparò diverse lingue (oltre all’ungherese, anche il tedesco, il francese, il latino e il greco antico). Appena undicenne fu promessa in sposa dai suoi genitori al nobile Ferenc Nádasdy, fidanzamento che, nel 1575, sfociò in matrimonio. All’epoca, lei aveva quindici anni e lui venti. I novelli sposi andarono a vivere nel castello di Čachtice, proprietà della famiglia Nádasdy, nelle terre della Repubblica Slovacca.
Per molti anni suo marito Ferenc – soprannominato Cavaliere Nero per via della sua ferocia in combattimento – fu presente di rado a casa, impegnato com’era a guidare le truppe reali ungheresi in guerra contro i turchi. Ciononostante, Erzsébet partorì cinque figli: Anna, la più grande, nel 1585 e, negli anni successivi, Ursula, Andreas, Katharina e Paul. Di questi, però, Ursula e Andreas morirono in tenera età. Ma non furono gli unici lutti che segnarono la vita della contessa anche se, stavolta, ne fu ampiamente risarcita. La morte di suo fratello Stephan infatti, avvenuta nel 1600, le consegnò un’eredità consistente (essendo lui senza figli) e, quattro anni dopo, la dipartita di Ferenc lasciò nelle sue mani un patrimonio immenso. Erzsébet Bàthory si ritrovò a gestire possedimenti ovunque in un territorio che andava dalla Transilvania all’Austria e che includeva castelli, terreni, villaggi e perfino città. Tutto ciò le dava, com’è facile intuire, un grande potere. E, dal canto suo, dimostrò di saperlo gestire, riuscendo a ottenere per tutti i suoi figli dei matrimoni molto convenienti.

Ma, se sotto il profilo politico, sociale e finanziario si dimostrò molto abile, sotto quello privato fu un vero disastro. A partire dalle numerose infedeltà verso suo marito, passando per i festini a base di sesso cui fu introdotta da una sua zia a Vienna e l’ossessione per la bellezza e la magia nera, fino ad arrivare alla tortura e all’eccidio nei sotterranei del castello di giovani donne – spesso vergini – che aveva abbindolato con la promessa di una vita migliore.

Per lungo tempo nessuno sembrò badare molto alle azioni di Erzsébet, sebbene le voci sulle sue orribili nefandezze non tardarono a diffondersi. Uno dei primi a insistere perché fossero fatte indagini sulla contessa fu il sacerdote luterano István Magyari, a cui le voci sulle torturare ai danni delle giovani vergini giunsero già nel periodo in cui il marito Ferenc era lontano dal castello e, per questo, non era in grado di controllarla. Va anche detto che, probabilmente, a Ferenc non importava più di tanto cosa facesse sua moglie, primo perché lui stesso era un sadico, secondo perché la guerra reclamava altrove la sua attenzione.

Le cose precipitarono nel 1609, quando il cugino di Erzsébet, il conte Gyórgy Thurzo di Bethlenfalva, occupò il  suo castello per ordine di Mátyás II, re di Ungheria, trovandovi diverse adolescenti in condizioni orribili, morte o in fin di vita. Due anni dopo sul capo della contessa Báthory pendeva un’accusa terrificante, quella di aver torturato e ucciso ottanta vittime tra domestiche e appartenenti a famiglie nobili. Furono indetti due processi cui lei non poté prendere parte, rinchiusa com’era nel suo castello-prigione di Čachtice. Tra le numerose testimonianze annoverate dall’accusa c’erano niente meno che quelle delle persone al suo servizio, nonché i suoi più stretti collaboratori: la balia Ilona Joo, l’aiutante nano Fitzko, l’esperta di magia nera Dorothea “Dorka” Szentes e la lavandaia Katalina Beneczky. Ciò che raccontarono i testimoni – spontaneamente o sotto costrizione – fu che la contessa aveva sottoposto le sue vittime a terribili vessazioni: le sue vittime venivano bastonate, frustate, sfregiate, ustionate con ferri roventi, rinchiuse in gabbie irte di spuntoni (si pensa sia la contessa l’inventrice della Vergine di Ferro), assiderate con bagni di acqua ghiacciata all’aperto, mutilate e via discorrendo. Le testimonianze riferirono un numero di vittime discordante, ma che si attestò fra le 36 e le 80, altre affermarono che esisteva un diario in cui erano segnati i nomi 650 ragazze morte per mano sua, diario di cui però non fu mai stata trovata traccia. Non sorprende che, alla fine, quasi tutti i servitori della contessa subirono una sorte perfino peggiore di quella che venne riservata a lei. Erano loro ad adescare le giovani sprovvedute con la promessa di un lavoro e un futuro migliore al castello. A Ilona Joo e Dorka vennero amputate le mani con delle tenaglie roventi, in quanto ritenute direttamente responsabili degli eccidi, e furono arse vive; Fitzko venne decapitato e il suo corpo bruciato; a Katalina venne risparmiata la vita in quanto fu dimostrato che si limitava a nascondere i cadaveri delle giovani uccise e, a volte, portava loro da mangiare di nascosto dagli altri. Quanto a Erzsébet, riuscì a scampare all’esecuzione solo grazie all’intercessione di suo cugino Thurzo, che convinse il re ad accordarle una sorta di arresti domiciliari: fu murata viva in una stanza del castello con solo una feritoia per il cibo, dove visse fino al giorno della sua morte, avvenuto il 18 agosto del 1614. Un anno dopo morì anche sua figlia Anna, senza lasciare eredi. Sopravvissero, dividendosi l’immenso patrimonio, l’unico maschio Paul e la figlia Katharina, o per meglio dire la famiglia del di lei marito, Gyorórgy Drugeth di Homonna.

Ma perché Erzsébet Bàthory aveva iniziato un eccidio simile? Secondo la leggenda, durante uno dei suoi attacchi d’ira ferì una serva e il sangue che perse cadde su di lei, facendola ringiovanire, o almeno fu di questo che si convinse. Lei era ossessionata dalla bellezza e dal rimanere giovane, motivi per i quali, sembra, si fosse avvicinata a testi e pratiche che avevano a che fare con la magia nera. Se tutto ciò sia leggenda o verità resta avvolto nell’ombra ma, in entrambi i casi, il motivo reale che spinse la contessa a fare quel che fece potrebbe essere ricercato in una qualche forma di disturbo mentale. All’epoca non erano rare le unioni tra consanguinei e lei stessa era nata in modo incestuoso: un effetto collaterale di tali unioni era l’insorgere di malattie mentali più o meno gravi. Non è un caso che molti membri della famiglia Báthory si comportarono in modo violenti e sconsiderati – probabilmente per lo stesso motivo – per cui non fu Erzsébet la prima, né l’unica a sfociare in atti di brutalità verso i più deboli; per tali ragioni la famiglia Báthory godeva, già da tempo, di una pessima fama, molto prima che lei iniziasse il suo ciclo di violenza e morte. Secondo lo scrittore e archeologo Matthew Beresford, Erzsébet umiliava e torturava le sue vittime perché la sofferenza altrui le dava sollievo dalle terribili emicranie che l’affliggevano. Secondo alcune testimonianze, a volte, la contessa, dopo un delitto, faceva seppellire il corpo e si rinchiudeva nella cappella a pregare per tutta la notte, avvolta nell’incenso, come presa da una vera e propria estasi mistica.

Oggi non tutti gli storici credono che la terribile fama di Erzsébet Bàthory sia meritata. Esaminando con cura gli atti processuali e le testimonianze, si è fatta larga l’ipotesi che in realtà la contessa fosse innocente, che la sua fine sia stata ordita dal conte Thurzo suo cugino e dal Re Mátyás II allo scopo di appropriarsi di tutto il suo patrimonio, all’epoca davvero immenso. Non solo, il Re aveva contratto debiti con suo marito Ferenc Nádasdy e, in caso di condanna di Erzsébet per omicidio, non solo tale debito sarebbe svanito ma, legalmente, alla morte del condannato i suoi beni sarebbero passati sotto la corona. Erzsébet, che non era una sciocca, doveva ben saperlo, visto che fece testamento in favore dei figli pochi giorni prima di morire, lasciando il re a bocca asciutta.

Certo, è difficile pensare che proprio tutte le testimonianze siano false, specie se si pensa che molte furono del tutto spontanee, non istigate dall’accusa. Bisogna anche considerare che, a quel tempo, la crudeltà da parte dei ceti nobili non era così inusuale come si può pensare e che, quindi, gli atti della contessa non si scostavano poi tanto dal modo di fare della classe sociale cui apparteneva. Pare, anzi, che possa essere stato lo stesso marito, Ferenc, a insegnarle molte delle torture che avrebbe poi perpetrato sulle sue giovani vittime. L’errore commesso da Erzsébet fu quello di non limitarsi a scegliere le sue vittime tra i contadini, ma di osare mettere le mani su alcune giovani figlie di esponenti della bassa nobiltà.

Dal quadro che ne esce, Erzsébet Bàthory ci appare come una donna particolarmente forte rispetto ai canoni del suo tempo, una figura femminile dotata di uno spirito e di una forza non comuni, capace di ottenere un grande potere e guadagnarsi il rispetto dei suoi pari, al punto da arrivare a incutere timore persino al Re di Ungheria. A fronte di questo, però, possiamo ritagliare anche aspetti che ci illuminano sul suo malessere interiore, sul suo sentirsi inadeguata, sulla sua continua ricerca di un qualcosa che non avrebbe mai potuto raggiungere, sia che fosse bellezza, giovinezza o altro. Un malessere dovuto forse a una tara genetica, forse a un ambiente sadico e meschino capace di traviarla, o forse a un’indole crudele. Non lo sapremo mai. Quel che è certo è che la fama della contessa Báthory sopravvisse alla sua morte e le cucì addosso leggende di ogni tipo, prima fra tutte quella della donna vampiro capace di immergersi in vasche piene di sangue per mantenersi giovane. È probabile, però, che tale voce tragga origine dalla Tragica Historia, scritta nel 1729 dal gesuita László Turóczi, e non da fatti realmente accaduti. La sua immagine è stata più volte omaggiata, nel tempo, con opere letterarie e nel cinema, a testimonianza di come Erzsébet sia rimasta viva nell’immaginario collettivo. E, sempre a proposito di leggende, se capitate dalle parti di Čachtice, in Transilvania, potreste avere la fortuna – o meno – di imbattervi nel fantasma della contessa sanguinaria, che si dice si aggiri ancora oggi tra le rovine del castello.

(Daniele Picciuti)