Montevecchio industriale: Giovanni Antonio Sanna_di Tarcisio Agus -

Montevecchio industriale: Giovanni Antonio Sanna_di Tarcisio Agus

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Giovanni Antonio Sanna

L’avventura del trentenne sassarese Giovanni Antonio Sanna prendeva il via con il suo trasferimento a Guspini, in via Amedeo, nei pressi del comune e dell’albergo di Pietro Fanni, divenuto poi suo compare, punto di riferimento sino allora per le sue escursioni a Montevecchio, incontri d’affari e programmatici.

I primi interventi che pone in atto sono principalmente strutturali e fondamentali per avviare lo sfruttamento del vasto compendio assegnatoli. In particolare opere civili, come le casupole in muratura, pare con tetti di paglia, per ospitare i minatori sassoni, alle estremità delle concessioni 1° e 3° e opere viarie con la sistemazione della carrareccia di collegamento con Arbus e  la mulattiera da Guspini a Gena Serapis (Gennas). Nel colle di Gennas esisteva una capanna che i pastori chiamavano S’omu de is oreris (letteralmente la casa degli orafi, ma più probabilmente indicava la casa ove gli operai trascorrevano le ore di riposo) che lo stesso Sanna aveva utilizzato al tempo delle sue prime esplorazioni.

Agli inizi del 1849 raggiunse Montevecchio il direttore Ing. Giulio Keller, un esule ungherese ingegnere del Corpo Montanistico Austriaco, con il quale vennero ripresi e sistemati gli antichi scavi e intestate le prime gallerie Scala e Baracche, nella zona di Sant’Antonio a levante e Casargiu a ponente, nella terza concessione. L’attività era dura e faticosa, si operava con mazzuolo e scalpello e per preparare due fori da mina del diametro di 25 mm e della lunghezza di 60-80 cm, necessitavano da 8 a 10 ore di lavoro di un buon minatore.

Antiche coltivazioni minerarie

A metà del 1850, Giovanni Antonio Sanna viene raggiunto a Guspini dalla moglie Marietta e dalle due figlie Ignazia e Amelia. Chiama al suo fianco, stabilendosi anch’esso a Guspini, il suo amico di Bolotona, Pasquale Are, che diventerà il fedelissimo esecutore delle sue direttive e attento informatore sulla vita della miniera, in particolare quando si troverà lontano da Montevecchio.

Le attività dopo la fase di preparazione vanno spedite tanto che si pensa alla realizzazione di una prima laveria e nel 1851 vien chiamato alla reggenza Pio Massone e il direttore Keller sostituito dal Sig. Galletti, ex generale garibaldino.

Giovanni Antonio Sanna era spesso a Cagliari perché sede dell’Ispettorato e luogo di  affari, ma era anche particolarmente interessato a controllare l’imbarco dei minerali per Marsiglia, così pensò di trasferirvi la famiglia, peraltro cresciuta con la nascita a Guspini della terza figlia Enedina e in attesa della quarta che chiamerà Zely. Del resto il cambio da Marsiglia a Guspini  per le sue donne non è stato molto felice, senza gli agi che offriva la grande città, Guspini ancora agricola non era in grado di dar loro serenità e benessere, non offriva molte opportunità e tantomeno servizi. La famiglia per il Sanna era importante, così decise di trasferirsi a Cagliari nel quartiere Marina, in via Sant’Eulalia, al numero 9, angolo con via Barcellona. Il 15 febbraio del 1852 nasceva Zely, la sua quarta figlia, nella stessa casa dove quattro anni prima era nato il suo futuro marito Alberto Castoldi.

Con l’edificazione nel 1853 della prima laveria denominata Rio, posta nel piazzale al di sopra dell’Anglosarda, il trattamento dei minerali crebbe in maniera esponenziale e in particolare la galena che dalle attuali 150, passò alle 700 tonnellate dell’anno successivo. Purtroppo iniziavano anche le lunghe traversie giudiziarie tra il Pischedda che non gradì la sua estromissione e la gestione di Pio Massone, nominato dall’assemblea societaria nel 1852, contro il parere del Sanna che lo considerava “straniero alla società” e senza nessuna conoscenza di attività minerarie, era un consulente di diverse case commerciali di Genova. Evidentemente gli attriti furono tanti che il Massone avvia una guerra contro il Sanna, riuscendo nell’assemblea del 19 settembre 1853 a estrometterlo da Montevecchio, nonostante gli importanti risultati conseguiti, passati dai 55 metri di gallerie del 1848 a 1235 del 1853. Le motivazioni fortemente avanzate dal Massone furono l’accusa di negligenza e di “costare troppo” alla società, inoltre poneva in dubbio la titolarità della concessione.

La miniera restava totalmente in gestione a Pio Massone e la direzione al Galletti, che non era un tecnico, ma un militare che si era conquistato il grado nella difesa di Roma del 1849.

Il binomio Massone  Galletti si rivelerà un sodalizio con scarse conoscenze tecniche che guardava più al profitto che dare organicità all’impresa mineraria, fatto questo che, con le scelte non condivise, gli porterà da subito su posizioni conflittuali. Così scriveva Pasquale Are, addetto amministratore della miniera e fiduciario del Sanna, nonché profondo conoscitore di Montevecchio: “Si va di male in peggio, con ordini e contro ordini tanto che  ogni caporale va per conto suo”

L’avidità del sodalizio, tendenti più a operare risparmi e incrementare i ricavi gli indusse ad esternare una parte della coltivazione mineraria alla società La Piemontese Compagnia reale Anglo-Sarda, da cui galleria Anglosarda, con  l’affidamento del filone più ricco di Sant’Antonio.

La presenza a Cagliari del Sanna, dove nel frattempo cambiò casa andando a vivere in piazza Sant’Eulaia n.3, anche se lontano da Montevecchio le consentiva di conoscere le produzioni della miniera attraverso i velieri che settimanalmente trasportavano i minerali a Genova o Marsiglia, inoltre era facile imbarcarsi per raggiungere i vari tribunali continentali, dove difendersi dalle diverse accuse accumulate.

All’assemblea della società, nell’autunno del 1858, il gerente Massone presentava all’assemblea i risultati del primo decennio, con un dividendo di l.518.487 lire.

Nel frattempo il Sanna veniva eletto, il 14 dicembre 1857, deputato nel collegio di Isili e nell’occasione della presentazione del bilancio decennale fece opposizione perché rivendicava, come da accordi, il 24% del prodotto ottenuto, pari a lire 572.847 e non sugli utile conseguiti pari a 124.847 lire.

A Torino dove il suo impegno politico cresce e matura con la passione per il giornalismo, acquisterà nel 1860 il giornale Il Diritto e la tipografia, diventando un’autorevole strumento di opposizione al ministro Cavour.

In miniera seguirono anni di importanti profitti e l’istanza del Sanna, contro la sua estromissione da Montevecchio, si stava concludendo a suo favore, nel frattempo proseguiva il ricorso del prete Pischedda. L’amico deputato Giorgio Asproni  definì Giovanni Antonio “combattente indomito”, per la sua tenacia e indomita difesa.

Il 9 agosto del 1862, la Corte di Cassazione riconosceva al Sanna la titolarità della concessione su Montevecchio e nello stesso anno il Galletti si dimetteva per contrasti con il gerente Pio Massone che nominò direttore l’ing. Eugenio Marchese, reggente  gli uffici di Iglesias del Corpo Reale delle Miniere.

L’anno successivo un’altra sentenza della Cassazione dava ancora ragione al Sanna nella vertenza  con la società e il gerente Massone, tanto che il più influente degli azionisti, Carlo Valle, si rese conto dell’importanza del ruolo del Sanna nella vasta miniera e si adoperò affinché la società  riconoscesse i suoi diritti, valutati in 2.079.879 lire.

Il bilancio del 1863 si chiudeva con 2.593.614. Acetare le rivendicazioni del Sanna avrebbe portato la società al fallimento, ma l’azione del Valle e l’amore del Sanna per Montevecchio scongiurò il dissesto perché venne trovato un accomodamento sottoscritto presso il notaio Balbo di Genova il 22 ottobre 1863. Pio Massone in scadenza del contratto passò la mano a Carlo Valle e il Sanna rientrò dopo 10 anni a Montevecchio.

Nel frattempo, dopo altri due cambiamenti d’abitazione a Cagliari, era rientrato a Sassari con la famiglia, ormai ricco, nonostante le sue peripezie giudiziarie le avessero sottratto ingenti risorse, dedicandosi all’allevamento dei cavalli e privilegiando relazioni con alcuni marsigliesi che vi abitano ed imprenditori stranieri che vi operano.

La sua elezione a deputato lo porterà poi lontano anche da Sassari e vicino a due importanti personaggi del tempo Mazzini e Garibaldi, sostenendo finanziariamente la loro politica, come “la Giovane Italia” di Mazzini, mentre Garibaldi lo promuoveva attraverso l’acquisto di un nuovo giornale “L’Emancipazione Italiana – L’Eco delle isole”, affidandone la direzione al sardo Giorgio Asproni e al siciliano Francesco Crispi e  finanziando lo sbarco dei mille a Marsala, del 11 maggio 1860.

L’amicizia con i due illustri personaggi la condivideva con  Giorgio Asproni, deputato pure lui, si frequentavano giornalmente e partecipavano all’azione politica dei progressisti all’unisono, come quando circolò la voce che i Savoia, estromessi dai mazziniani, si sarebbero ritirati in Sardegna, il Sanna si schiera con l’Asproni per preparare un atto anti sabaudo per liberarsi dal giogo piemontese. I due deputati accarezzavano l’idea utopistica di una Sardegna Stato neutrale, privo di barriere doganali, industrialmente sviluppato e aperto ai commerci internazionali.

Nella seconda legislatura, che dava avvio  al primo parlamento del Regno, il Sanna venne candidato in due collegi: nella circoscrizione di Oristano, sostenuto da Garibaldi, ma non venne eletto, mentre   nel collegio di Grosseto, sostenuto dal collega parlamentare, poi acerrimo antagonista, Francesco Domenico Guerrazzi, venne eletto il 18 febbraio del 1861.

Nel novembre del 1863 ritorna per una giornata a Montevecchio, di nuovo “padrone” della miniera, accompagnato dal suo fedele servitore Pasquale Are, che per l’occasione predispose una festa campestre per l’accoglienza.

A Montevecchio il Valle gestì l’impresa per due anni, riorganizzò i trasporti dei minerali da Montevecchio a Cagliari e pattuì che il rientro dei carri non sarebbero stati più a vuoto ma caricati con i rifornimenti dei materiali necessari alla miniera. Con l’apporto del tecnico ing. Marchese si dedicò anche all’ammodernamento dei cantieri, accrescendo notevolmente la capacità produttiva. In particolare il Valle  puntò a rinnovare l’organico con una decina di nuovi tecnici e alcune centinaia di nuovi minatori, assunti localmente e istruiti dal capo tecnico Emanuele Fercher. Si riduceva così la presenza straniera, con le maestranze che da 600 raggiunsero quasi il migliaio.

In quegli anni una parte della produzione partì da Montevecchio, si parla di 210 tonnellate di piombo, attraverso il porto di Marsiglia, necessario alla realizzazione delle lastre di copertura  della cattedrale francese di Notre Dame a Parigi, impegnata dal 1845 in un profondo restauro che durò quasi venti anni. Operazione che certamente avvenne per la posizione sociale che Giovanni Antonio  aveva in Francia, tanto che molti lo chiamavano il francese, già dal 1844 era iscritto alla loggia massonica “de St.Jean” di Marsiglia, affigliata al Grande Oriente di Francia.

Nel frattempo Vittorio Emanuele, sulla base della Convenzione di settembre del 1864 tra l’Italia e la Francia, spostava la capitale da Torino a Firenze, che Giovanni Antonio trovò straordinaria e affascinante, luogo ideale per trasferirvi la famiglia e candidarla sede dei suoi affari e di Montevecchio.

Nello stesso anno Giovanni Antonio, sempre legato a Guspini, ove aveva lasciato il suo fiduciario Pasquale Are, il compare Fanni e diversi amici, finanziò la sistemazione del colle in cui sorgeva il duomo di San Nicolò, ancora spoglio e con pareti a strapiombo. Sicuramente si ispirò al progetto della chiesa monumentale a Montevecchio che voleva realizzare, pare per voto di ringraziamento, ma non venne mai eretta, sicuramente per i continui allontanamenti da Montevecchio e per l’ostracismo dei generi. Fece realizzare il contenimento del colle all’interno di uno schema architettonico trilobato, costituito dal pronao con 24 gradini e tre absidi, due contenevano il terrapieno di ingresso al duomo che occupava la ipotetica terza abside, il tutto entro possenti contrafforti. La parte orientale dell’opera venne poi demolita per consentire la realizzazione della strada Statale n.126.

Nel gennaio del 1865, essendo stato nominato ministro delle finanze un suo carissimo amico, nonché ingegnere minerario, Quintino Sella, attraverso una nota scritta, oltre che esternarle la sua visione sull’attualità politica di comune interesse, rappresentava le difficoltà che deve affrontare l’industria mineraria sarda. In particolare evidenziava la mancanza in Sardegna di una scuola di formazione per le maestranze minerarie, compresa la carenza di ingegneri, in quel periodo buona parte erano stranieri. Denunzia inoltre la carenza delle principali infrastrutture, come strade e ferrovie, le miniere essendo in luoghi lontani dai centri abitati vivevano una situazione di isolamento che rendeva difficile la vita degli uomini e delle attività produttive. A suo avviso sostenere e infrastruturare le aree minerarie  era compito del governo nazionale e non del capitalista,  costretto a intervenire e scaricare i costi sulle produzioni, rendendole così meno competitive di Francia, Sassonia e Belgio,  ove le infrastrutture primarie sono a carico dei governi.

Finite le traversie con il Pischedda e la società, il Sanna si ritrovò con nuovi problemi e stavolta potremmo dire in casa. Le due figlie  spose nello stesso giorno, il 1 di ottobre 1864, con Ignazia  al sassarese Giovanni Maria Solinas Apostoli e Amelia a Francesco Michele Guarrazzi, nipote di Francesco Domenico Guerrazzi avvocato e scrittore, detto il Dittatore di Toscana per i moti rivoluzionari del 1848.

I due Guerrazzi cominciarono a interferire sul gerente e su Sanna per contare di più all’interno della società. Con le dimissioni del Valle, nell’assemblea del 26 ottobre 1865, su indicazione del Sanna, sperando cambiasse i suoi atteggiamenti, fu eletto gerente il genero Francesco Michele Guerrazzi.

La gerenza del Guerrazzi durò cinque anni e il suo primo atto amministrativo consentì al Sanna, il 1 novembre 1865, di ottenere il corrispettivo del suo avere secondo la transazione Balbo. L’anno successivo, il 18 febbraio 1866, il Sanna veniva eletto deputato per la sinistra nel collegio di Grosseto e a fine mese rientrò a Montevecchio, cambiò la direzione tecnica chiamando il 31 di marzo il venticinquenne nipote del  suo amico e collega Giorgio, l’ing. Giorgino Asproni Mameli  di Bitti, laureato a Torino nel 1864 e specializzato in mineraria in Francia, alla scuola di St.Etienne. C’era bisogno di riordinare tutti i cantieri perché la direzione decennale del Galletti, che non era un tecnico, non era stata delle migliori, pur con importanti  profitti.

L’arrivo dell’Asproni non piacque a Francesco Michele Guerrazzi noto Cecchino, che tentò in un primo momento di ingraziarselo ma le visioni erano diverse, inoltre cercava pian piano di oscurare quanto aveva fatto suo suocero. Come quanto organizzò la festa per l’arrivo dell’Asproni, nel malcelato tentativo di benevolenza, nella quale annunciava che la galleria Azuni da quel momento avrebbe portato il nome del suo zio Domenico.

Ormai Giovanni Antonio aveva locato casa a Firenze in via dei Servi n.37, a due passi dal Parlamento che si riuniva nel Palazzo della Signoria, anche per stare vicino alla figlia Amelia sposa di Cecchino che abitava a Livorno e dove suo genero aveva trasferito la sede dell società Montevecchio. 

L’Asproni nonostante le provocazioni di Cecchino pare d’intesa con il suo zio Domenico, si dedicò a  razionalizzare i trattamenti dei minerali, fatta eccezione nella laveria Rio a levante, nel resto dei cantieri  la cernita avveniva nei piazzali manualmente, propose quindi di costruire tre impianti, uno per concessione, il primo di rimpetto all’Anglosarda (che prenderà il nome Principe Tomaso e assorbirà la laveria Rio), la seconda vicino al Ribasso Mannu (Laveria Sanna) e la terza a ponente sul rio Mannu (La Marmora). Nel frattempo gli attriti tra il Gerente e l’ing. Asproni andavano increscendo, al Gurrrazzi non piaceva lo stretto legame che si era creato tra il giovane ingegnere e  il suocero, così per meglio controllarlo, agli inizi del 1867, nominava collaboratore minerario del direttore il Dott. Lorenzo Chiostri,  suo diretto interlocutore.

Laveria La Marmora

Il genero del Sanna con la complicità dello zio  Domenico erano sempre più intenzionati a metter le mani sulla gallina dalle uova d’oro di Montevecchio, tanto che Cecchino pensa comunque di sfruttare la sua posizione di gerente per acquistarsi la bellissima tenuta di Cecina detta La Cinquantina, che prenderà poi il nome di Villa Guerrazzi, facendola passare come un’operazione del Sanna attraverso un prestito in suo favore della Montevecchio, per la residenza della figlia amata Amelia. Il Sanna andò su tutte le furie e non mancò il lungo e doloroso strascico giudiziario,  lui che aveva riposto in suo genero totale fiducia affidandole per sino la custodia di una quota delle sue azioni, preludio alla crisi del 1868, quando i due Guerrazzi, convocando a Livorno un’assemblea straordinaria della società, forti del possesso (fittizio, ma da essi tenuto nascosto) di 1500 azioni del Sanna su un totale di 2.000, fecero deliberare decaduto il Sanna dalla titolarità della concessione mineraria e dalla carica di Ispettore Generale, mentre fu nominato Francesco Michele Guerrazzi gerente “inamovibile” per 10 anni, lo zio presidente del Consiglio di Sorveglianza e il Dott. Chiostri ispettore. All’indomani La Nazione riportava la notizia a grandi titoli, che Francesco Domenico Guerrazzi era il nuovo padrone di Montevecchio.  Giorgino Asproni che da tempo segnalava al suo caro amico le malefatte dei Guerrazzi, non perse più di un attimo alla notizia e si dimise,  attivando da subito una guerra col neo gerente e il Sanna contro zio e nipote.

Contestualmente, vista la mala parata, il Sanna metteva mano al suo testamento che consegnò al  fedele Pasquale Are che aveva il suo ufficio di notaio a Guspini, escludendo sua figlia Amelia dall’eredità della miniera, ma assicurandole ogni necessità sua e delle figlie. Questa situazione acuì il contrasto in famiglia, tanto che Marietta invitava continuamente Giovanni Antonio a far pace con Amelia e Cecchino.

Iniziava così una guerra di discredito dei Guerrazzi, facendo passare il Sanna per un grande imbroglione, diffamandolo fra i soci marsigliesi e incitando il nipote del prete Pischedda a azioni estorsive.

Giovanni Antonio molto amareggiato per le infamanti accuse e la dura controversia, accettò di buon grado l’amichevole arbitrato del senatore Musio, ma non vi furono margini perché zio enipote non accettarono alcuna mediazione. Tale era la tensione che il giornale La Nazione, che seguiva l’intricato contrasto, riportava, nel dicembre 1869, l’avvenuta aggressione con male parole in parlamento a opera del collega Francesco Domenico Guerrazzi e dal nipote, mentre il parlamentare Sanna entrava a Palazzo Vecchio. Giovanni Antonio si difese impugnando la sua pistola e costringendo zio e nipote ad allontanarsi. La notizia fece scalpore ma fu l’inizio di una rivalutazione del Sanna e di una presa di distanza dai Guerrazzi.

Una prima vittoria Giovanni Antonio la ottenne dal tribunale di Livorno, con la sentenza che le restituiva le quote maldestramente sottratte dal genero.

Nonostante le dispute legali la miniera proseguiva piuttosto bene con il direttore Marchese e l’amministratore Pergola, merito della vasta ricchezza del giacimento.

Il  bilancio 1867-68 si chiudeva con  1.028.310 lire di utili.

Con le riavute quote Giovanni Antonio Sanna parteciperà poi all’assemblea del 22 marzo 1870, che annullava la deliberazione dell’assemblea straordinaria e lo reintegrava nella carica di Ispettore.

Il 15 aprile rientrava a Montevecchio, con grande gioia delle maestranze, accompagnato da Giorgino Asproni, richiamato a ricoprire il ruolo di direttore con la più ampia autonomia.

Con il recuperato dell’incarico poté nominare il nuovo gerente, forse nel tentativo di recuperare anche una parte delle tensioni familiari, nominava nell’importante ruolo l’altro genero, Avv. Giovanni Maria Solinas Apostoli.

Il 4 di ottobre era di nuovo a Montevecchio per insediare Giovanni Maria Solinas nel nuovo ufficio, preludio a una nuova  e  grande ripresa dei lavori, con  attenzione anche alle maestranze.

Infatti nello stesso anno attivava la Cassa di Soccorso, finanziata con la trattenuta del 4% sulle paghe a sostegno degli operai malati ai quali riconosceva, se abitava nei paesi vicini, il medico e i medicamenti, nonché il diritto ai 2/3 della paga giornaliera nel limite di 60 giorni di malattia. L’anno successivo si diede corso all’edificazione dell’ospedale e chi veniva ricoverato aveva il vitto gratuito, la cura medica e i medicamenti.

Contestualmente all’ospedale si avviavano i lavori della prima foresteria, dell’ufficio postale e altre strutture abitative e tecniche, concorrendo a formare il nascente abitato di Montevecchio.

In primavera, aprile  1871, carico di nuovo entusiasmo il Sanna tornò a Montevecchio per una visita ispettiva e per programmare le successive azioni. Fu anche l’occasione per ricevere la visita  del sindaco e dell’intero consiglio comunale di Guspini, ai quali si sentiva legato, illustrando loro i progetti di sviluppo della miniera che riteneva inesauribile, così come in una successiva visita al sindaco a Guspini chiedeva collaborazione per inviare alla scuola mineraria di Iglesias, da lui fortemente voluta e aperta da Quintino Sella, dei giovani di buon intelletto e volontà.

Gli ospiti accolti sul piazzale di Gennas, raggiunto con facilità grazie alla nuova strada carrabile Guspini – Montevecchio di 7,892 km, vennero accompagnati in una articolata visita dei cantieri facilitata da una rete viaria che si sviluppava per  20 km.

Il nuovo clima di euforia era palpabile e da subito il segnale fu quello di intestare nuovamente a Azuni la galleria che Cecchino aveva intestato a suo zio.

A Genna Serapis (Montevecchio) nell’ampio spazio chiamato più semplicemente Spianamento, si impostavano anche le fondamenta del palazzo della direzione e della chiesa,  mentre si rendeva più moderna la laveria Rio e si metteva a punto la nuova laveria Sanna. Le maestranze avevano superato i 1000 addetti e le produzioni superavano le 50.000 quintali di galena annui. Montevecchio era divenuta una delle più importanti e moderne miniere europee con il record di galena estratta nel 1871, di 5.750 mila tonnellate. 

La necessità di migliorare i trasporti dei minerali al porto di Cagliari e delle forniture spinse il Sanna  a dare corso allo studio del tracciato ferroviario da Sciria alla stazione delle Ferrovie Reali a Sangavino, ove si erano conclusi i lavori  del tratto  San Gavino Cagliari, iniziati nel 1864.

Dopo vent’anni di attività Montevecchio poteva  rimborsare per intero il capitale sociale di 600.000 lire con un fatturato di 18.494.534 lire e un utile di 4.625.827 lire. Una marea di denaro che si distribuì anche nei paesi vicini, perché l’ammontare dei salari nel 1870 era  pari a 7.073.208 lire.

Nel frattempo il parlamento da Firenze veniva trasferito a Roma, febbraio 1871, dando via ad una stagione di straordinario sviluppo e infrastrutture. In tale ottica Giovanni Antonio, pensando  alla sua Sardegna e profittando della legge emanata nel 1869 che sovvenzionava con  prestiti agli agricoltori,  considerato che il credito nell’isola era rimasto in capo alle attività degli usurai o ai monti di pietà, fondava  la Banca Agricola Sarda dotandola di un capitale di un milione di lire.

Era contro is Prinzipales (latifondisti), che a suo avviso avevano vanificato lo spirito della legge sulle chiudende con la loro ingordigia, recintando, tracciando e occupando enormi estensioni di terre a discapito dei piccoli contadini e allevatori che non riuscirono a costituirsi un proprio podere. Chiamerà a far da tutor un abile dirigente del Credito Mobiliare fiorentino, che in cinque anni raccoglierà depositi per oltre due milioni di lire e emetterà buoni agrari per circa 3,3 milioni. Da avveduto imprenditore con la banca sovvenzionerà non solo l’agricoltura ma l’edilizia nelle principali città dell’isola, scambi commerciali e altre imprese minerarie presenti in Sardegna,  nonché la miniera di piombo di Gbel Rsass in Tunisia.

Il grande entusiasmo favoriva nuove ricerche con importantissimi risultati, in alcuni filoni vennero rinvenuti noduli di argento nativo, nonché delle splendide anglesiti di color verde smeraldo, ancora oggi ricercatissime perché uniche. L’altro importante ritrovamento frammisto alla galena fu il filone blendoso, da cui si ricava lo zinco, che in quel periodo era particolarmente ricercato.

Per meglio stare dietro a tutte le sue attività imprenditoriali, di investimento, compresa l’attività politica, si stabilirà a Roma con il suo amico e collega Giorgio Asproni, in un albergo presso la stazione Termini, La Locanda del Globo.

Nel 1872 si avviò l’edificazione del pozzo Sant’Antonio  che consentiva la coltivazione dei livelli più bassi dell’Anglosarda. Negli anni tra il 1873 e 1875 fu un susseguirsi di nuovi lavori in tutti i cantieri di levante e di ponete, con importantissimi risultati strutturali e produttivi che portò l’assemblea del 5 novembre 1873 a deliberare la costruzione della ferrovia a scartamento ridotto trainata da muli o cavalli, per il trasporto dei minerali a San Gavino, presso la stazione delle Ferrovie Reali visto il completamento anche del tratto Cagliari Oristano, con un investimento pari a 676.000 lire e un costo di esercizio stimato in 2,25 lire/quintale, con ammortamento e manutenzioni comprese, finanziabile con i soli fondi societari.

A questi importanti sviluppi concorse senza dubbio l’ingresso in miniera del martello pneumatico Simon Ingersoll che l’Asproni vide operare nelle miniere del Regno Unito e subito adottò.

Tanta della ricchezza di Montevecchio fu reinvestita tra nuovi pozzi, gallerie, viabilità stradale, abitazioni e ferrovie, del resto la lettera aperta a Quintino Sella sull’attenzione che lo Stato avrebbe dovuto porre per sostenere le miniere sarde non ebbe particolare attenzione.

Con i suoi proventi Giovanni Antonio investì tanto in agricoltura che riteneva fondamentale per la Sardegna e nella sua Sassari acquistò la tenuta nobiliare di Monserrato e l’antica proprietà fondiaria  di San Sebastiano. Allora si parlava a livello nazionale d’esser l’uomo più ricco d’Italia, pare che tutte le operazioni di compravendita effettuate nell’isola nel 1870 non furono meno di 2,5 milioni di lire.

In Sardegna ormai veniva meno, preso dagli affari e dalla apertura di una succursale della banca a Napoli di cui si innamorò, gli ricordava Marsiglia, ma molti sono del parere che Napoli fu un esilio voluto se non obbligato per allontanarsi dalle lingue ed ambienti velenosi che lo tormentavano, compresa la famiglia.

La morte non chiara della figlia Enedina, nel marzo del 1873, lo rattristò fortemente e i rapporti familiari si raffreddarono ulteriormente, mentre si acuivano con i generi che continuavano a tessere trame a suo carico per impossessarsi del vastissimo patrimonio accumulato, irriconoscenti di quanto Giovanni Antonio aveva fatto per loro.

Questa situazione lo amareggiava, peraltro aveva scoperto di avere seri disturbi cardiaci che ne avevano minato la salute e lo spirito.

Lo rallegrerà solo la visita  nell’ottobre del 1873 del suo caro Giorgino Asproni che rientrava da Berlino per carpire nuove tecnologie, decise di andare a trovare l’Ispettore Generale, così lo chiamava, per informarlo sui progressi della miniera ormai su livelli produttivi internazionali. Così pure non manca di portare i saluti dei suoi più cari amici di Guspini, in attesa di una sua nuova visita.

Per dare certezza a Montevecchio nell’Accomandita del 3 novembre 1873, propose attraverso il suo procuratore avv. Sineo, di dare a Giorgino Asproni un ruolo più importante togliendo al genero Sonlias Apostoli la gerenza, in quanto gerente anche della banca. Questo non fece altro che inasprire ulteriormente i rapporti  familiari, ma reputava suo genero uno sfaticato, più dedito alla bella vita che al lavoro.

Di Montevecchio sapeva anche tramite le lettere del suo amico Are, in particolare salutò con infinita gioia la notizia che in miniera si stavano per raggiungere le 7 mila tonnellate di galena, proprio nel momento in cui il prezzo della galena saliva nei mercati di Marsiglia e Londra. Il ricavato delle produzioni piombifere aveva quasi pareggiato il valore dell’intera produzione cerealicola sarda.

Nel 1874, si dava avvio anche allo sbancamento per la realizzazione della ferrovia Montevecchio – Sangavino e alla costruzione a ponente della terza laveria, La Marmora. Così pure Giorgino Asproni, nonostante le continue interferenze del genero del Sanna che ancora manteneva la gerenza,  fa edificare a Genna Serapis dieci appartamenti in palazzine a due piani per ospitare lo staff della miniera  chiamato a gestire 1500 operai, distribuiti sui quattro pozzi di estrazione.

Notizie anche quest’ultima che confortavano Giovanni Antonio, ma non le informazioni su suo cognato Solinas che male aveva digerito la sua estromissione in favore dell’Asproni, inoltre stavano venendo meno la salute e l’entusiasmo, pur sollecitato a rientrare in Sardegna preferì il suo esilio, ormai separato da tutti a eccezione pare della figlia Zely.

Si mantenne il rapporto d’amicizia con Giorgio Asproni che più volte andò a visitarlo, trovandolo ogni volta sempre più lontano dagli affetti e affari, in contino stato di grave affaticamento e  lucidità.

La salute di Giovanni Antonio precipitava rapidamente, cosi la figlia Zely convinse la madre Marietta, sul finire di giugno del 1874, di andarlo a trovare. Zely racconta delle allucinazioni paterne, in particolare il ricordo del prete Pischedda che nel sonno lo tormentava, così pure degli ingrati generi. Le due donne si resero conto del precipitare della situazione e dello stato di profonda prostrazione del loro caro, nonché dell’atteggiamento delle due badanti, madre e figlia Scaletta, che non agivano per lenire la malattia di Giovanni Antonio ma tendevano a circuire l’uomo per loro profitto, tanto che Marietta dubitava della natura della malattia. Immediatamente vennero licenziate e chiamata un’infermiera per aiutarle, anche perché Giovanni Antonio chiese loro di non lasciarlo solo. Madre e figlia si insediarono nella villa “del Balzo” di Capodimonte, in quanto l’affitto venne pagato anticipatamente sino a tutto il 1874. Marietta e Zely visto il precipitare della situazione,  decisero di trasferirlo a Roma, perché portarlo a Sassari sarebbe stato molto più complicato, il viaggio in nave non sarebbe stato opportuno, inoltre nella capitale risiedevano le famiglie dei generi Solinas e Giordano nonché la sede dell’Accomandita a suo tempo spostata da Firenze.

Il trasferimento avvenne in terno i primi di gennaio, accompagnato da Marietta, Zely e Ignazia, giunta apposta per assistere il padre. Purtroppo però la situazione sanitaria peggiorava ulteriormente  e a nulla valsero l’amorevole assistenza di Zely che per destarlo dal suo torpore e apatia le leggeva i giornali e le narrava di Montevecchio, nel pomeriggio del 9 febbraio del 1875, Giovanni Antonio Sanna, all’età di 55 anni moriva.

La notizia colse tutti di sorpresa, compresi i suoi amici più cari, Asproni, Sineo, Crispi e Mari, presenti tutti a Roma ma non avevano saputo del suo trasferimento. In un baleno la nuova  si diffuse  anche in Sardegna, nella sua Montevecchio e a Guspini, dove nacque Enedina, i tanti amici e il direttore della miniera Giorgino Asproni, sette giorni dopo, celebrarono in suo onore una solenne messa con un sontuoso catafalco e tante corone nel duomo di San Nicolò.

Molti lo consideravano un uomo che fece la sua fortuna attraverso l’avidità sociale e la corruzione politica, burbero e arrogante, anche nella sua Sassari non godeva di tanta stima, mentre  gli amici più vicini lo ritenevano un uomo generoso, semplice e disponibile a aiutare i più poveri, ma duro, sprezzante e spietato nei confronti di chi tentava di imbrogliarlo o di truffarlo.

Ci lasciava un grande personaggio che usciva a testa alta tra le intraprese minerarie della Sardegna, allora tutte in mano a società estere, mantenendo, nonostante tutto, il suo impegno assunto al cospetto del Re Carlo Alberto, di fare di Montevecchio la miniera più importante del regno.

Nello stesso anno l’ing. Alberto Castoldi, anche lui sassarese, sposava a Roma nel mese di  maggio la quarta figlia del Sanna, Zely. Si era laureato  a Freyberg il 23 novembre 1874, pare attraverso il finanziamento del suocero che aveva visto nel suo giovane e intraprendente ingegnere minerario il potenziale suo successore, ottenendone la promessa che al termine degli studi sarebbe tornato a lavorare a Montevecchio. Il Castoldi appena sposato prendeva subito servizio a Montevecchio, come da promessa.

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