miriana___
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Giolitti

All’inizio del 900 l’Italia era scossa da gravi tensioni sociali, il governo reagì con delle repressioni violente di tutte le manifestazioni.
Il 29 luglio 1900 l’anarchico Gaetano Bresci assassinò a Monza il re Umberto I per vendicare le vittime delle repressioni.
Vittorio Emanuele III affidò il governo a Giuseppe Zanardelli esponente della sinistra e Giovanni Giolitti divenne ministro degli interni.
Nel 1903 Giolitti sostituì Zanardelli alla guida del governo.

Giolitti tentò di avvicinare socialisti e liberali e favorì la nascita delle Camere del lavoro per migliorare le condizioni di vita nelle fabbriche. Contemporaneamente, Giolitti avviò la nazionalizzazione delle ferrovie e dei telefoni e stimolò la produzione industriale.

Il fenomeno migratorio e la “questione meridionale”

A partire dalla fine dell’Ottocento, e poi durante l’età giolittiana, il fenomeno migratorio crebbe in modo evidente. L’emigrazione di tanti lavoratori era dovuta in primo luogo alla crisi economica internazionale, ma era anche molto arretrata economicamente.
Gli emigranti si dirigevano in parte verso i Paesi europei e verso il continente americano.
A emigrare erano principalmente gli italiani provenienti dal Meridione. Al Nord l'emigrazione avveniva verso i paesi europei industrializzati.
Nel Nord il fenomeno dell'immigrazione fu la conseguenza dello sviluppo industriale, invece a Sud esso deriva dalla disastrosa situazione dei contadini.
Il dramma dell’emigrazione ripropose la “questione meridionale”. Giolitti intervenne con provvedimenti tesi al rilancio economico del Meridione attraverso l’abolizione di alcune tasse, favorì l’industrializzazione e la costruzione dell’Acquedotto pugliese.
In seguito a questi atteggiamenti Giolitti venne accusato di mostrare un doppio volto: progressista e attento allo sviluppo del Nord, ma conservatore verso il problema agrario del Sud.
Nel 1909 Giolitti presentò le dimissioni, ma nel 1911 Giolitti tornò nuovamente alla guida dell’Italia con due progetti fra loro in contraddizione:
- la ripresa dell’iniziativa coloniale con l’occupazione della Libia;
- l’introduzione del suffragio universale maschile.

Politica estera giolittiana

L’Italia riconferma la Triplice Alleanza (Austria, Germania, Italia) ma allo stesso tempo stringe un accordo diplomatico con la Francia, impegnandosi a non intervenire nella guerra contro il Marocco e la Francia non sarebbe intervenuta nella guerra contro la Libia, questo atteggiamento viene visto dall’Austria e dalla Germania come un comportamento non corretto.
Nel 1911 l’occasione per invadere la Libia fu molto più facile perché l’Impero ottomano era debole, l’Italia invia un ultimatum alla Turchia ma viene respinto. Il 29 settembre 1911 l’Italia dichiarò guerra alla Turchia, dopo i primi facili successi, la guerra risultò molto più difficile e lunga del previsto. La guerra si concluse con l’accettazione, da parte della Turchia, della sovranità italiana del Dodecaneso.
La conquista della Libia diede risultati deludenti, così l’ipotesi di indirizzare verso la Libia i contadini poveri che lasciavano l’Italia per le Americhe si dimostrò irrealizzabile.
La Libia appariva come “uno scatolone di sabbia”.
Nel 1912 Giolitti concesse il suffragio universale maschile, quindi gli aventi al diritti al voto passarono da 3 a quasi 9 milioni.
Giolitti firmò il cosiddetto “Patto Gentiloni” , un accordo elettorale in base alla quale i cattolici avrebbero votato per i candidati giolittiani in cambio dell’emanazione di leggi favorevoli alla Chiesa.
Nel 1913 si svolsero le prime elezioni a suffragio universale maschile e i liberali di Giolitti ottennero la maggioranza.