vincenzo.disalvatore
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Delinea un ritratto di Giovanni Giolitti, mettendo in evidenza i provvedimenti più significativi del suo governo

Giovanni Giolitti fu uno dei più importanti uomini politici italiani. La sua attività politica è da collocarsi tra il 1903 e il 1914, periodo che gli storici hanno definito “età giolittiana” proprio perché caratterizzata dalla figura di questo grande statista. Giolitti, però, era stato al governo anche precedentemente. La sua carriera politica, infatti, cominciò durante il governo di Francesco Crispi, quando fu Ministro del Tesoro (1889-1890).

Nel 1892 divenne, per la prima volta, Presidente del Consiglio, ma fu costretto a lasciare tale carica perché coinvolto nello scandalo della Banca Romana. Dal 1901 al 1903, ricoprì la carica di Ministro dell’Interno durante il governo Zanardelli. Infine, tra il 1903 e il 1914 egli stesso fu a capo di tre governi. Lo scopo di Giolitti era quello di garantire all’Italia un periodo di pace. L’Italia, però, dal punto di vista interno, rimaneva profondamente divisa in due parti: il Nord, più ricco e industrializzato, e il Sud, povero e arretrato. Inoltre, erano nati profondi dissapori tra i padroni della terra e gli imprenditori industriali con i contadini e gli operai. Questi ultimi, per far valere i loro diritti, cominciarono a scioperare. Giolitti mostrò un atteggiamento diverso nei confronti di questi scioperi. Contrariamente a quanto avveniva in precedenza (lo Stato interveniva con la forza per reprimere gli scioperi), Giolitti era dell’idea che lo stato dovesse limitarsi a garantire l’ordine pubblico. Infatti, lo statista riteneva che gli scioperi, così come erano iniziati, sarebbero terminati da soli. Giolitti voleva riformare la società italiana e, per raggiungere questo scopo, riteneva che fosse importante giungere a un accordo tra le classi di governo vecchie e nuove e, quindi, tra liberali e socialisti. Per poter governare meglio, quindi, mostrò un’apertura sia verso il Centro-sinistra (cui facevano parte i socialisti) sia verso il Centro-destra (cui aderivano i conservatori). Il governo Giolitti pose l’attenzione alla legislazione sociale e ai problemi di lavoro. Furono varate importanti riforme sociali che tutelavano il lavoro delle donne e dei ragazzi, prevenivano gli infortuni sul lavoro e garantivano il riposo settimanale. Inoltre vennero messi in pratica degli interventi speciali per lo sviluppo del Mezzogiorno. Nel 1905 furono nazionalizzate le ferrovie e incominciarono dei lavori per il miglioramento della viabilità (fu costruito, ad esempio, il traforo del Sempione). Le più importanti riforme dell’età giolittiana si ebbero, però, a partire dal 1911. Fu varata, infatti, una legge che rendeva obbligatoria l’istruzione elementare per tutti, le assicurazioni diventarono monopolio dello Stato e, nel 1912, venne approvato il suffragio universale maschile: potevano votare tutti i cittadini maschi che avevano compiuto i trent’anni di età e quelli che avevano più di ventuno anni a patto che avessero prestato il servizio militare. In politica estera, Giolitti si riavvicinò a Francia e Inghilterra, pur continuando a rimanere legato alla Triplice Alleanza. Lo statista, grazie a questi accordi, ottenne libertà d’azione in Tripolitania e Cirenaica e riconobbe i diritti francesi in Marocco e inglesi in Egitto. Perciò, nel 1911, attaccò la Turchia. La guerra italo-turca vide il capitolare della Turchia. In seguito alla vittoria ottenuta, l’Italia conquistò Rodi, la Libia e le isole del Dodecaneso. La crisi del sistema giolittiano si ebbe nel 1913. In quest’anno, fu firmato il Patto Gentiloni: si trattava di un accordo politico con i cattolici in vista delle elezioni di quell’anno. Con tale patto venne revocato il Non expedit, la bolla papale con la quale Papa Pio IX vietò ai cattolici di partecipare alla vita politica in seguito all’unificazione italiana. A peggiorare la posizione di Giolitti fu anche il Sud, che lo accusò di aver favorito lo sviluppo del Nord, lasciando il Mezzogiorno nelle sue solite condizioni di arretratezza. Nelle elezioni del 1913, dunque, Giolitti pensò di lasciare il potere a una persona di secondo piano della quale, poi, si sarebbe potuto sbarazzare. Prese, così, il potere Antonio Salandra che, però, in breve tempo, si rese autonomo da Giolitti. Quando scoppiò la Prima Guerra Mondiale, Giolitti fu un accanito sostenitore della linea neutralista. L’Italia, però, entrò in guerra in seguito al patto di Londra del 1915. L’ultimo governo Giolitti si ebbe nel 1920, durante il cosiddetto “biennio rosso”. Lo statista fu chiamato di nuovo al governo per risolvere la spinosa questione di Fiume. Si ebbe, così, la stipula del Trattato di Rapallo, con il quale Fiume veniva dichiarata “città libera”. Giolitti si ritirò definitivamente dalla scena politica nel 1921, quando iniziò ad affermarsi il fascismo. Discordi sono i pareri sull’attività di Giolitti: da un lato egli fu considerato un ottimo statista, dal momento in cui l’Italia conobbe un periodo di notevole sviluppo; dall’altro, invece, fu definito da Salvemini “Ministro della malavita” in quanto fu accusato di aver manipolato i voti del Sud per le elezioni del 1913.