Giacomo Matteotti, vita e morte di un padre della Democrazia. Mostra a Roma - la Repubblica

Roma

Giacomo Matteotti, lezioni di democrazia a 100 anni dal delitto

Giacomo Matteotti, lezioni di democrazia a 100 anni dal delitto
Per la prima volta in mostra la lettera della “pistola fumante” scritta dal carcere a Benito Mussolini dall’assassino Dumini
2 minuti di lettura

Eccoli — da poco scoperti — i moventi dell’assassinio di Giacomo Matteotti. Sono in un suo articolo sulle tangenti ai fascisti, pubblicato post mortem nella rivista “English life” (“Machiavelli, Mussolini and Fascism”). Moventi non solo politici, ma economici, di interessi milionari, che inducono il duce a ordinare il delitto Matteotti. Quell’articolo — con il testamento di Amerigo Dumini, uno degli assassini di Matteotti — è il pezzo forte della mostra su “Giacomo Matteotti, vita e morte di un padre della Democrazia” (dal 1° marzo al 16 giugno, a Palazzo Braschi).

Curata da Mauro Canali, conoscitore attento del primo segretario del Partito socialista unitario — e, per il sindaco Roberto Gualtieri, «primo antifascista nell’immaginario collettivo» — la mostra getta sul delitto Matteotti un fascio di luce nuova: «Fu ucciso perché stava per denunciare la corruzione promossa dall’americana Sinclair Oil verso il governo fascista, attraverso Arnaldo Mussolini, fratello di Benito, in cambio della concessione esclusiva e cinquantennale per la ricerca e lo sfruttamento del petrolio in Emilia e in Sicilia».

Lo scopo del sequestro e della morte di Matteotti trova conferma nelle parole di Dumini, della polizia segreta fascista (Ceka) e coautore del crimine: «Era necessario impossessarsi dei documenti che (Matteotti) aveva con sé perché erano compromettenti per Mussolini e per il partito». Come accadrà, ben oltre cinquant’anni, dopo alla borsa di Moro, a quella di Dalla Chiesa e all’agenda rossa di Borsellino, anche la cartella di Matteotti sparisce quel 10 giugno 1924, con le prove da lui trovate in Inghilterra, sulla corruzione.

«La mostra», spiega, Alessandro Nicosia che ne ha curato l’organizzazione, «con oltre 200 documenti, 60 foto, quadri, filmati d’epoca è una rassegna dell’intera vita di Matteotti». Con focus diversi. Ecco quello sull’influenza — nella crescita di Giacomo — del fratello Matteo che, nel 1909, a 33 anni, muore di tisi, un anno prima di un altro fratello, Silvio, il più piccolo, colpito sempre dalla Tbc. Giacomo ha 25 anni. È consigliere a Fratta Polesine. Due anni dopo, nel 1910, è nel Consiglio provinciale di Rovigo. Scrive sul periodico socialista “La Lotta”. «Si batte contro lo sfruttamento dei braccianti», ricorda l’assessore Miguel Gotor (Cultura). Gli agrari guardano al socialista, rampollo di una famiglia benestante di commercianti, come a un traditore dei suoi stessi interessi, comunque, a un nemico dei loro. «Comincia ad affacciarsi alla politica nazionale», spiega Canali, «confrontandosi e scontrandosi con i massimalisti«.

Antimilitarista, critica da sinistra gli stessi riformisti e il loro slogan sulla guerra: “Né aderire né sabotare”. Sta con Turati ma è un turatiano critico. Scrive articoli contro Mussolini che, espulso dal Partito socialista, nel 1914, fonda “Il Popolo d’Italia”, testata interventistica. La sua avversione alla guerra è alta. Con gli austriaci alle porte di Vicenza, è il 1916, in un discorso in Consiglio provinciale, scandisce, tra contestazioni e invettive: “A noi non importa che il nemico sia alle porte, siamo dei senza patria”. E, rivolto all’aula: “Siete degli assassini — accusa — , dei barbari in confronto agli austriaci”.

Invoca persino l’“insurrezione” per evitare che l’Italia entri in guerra. Ed è condannato per grida sediziose. Non risponde alla leva e finisce in Sicilia da internato. Di sé dice: “Sono un riformista ma coerente”. E si adopera per realizzare una società socialista, non a migliorare quella capitalistica. Nel 1919 è eletto deputato nel collegio di Rovigo e Ferrara, da una popolazione fiaccata da pellagra, malaria, altre malattie e tanti stenti. A lui toccherà morire per aver denunciato, senza cedimenti, affarismo e corruzione nel regime in fieri.

I commenti dei lettori