Francesco Sforza, il condottiero che divenne signore di Milano

Francesco Sforza, il condottiero che divenne signore di Milano

Seicentoventi anni fa nasceva colui che elevò la famiglia Sforza da semplici condottieri a signori di Milano, ponendosi al centro delle annose battaglie che in quel tempo imperversavano tra i regni della penisola italiana

«Francesco per li debiti mezzi, e con una sua gran virtù, di privato diventò Duca di Milano, e quello che con mille affanni aveva acquistato, con poca fatica mantenne».Niccolò Machiavelli descrisse così Francesco Sforza in Il Principe, citandolo appunto come modello di governante che conquista il potere grazie alle sue virtù. Nel 1450, infatti, Francesco Sforza divenne duca di Milano e s'inserì tra i potenti che dominavano l’Italia. Grazie alle sue doti strategiche finì per diventare il perno della complessa situazione politica del tempo.

Ritratto di Francesco Sforza. Francesco Bonsignori. Olio su legno, 1490 circa

Ritratto di Francesco Sforza. Francesco Bonsignori. Olio su legno, 1490 circa

Foto: The Granger Collection, New York / Cordon Press

Francesco era nato a San Miniato, una località a metà strada tra Firenze e Siena, il 23 luglio 1401. Era uno dei sette figli illegittimi che il condottiero Giacomo “Muzio” Attendolo – detto Sforza – aveva avuto dalla sua amante, una gentildonna di nome Lucia Torsano (o Terzano o Tregani). Muzio non sposò mai la madre dei suoi figli ma tempo dopo convolò a nozze con la nobile Antonia Salimbeni da Siena. In seguito stabilì che Lucia sposasse uno dei suoi soldati. Dopo alcuni anni trascorsi a Ferrara, Francesco si trasferì a Napoli. Qui re Ladislao d'Angiò-Durazzo gli concesse, ad appena undici anni, il titolo di conte di Tricarico, in Lucania. Data la giovane età, era chiamato spesso “il conticello”.

Francesco Sforza ottenne il primo titolo nobiliare all'età di undici anni. Questo fatto gli valse il soprannome di “conticello”

Dal 1417 Muzio iniziò a volere accanto a sé in battaglia anche Francesco, che intanto aveva ottenuto dalla nuova sovrana, la regina Giovanna II, il diritto di primogenitura e quindi tutti i benefici ereditari. La regina, inoltre, legittimò anche gli altri figli di Lucia e Muzio. Il 23 ottobre 1418 Francesco sposò a Rossano (Cosenza) Polissena, la figlia di Carlo II Ruffo, conte di Sinopoli e Montalto, appartenente a una delle casate più influenti della Calabria. La donna, da poco vedova del cavaliere francese Giacomo de Mailly, portava in dote molte terre soprattutto nel cosentino, oltre che la capitaneria di Rossano, un dono speciale della regina che l’aveva molto in simpatia.

Purtroppo Polissena morì nel 1420, pochi giorni dopo la loro primogenita, di appena un anno. La causa del decesso non fu mai chiarita e qualcuno avanzò il sospetto che entrambe furono avvelenate da qualche membro dei Ruffo per motivi interni alla famiglia.

Un condottiero di valore

Francesco Sforza fin da giovanissimo si dimostrò un condottiero di gran valore, collezionava vittorie in battaglia, superando in bravura anche il padre, forse perché la sua azione bellica era sempre ponderata con raziocinio anziché improntata all’offensiva violenta. Quando nel 1424 Muzio morì a causa di un incidente nella battaglia dell’Aquila – uno scontro all’interno di un conflitto tra il condottiero Braccio da Montone e la città de L’Aquila che coinvolse vari regni d’Italia, tra cui quello di Napoli – Francesco assunse il comando delle truppe paterne riuscendo a sgominare gli avversari e ponendo fine alla guerra che durava da circa due anni.

Francesco Sforza a cavallo. 1469. Biblioteca Riccardiana, Firenze

Francesco Sforza a cavallo. 1469. Biblioteca Riccardiana, Firenze

Foto: Fine Art Images / Heritage

In breve tempo i signori iniziarono a contenderselo: rimase per diversi anni al servizio di Giovanna II, poi fu arruolato dal papa Martino V che gli incaricò di combattere contro Corrado Trinci, signore di Foligno, a lui ostile. La spedizione andò rapidamente a buon fine e diede ulteriore fama al condottiero. Nell’estate del 1425 Filippo Maria Visconti, duca di Milano, ebbe necessità dei suoi servigi. In quel periodo, infatti, il duca era impegnato in una dura e lunga lotta contro la Repubblica fiorentina e la Repubblica di Venezia per l’ampliamento dei propri domini. Desideroso di vedere presto la sua impresa coronata dal successo, Visconti offrì a Sforza il comando di alcune guarnigioni, un contratto di condotta per cinque anni e ingenti somme di denaro.

I rapporti tra i due però non furono mai idilliaci, bensì ambigui e conflittuali. Il duca infatti, giudicava il condottiero troppo ambizioso e non si fidava completamente di lui. Sotto di lui, Sforza subì la sua prima sconfitta importante: inviato a Genova alla fine del 1427, cadde in un’imboscata e si salvò solo grazie all’aiuto della nobildonna Eliana Spinola, signora di Ronco. Il duca di Milano, allora, lo spedì a Mortara, vicino a Pavia, con un incarico minore e una paga ridotta, oltre che costretto a vivere praticamente imprigionato dentro il castello. Poi a luglio del 1430 Filippo Maria Visconti sciolse il contratto con Francesco Sforza. Quando però nel 1431 il ducato di Milano si trovò a fronteggiare un nuovo attacco dell’esercito veneziano, Visconti, con le spalle al muro, non poté fare altro che richiamarlo: per convincerlo a tornare al servizio di Milano, gli concesse in moglie sua figlia Bianca Maria.

Un'attesa infinita

Dato che lei aveva solo sei anni (e lui trenta), dovette aspettare dieci anni per sposarla. Nel frattempo i rapporti tra i futuri suocero e genero continuarono a essere altalenanti e Filippo Maria Visconti cercò di ritardare le nozze più a lungo possibile. Dal canto suo, Francesco chiese al papa di far annullare il suo secondo matrimonio: dopo la morte di Polissena, infatti, si era risposato con Maria, la figlia di Jacopo Caldora, un altro condottiero. Francesco Sforza amava circondarsi di donne: si racconta che ebbe un numero indefinito di amanti (la più famosa si chiamava Giovanna d’Acquapendente, detta “la colombina”) e ben trentacinque figli. Del resto era considerato un uomo molto piacente. Anche da anziano curava molto il suo aspetto: una volta acquistò una sorta di tonico per la pelle che prometteva miracoli, mentre in un’altra occasione, a causa di un problema al viso, espresse la sua preoccupazione per il fatto di dover indossare una benda che tutti avrebbero notato.

Bianca Maria Visconti. Tempera su pannello opera di Bonifacio Bembo. 1450 circa. Pinacoteca di Brera

Bianca Maria Visconti. Tempera su pannello opera di Bonifacio Bembo. 1450 circa. Pinacoteca di Brera

Foto: Pubblico dominio

Bianca Maria Visconti. Tempera su pannello opera di Bonifacio Bembo. 1450 circa. Pinacoteca di Brera

 

 

Il tergiversare di Filippo Maria Visconti fu in vano: Francesco e Bianca Maria si sposarono il 25 ottobre 1441. Pare che Sforza fosse sinceramente innamorato della moglie, anche se questo non gli impedì di tradirla spesso. Lei non sempre si mostrava tollerante davanti alle sue scappatelle: un giorno si lamentò di lui addirittura con il papa Paolo II. Si racconta che una volta, per beffarsi di lui, si sostituì all’amante che lui stava aspettando.

Signore di Milano

Alla morte del suocero, avvenuta del 1447, Francesco avanzò la pretesa del ducato di Milano. Una parte dei milanesi – tra cui alcune potenti famiglie aristocratiche, ma anche borghesi e popolani – non lo volle come successore di Visconti e si oppose proclamando la Repubblica Ambrosiana. Sulla sua testa fu addirittura posta una taglia di duecentomila ducati. Sforza decise di rompere gli indugi e nel 1447 assediò la città per otto mesi, bloccando di fatto le vie di comunicazione e quindi anche l’approvvigionamento del cibo. Alla fine il popolo, stremato dalla carestia, voltò le spalle alla Repubblica Ambrosiana e acclamò Francesco Sforza. Il ducato di Milano era diventato suo.

Per ingraziarsi la simpatia del popolo meneghino, vessato fino a pochi mesi prima dal suo stesso assedio, stabilì l’esenzione dei dazi a tutte le derrate che entravano in città. Il 22 marzo 1450 la famiglia Sforza – Francesco, Bianca e Galeazzo Maria, nato nel 1444 – fecero solenne ingresso a Milano. Volendo dar prova di modestia, Francesco rifiutò il carro trionfale che era stato preparato per lui e, arrivato davanti al duomo, pronunciò un discorso e gli furono donati lo scettro, lo stendardo, il sigillo, una spada e le chiavi della città.

Ritratto di Galeazzo Maria Sforza. Piero del Pollaiolo. 1471. Galleria degli Uffizi, Firenze

Ritratto di Galeazzo Maria Sforza. Piero del Pollaiolo. 1471. Galleria degli Uffizi, Firenze

Foto: Alinari / Cordon Press

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Da quel momento Sforza smise i panni del condottiero per vestire quelli di signore di Milano, trovandosi alla pari dei vari potentati della penisola e non più al loro servizio. Prima rinforzò l’amicizia con Cosimo I de'Medici, con il quale condivideva l’opposizione contro Venezia, poi fu tra i promotori della Lega italica, nata a seguito della pace di Lodi (1454) che per un po’ mise fine alle ostilità tra Milano, Venezia, Firenze, lo stato della Chiesa e il regno di Napoli. Per rinsaldare i legami con quest’ultimo, fece sposare sua figlia Ippolita con Alfonso, duca di Calabria e principe ereditario. Come spiega la biografa Caterina Santoro, non a caso Sforza è considerato il primo ad aver tentato con successo la pacificazione della penisola mediante l’equilibrio delle varie signorie.

Purtroppo però anche da signore di Milano si trovò sempre in difficoltà economiche: le continue battaglie cui partecipava il ducato erano molto costose. In qualche occasione la moglie dovette impegnare i suoi gioielli e lui parecchie volte fu costretto ad aumentare le tasse. Eppure cercò sempre di mostrarsi cordiale e benigno con i meneghini: si racconta che una volta disse a suo figlio Galeazzo Maria che chi detiene il potere deve saper usare magnanimità, giustizia e clemenza.

Benevolenza e opere pubbliche

Si dedicò anche all’urbanistica cittadina: sotto di lui fu edificata una chiesa intitolata alla Madonna Incoronata e soprattutto il castello sforzesco. Quest’ultimo sorge sui ruderi del precedente castello di Porta Giovia, distrutto dopo la morte di Filippo Maria Visconti. Per realizzare i lavori, Sforza convocò diversi architetti, tra cui Antonio Averlino detto Filarete che si occupò di una torre che ancora oggi è ricordata con il suo nome. Purtroppo Francesco Sforza morì prima che i lavori fossero conclusi e fu il figlio Ludovico Maria detto il Moro a portarli a termine. Filarete si occupò anche del colossale complesso dell’Ospedale maggiore, uno dei simboli della città sforzesca. Forse per ricambiare il favore delle importanti commissioni, quando intorno al 1464 Filarete scrisse il suo Trattato di Architettura disegnò una città ideale e per omaggiare la famiglia la chiamò Sforzinda.

Castello Sforzesco, Milano, 1744. Opera appartenente alla Collezione di siti storici di Ceske Budejovice

Castello Sforzesco, Milano, 1744. Opera appartenente alla Collezione di siti storici di Ceske Budejovice

Foto: Fine Art Images / Heritage

Francesco Sforza capiva l’importanza della cultura: si appassionò agli scritti di Tito Livio, collezionò insieme alla moglie codici miniati e radunò attorno alla sua corte vari intellettuali, come il bizantino Costantino Lascaris che aveva il compito di insegnare il greco a sua figlia Ippolita. Il letterato le dedicò anche un testo di grammatica greca intitolato Erotèmata. Nella corte sforzesca vi era anche l’umanista Francesco Filelfo, il quale avrebbe dovuto comporre un poema encomiastico della famiglia Sforza dal titolo Sforziade.

In età matura, Francesco Sforza iniziò ad accusare problemi di salute cronici: lo tormentavano la gotta e l’idropisia – un accumulo di liquidi in cavità del corpo. Fu proprio quest’ultima patologia a stroncarlo l’8 marzo del 1466. Bianca Maria rimase al suo capezzale per due giorni; poi, il signore di Milano poi fu sepolto all'interno del duomo. Il suo casato continuò a dominare sulla città fino al 1535, quando il ducato passò nelle mani dei francesi.

Per saperne di più
Gli Sforza. Caterina Santoro. Tea Storica, Milano, 1992

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