LOUVOIS, François-Michel Le Tellier, marchese di in "Enciclopedia Italiana" - Treccani - Treccani

LOUVOIS, François-Michel Le Tellier, marchese di

Enciclopedia Italiana (1934)

LOUVOIS, François-Michel Le Tellier, marchese di

Carlo Morandi

Uomo di stato e ministro della Guerra di Luigi XIV, nato a Parigi il 18 gennaio 1641, morto a Versailles il 16 luglio 1691. Crebbe sotto la guida del padre, il cancelliere Michel Le Tellier che, fin dal 1654, gli assicurò la continuità nella carica di segretario di stato per la Guerra, Difficile, in questi primi anni, distinguere l'opera del padre da quella del figlio; ma è fuor di dubbio che L., giovanissimo ancora, diede ottime prove di capacità e, soprattutto dopo il suo matrimonio con Anna de Souvré marchesa di Courtenvaux (1662), si applicò assiduamente al lavoro, guadagnandosi la crescente fiducia del re.

Le sue missioni segrete e, più tardi, le sue visite ai teatri delle operazioni, impegnavano a fondo generali, intendenti, commissarî; osservatore attento e scrupoloso, egli scopriva e denunciava abusi e malversazioni. I risultati di quelle inchieste se, da un lato, costituivano il fondamento delle decisioni sovrane, dall'altro suggerivano al L. stesso le linee direttive delle sue riforme militari. La sua amministrazione si basa su un diretto controllo dell'esercito da parte del governo; egli ha di mira un'esercito forte, numeroso, ben equipaggiato, sostenuto da una ferma disciplina. Di qui l'urgenza d'una lotta a fondo contro ogni sorta di abusi e di venalità. Ai commissarî di guerra fu affidata la parte economico-amministrativa, agl'ispettori l'istruzione militare; ma pure su di essi il L. esercitò la sua minuziosa sorveglianza. Fu moderato il lusso degli ufficiali e ne furono punite le negligenze di servizio anche in tempo di pace; regolato l'avanzamento, seguendo in prevalenza un criterio di anzianità, che a volte ostacolò il merito, ma pose un freno alla venalità delle cariche. Meno facile fu applicare questi canoni riformatori a quei corpi privilegiati che costituivano il complesso delle guardie del re; tuttavia l'organismo militare risentì in ogni sua parte i provvidi effetti di quest'opera di risanamento. L'istituzione di nove compagnie di cadetti con libero accesso alla gioventù borghese, le provvidenze rivolte a impedire le trattenute illegali sulle paghe dei soldati, l'aver dato a 72 reggimenti un nome definitivo e a tutte le armi un'uniforme, simbolo di ordine e di fedeltà, l'erezione dell'Hôtel des invalides (v. parigi), tutto ciò diede nuova forza e compattezza all'esercito. Né mancarono le riforme tecniche, dovute al progresso dell'arte della guerra e al genio di S. Vauban, ma dal L. subito accolte: il fucile sostituito al moschetto di vecchio tipo, la fanteria dotata di baionette (1687), la creazione di basi di rifornimento, l'impulso dato all'ingegneria militare. Opera personale del L. fu il primo tentativo di reclutamento regolare per sorteggio (1688) e la fondazione degli archivî militari (Dépôt de la guerre, 1688). In sostanza L. mirò alla formazione di un esercito moderno e nazionale, e a far sì che la persistenza di contingenti stranieri non potesse più alterarne la fisionomia schiettamente francese.

Senza dubbio il politico fu inferiore all'amministratore. La forza delle armi e le virtù del solido organismo da lui creato, lo indussero a trascurare le energie morali degli avversarî e gli stessi limiti di resistenza dello stato francese; gli fecero perdere l'esatto senso della misura, offrendo ai nemici (come nel 1672 agli Olandesi) condizioni inaccettabili che suscitavano nei vinti il coraggio della disperazione. Così pure la sua concezione violenta e brutale della guerra, mentre urtava le consuetudini del tempo, accendeva reazioni pericolose e preparava danni di gran lunga superiori ai vantaggi. Infatti la campagna di devastazione del Palatinato (1688) predisposta dal L. fu così spietata, che in certi momenti finì col suscitare la collera del re.

Anche nelle grandi questioni politiche gl'interventi del L. non furono sempre felici. Di fronte alla spedizione di Sicilia parve titubante e dopo molte alternative indusse il re a ordinare l'evacuazione dell'isola. Certo il L. mirava alle conquiste vicíne più che a quelle lontane, a raccogliere le forze dell'esercito più che a disperderle, e quindi concepiva l'avventura siciliana come una diversione che non doveva tramutarsi in una guerra costosa e d'esito dubbio. Dopo Nimega (1678) L. non è più un fautore della guerra a ogni costo; egli orienta la sua attività nel senso di una pace vigile e armata; la Francia doveva esser pronta a carpire tutto il possibile senza correre l'alea d'un nuovo conflitto. Di qui le istruzioni che guidarono la politica delle Camere di riunione; egli stesso negoziò il trattato che diede Strasburgo alla Francia (30 settembre 1681) e poco dopo preparò l'occupazione di Casale. L. aveva sempre perseguito un disegno di penetrazione in Italia mediante l'asservimento dello stato sabaudo; l'idea gli era sorta nel 1670 in occasione d'un viaggio fatto in Piemonte con S. Vauban; ma, nello sforzo di attuarla, la sua politica divenne aggressiva, irritò Carlo Emanuele II e preparò la reazione aperta di Vittorio Amedeo II (1690).

Intanto la fortuna di L. era molto cresciuta: fin dal 1666 egli eserci- tava in effetto le funzioni di segretario di stato per la Guerra, pur conservando il padre il titolo ufficiale fino al 1677. Seppe circondarsi di ottimi collaboratori (J.-L. de Chamlay, N. de Catinat, S. Vauban, ecc.). Rivale e nemico gli fu J.-B. Colbert; dopo la sua morte (1683), L. assunse anche la direzione dei Lavori pubblici, delle Arti e manifatture. Sul L. pesano molti eccessi d'intolleranza che accompagnarono la revoca dell'editto di Nantes (22 ottobre 1685), e ciò non per un suo intimo rigorismo religioso, ma per la durezza del carattere.

L'onnipotenza militare di L. moltiplicò il numero dei suoi nemici; l'assedio di Cuneo, voluto da lui e fallito (1691), segnò il rapido declino della sua fortuna. Negli ultimi mesi il favore di Luigi XIV subì un'incrinatura sempre più forte e di pari passo crebbe l'ostilità di Madame de Maintenon. Fu appunto in sua presenza che L. sostenne, il 15 luglio 1691, un violento colloquio col re; il giorno dopo spirò, sembra per un'emorragia interna e non, come si disse, per veleno.

Fonti: È opera spuria il Testament politique de Louvois (1695). Si vedano invece i giudizî ostili di Saint-Simon e di Madame de Sévigné, tenendo presente ch'essi videro nel L. lo strumento tipico dell'assolutismo, l'uomo uscito dal "règne de vile bourgeoisie".

Bibl.: Fondamentale C. Rousset, Histoire de Louvois et de son administration politique et militaire, voll. 4, Parigi 1861-63. Vedi inoltre: P. Lehugeur, L. ou l'armée française sous Louis XIV, Parigi 1883; H. Chotard, Louis XIV, L., Vauban et les fortifications du Nord de la France, Parigi 1889; L. André, M. Le Tellier de L. et l'organisation de l'armée monarchique, Parigi 1906.

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