VENIZELOS, Eleuterio Ciriaco in "Enciclopedia Italiana" - Treccani - Treccani

VENIZELOS, Eleuterio Ciriaco

Enciclopedia Italiana (1937)

VENIZELOS, Eleuterio Ciriaco

Angelo Pernice

Uomo di stato greco, nato a Murnies, presso La Canea, il 23 agosto 1864, da famiglia greca trasferitasi in Creta nel sec. XVIII, morto a Parigi il 18 marzo 1936.

Laureato in diritto ad Atene, fu implicato nella rivolta della sua isola natale (1888) e fu costretto a riparare in Grecia. Rientrato in patria l'anno seguente, fu uno dei capi della rivolta del 1897, membro dell'assemblea cretese e del governo provvisorio allora costituitosi. Alla sua fermezza e alla sua abilità diplomatica si deve in gran parte se, nonostante la sconfitta dei Greci in Tessaglia, le grandi potenze imposero al sultano vittorioso il principio dell'autonomia di Creta. V. prese parte al lavoro di compilazione del nuovo statuto cretese; e quando questo fu approvato, nel 1899, venne eletto membro del Consiglio dei Cinque che doveva assistere l'alto commissario, principe Giorgio di Grecia, nel governo. L'accordo fra il principe e V. non durò a lungo. Il contrasto nel 1901 portò a una aperta rottura. V., dimessosi dal Consiglio, passò all'opposizione. Battuto nelle elezioni del 1903, abbandonò coi suoi partigiani La Canea e a Therisso costituì un governo insurrezionale proclamando per proprio conto l'unione dell'isola alla Grecia (1905). Questa mossa provocò la caduta del principe Giorgio che dovette abbandonare Creta. Ma V. non ne raccolse l'eredità, essendo stato nominato alto commissario l'ex-presidente del consiglio ellenico, Alessandro Zaimis; tuttavia questi per governare dovette procedere d'accordo con lui. Fra il 1906 e il 1908 V. fece più volte parte del governo dell'isola, ma s'impose all'attenzione dei Greci del regno solo durante la crisi politica del 1909-10 provocata in Creta dalla proclamazione dell'unione dell'isola al regno (6 ottobre 1908), e in Atene dalla formazione della Lega militare. Nella proclamazione dell'unione V. ebbe una parte principale ed entrato poi nel governo provvisorio dell'isola diresse la lotta diplomatica per far trionfare il voto dell'assemblea cretese. I capi della Lega militare dopo il colpo di stato dell'agosto, chiamarono V. in Atene come loro "consigliere politico". V., venuto in Grecia mostrò di non voler vincolare la propria azione alle fazioni esistenti, ma farsi arbitro della situazione per dominarla. Egli indusse il re a convocare un'Assemblea nazionale per riformare la costituzione, ma indusse anche la Lega militare a sciogliersi; e nell'Assemblea, della quale fece parte come deputato di Atene, si oppose a coloro che miravano a mutare radicalmente la costituzione dello stato. Con ciò egli si guadagnò, da un lato, la fiducia del re; dall'altro, gli elementì liberali che si vennero aggruppando intorno a lui considerandolo come un capo. Il 10 ottobre 1910, caduto il ministero Dragumis, Venizelos fu chiamato alla presidenza del Consiglio e poco dopo, insistendo l'Assemblea nel suo atteggiamento estremista, egli la sciolse e nelle elezioni successive (11 dicembre 1910) si assicurò una maggioranza.

L'opera che V. svolse nel suo primo ministero fu provvidenziale per la Grecia. Ispirandosi a una politica realistica, egli si applicò a riformare i servizî pubblici e a diffondere l'istruzione. Speciali cure rivolse alla riorganizzazione e al rafforzamento della gendarmeria, dell'esercito e della marina. Si adoperò a comporre i dissidî esistenti con le altre nazioni balcaniche, specialmente con la Bulgaria, allo scopo di rendere possibile la loro unione contro la Turchia. Il 13 marzo 1912, fu conclusa un'alleanza fra Serbia e Bulgaria. Poco dopo, il 29 maggio, V. firmava un trattato di alleanza con la Bulgaria completandolo poi (5 ottobre) con una convenzione militare. La lega balcanica ormai è costituita e comincia la guerra.

Nei negoziati di pace egli assicura al suo paese notevoli vantaggi ottenendo l'annessione di Creta e la cessione della Macedonia sud-orientale con Salonicco e Cavala, e di un gran numero delle isole egee.

Allo scoppio della guerra mondiale V. era ancora al potere. Sin dai primi giorni si delineò un contrasto intorno alla politica da seguire fra lui, favorevole all'Intesa, e il re Costantino, favorevole alla Germania. La Grecia era legata alla Serbia da un trattato che le faceva obbligo di schierarsi al suo fianco nel caso che fosse assalita da un terzo stato. Per allora sovrano e ministro si trovarono d'accordo nel dare al trattato un'interpretazione che ne limitava la portata. Fu dichiarata, pertanto, la neutralità; ma date le rispettive convinzioni e finalità il conflitto fra Costantino e V. era fatale. Il primo urto avvenne nel gennaio 1915, quando l'Inghilterra propose alla Grecia di partecipare all'impresa dei Dardanelli promettendole lauti compensi in Asia Minore. V. si dichiarò favorevole all'intervento; ma il re respinse la proposta, impose a V. le dimissioni e sciolse la Camera (10 aprile 1915). Nelle elezioni seguite il 13 giugno, V. ebbe la maggioranza; nonostante ciò, egli non fu richiamato al potere se non il 23 agosto. Intanto avveniva la mobilitazione bulgara. V., facendo osservare che se la Serbia fosse stata attaccata dalla Bulgaria la Grecia non avrebbe potuto esimersi dall'intervenire, strappò al sovrano il decreto di mobilitazione; nello stesso tempo chiedeva agli Alleati se, avverandosi l'attacco bulgaro, fossero disposti ad inviare in Macedonia un esercito in sostituzione di quello che, in forza del trattato, i Serbi avrebbero dovuto mettere in linea in quel settore a fianco dei Greci contro i Bulgari. Era un invito coperto all'immediato intervento dell'Intesa in Oriente che gli avrebbe dovuto offrire l'opportunità di forzare la situazione e uscire dalla neutralità. Il 10 ottobre, infatti, si presentò un corpo di spedizione alleato dinnanzi a Salonicco. V. protestò pro forma contro l'abuso degli Alleati; ma in un discorso alla Camera (4 ottobre 1915) affermava recisamente che non era ormai più possibile né utile rimanere estranei alla guerra mondiale. La Camera approvava le sue dichiarazioni; ma il re, fermo nel suo atteggiamento tedescofilo, il giorno dopo gl'impose le dimissioni e affidò il potere a Zaimis. V., per non inasprire il conflitto fra la corona e il parlamento, assunse sulle prime un atteggiamento di benevola attesa verso il nuovo ministro. Ma quando vide che Zaimis persisteva nella neutralità anche dopo l'entrata in guerra della Bulgaria (12 ottobre), passò all'opposizione e lo mise in minoranza (3 novembre). Zaimis si dimise; ma il re affidò il potere a Skuludis e sciolse nuovamente la Camera. La rottura fra Costantino e V. fu allora completa. V. dichiarò incostituzionale lo scioglimento della Camera e coi suoi si astenne dal partecipare alle elezioni. Quando vide che la situazione della Grecia, per la smobilitazione parziale dell'esercito, per l'avanzata dei Bulgaro-Tedeschi nella Macedonia e per l'entrata in guerra della Romania (27 agosto 1916), precipitava, abbandonò il terreno della legalità e si gettò nell'azione. Il 25 settembre, lasciata Atene, raggiunse Creta dove, unitosi con l'ammiraglio Conduriotis e col gen. Danklis, insorse contro il governo esortando la nazione a schierarsi a fianco dell'Intesa. Da Creta, toccando le principali isole dell'Egeo passò a Salonicco dove costituì un governo provvisorio in opposizione a quello di Atene, organizzò un "esercito nazionale di difesa", e, un mese dopo, dichiarò la guerra al gruppo delle Potenze Centrali. Il moto rivoluzionario ebbe scarso seguito nei confini della vecchia Grecia e re Costantino avrebbe potuto dominare la situazione interna e attuare in pieno la sua politica; ma la Francia e l'Inghilterra glielo impedirono. Esse da un lato riconobbero il governo rivoluzionario di V., dall'altro imposero al re Costantino di abdicare. Il 12 giugno 1917 Costantino abbandonava la Grecia e il 26 V., chiamato dal nuovo re, Alessandro, in Atene, assumeva il potere, riconvocava la Camera disciolta nel novembre 1915, ordinava la mobilitazione generale e dichiarava la guerra agl'Imperi Centrali. Alla conferenza della paese V. reclamò per la Grecia non solo un ampliamento di confini nella Macedonia, ma anche l'Epiro settentrionale, la Tracia con la penisola di Gallipoli, Smirne con una parte dell'Asia Minore e perfino il Dodecaneso. Nei trattati di Neuilly (27 novembre 1919) e di Sèvres (10 agosto 1920) V. ottenne l'accoglimento di quasi tutte le sue domande.

Ma quanto la sua fosse un'opera personale si vide immediatamente dopo. Il 12 agosto rientrando da Sèvres a Parigi, due ex-ufficiali greci attentarono alla sua vita. Tornato poi, sulla fine del mese, in Grecia, vi trovò una situazione inquietante. La sua lunga assenza, l'incapacità e le sopraffazioni dei suoi partigiani al governo, il mantenimento della legge marziale, il prolungarsi, con relativi sacrifizî di uomini e denaro, dell'impresa di Smirne da lui voluta avevano creato molti malcontenti, provocato vive reazioni e dato forza ai suoi avversarî politici. In questo clima a lui sfavorevole si riaprì la questione dinastica per l'improvvisa morte di Alessandro (25 ottobre). Le elezioni generali politiche segnarono una sconfitta per Venizelos il quale rassegnò immediatamente le dimissioni e si ritirò a Parigi mentre in Grecia, chiamato da un imponente plebiscito, rientrava il re Costantino (19 dicembre). La spedizione di Smirne che V., troppo leggermente, aveva intrapreso, sboccò in un disastro (9 settembre 1922); al disastro seguirono la rivolta militare promossa dal colonnello Plastiras a Chio (26 settembre), l'abdicazione di Costantino a favore del figlio Giorgio II e il suo ritiro a Palermo, la condanna a morte dei principali consiglieri di Costantino, pronunziata da una corte marziale (28 novembre), il forzato allontanamento di Giorgio II (18 dicembre 1923) affinché si potesse liberamente discutere della questione dinastica. Alla caduta di Costantino, apertisi a Losanna i negoziati di pace con la Turchia, V. aveva accettato di rappresentare la Grecia e ne aveva difeso con abilità e successo gl'interessi.

Cedendo poi alle insistenze dei suoi seguaci, che nelle elezioni del 16 dicembre 1923 avevano conquistato la maggioranza, dopo l'allontanamento del re Giorgio, egli tornò in Atene (4 gennaio 1924) e una settimana dopo assunse la presidenza del consiglio; ma venuto a contrasto con una frazione del suo partito, il 4 febbraio si dimise e un mese dopo lasciò Atene e rientrò a Parigi.

Con la proclamazione della repubblica, avvenuta quindici giorni dopo la partenza di V., la lotta civile in Grecia assunse forme di esasperata violenza. V. parve non interessarsi di questa lotta, ma in realtà aspettava il momento propizio. Tale momento giudicò giunto nel marzo 1928. Rientrato allora in Atene, egli accettò nel maggio la direzione del partito liberale, provocò la caduta del ministero Zaimis, assunse la presidenza del Consiglio e, sciolta la Camera e riformata per decreto ministeriale la legge elettorale, si assicurò nei comizî una forte maggioranza che gli permise di governare per oltre quattro anni il paese con poteri quasi dittatoriali. Furono anni di intensa attività e, per quanto si riferisce alla politica estera, di utili risultati.

V. cominciò col riavvicinarsi all'Italia verso la quale abbandonò la politica tendenzialmente ostile che aveva seguita nell'mmediato dopoguerra. Venuto a Roma all'inizio del suo primo viaggio diplomatico nell'autunno 1928, concluse col governo fascista un trattato di amicizia e di arbitraggio (23 settembre) che doveva aprire un periodo di utile collaborazione politica ed economica fra l'Italia e la Grecia. Al trattato con l'Italia seguirono: la convenzione diplomatica con l'Albania (16 novembre), che significava l'abbandono, da parte della Grecia, di ogni rivendicazione territoriale sull'Epiro settentrionale; gli accordi relativi alla zona franca di Salonicco con la Iugoslavia e i trattati di amicizia e conciliazione con la stessa Iugoslavia (27 marzo 1930), con l'Ungheria (5 maggio), con l'Austria (19 giugno), con la Turchia (30 ottobre).

Non così fortunata fu la sua politica interna. I tentativi che egli fece per indurre l'opposizione a collaborare con lui fallirono e fra i suoi stessi seguaci le gelosie e le ambizioni personali provocarono dissidî e defezioni. La lotta politica si fece più aspra, anche per la crisi economica particolarmente grave in Grecia. Essa si impostò principalmente sulla questione del regime. E qui l'opposizione ebbe buon giuoco, poiché, nonostante il plebiscito del 1924, la monarchia aveva per sé la maggioranza del popolo e dell'esercito. Fra il 1929 e il 1931 tre congiure furono ordite da militari per abbattere il governo di V.; esse furono represse sul nascere; ma nelle elezioni politiche del 25 settembre 1932 il partito popolare-monarchico conquistava 95 seggi mettendosi quasi alla pari col partito venizelista-repubblicano che ne aveva 100. La posizione di V. comincia a vacillare. Dopo le elezioni V. tenta di venire ad accordi col capo dell'opposizione, Tsaldaris. Fallito il tentativo, abbandona il potere (4 ottobre) lasciando il posto a Tsaldais, ma dopo due mesi ritorna sulla sua decisione, provoca una nuova crisi ministeriale, riassume la presidenza del Consiglio, scioglie la Camera e indice nuove elezioni. Ma nelle elezioni il suo partito fu posto in minoranza.

V. non seppe rassegnarsi. L'indomani delle elezioni il suo fido colonnello Plastiras con un colpo di mano tentò - invano - d'impadronirsi del potere. Dopo l'attentato di cui fu vittima il 6 giugno e dal quale, per miracolo, uscì illeso, V. si ritirò in Creta e venne preparando l'insurrezione armata d'accordo con alcuni capi dell'esercito e della marina a lui fedeli. Il moto, scoppiato il 10 marzo 1935 con l'ammutinamento di alcuni reggimenti in Atene e la defezione della flotta che da Salamina si diresse a Suda, si estese rapidamente in Tracia, in Macedonia e in Creta, dove il giorno dopo V. ne assunse la direzione. Ma la rapida e decisa azione del governo ebbe ben presto ragione degl'insorti principalmente per merito del gen. Condylis. V., visto fallire il colpo, si rifugiò sotto la protezione italiana nel Dodecaneso, donde poi per Brindisi andò a stabilirsi nuovamente a Parigi. Da qui egli assistette alla propria condanna a morte pronunziata in contumacia dalla corte marziale greca nel maggio, e alla restaurazione della monarchia, avvenuta nel novembre. Morì dopo essersi riconciliato con la monarchia.

Bibl.: C. Kérofilas, Un homme d'état: V., sa vie, son oeuvre, Parigi 1915; S. B. Charter, Life of V., Londra 1921; H. A. Gibbons, V., ivi 1921; E. Driault e M. Lhéritier, Histoire diplomatique de la Grèce de 1821 à nos jours (1923), Parigi 1925-26, voll. 5; J. Maurocordato, Modern Greece. A Chronicle and survey 1800-1931, Londra 1931; E. Venizelos, La politique de la Grèce (discorsi pronunziati al Parlamento greco in ottobre-novembre 1915), Parigi 1916; id., Cinq ans d'histoire grecque (1912-17). Discours prononcés à la Chambre des Députés en Août par E. V., N. Politis, E. Repoulis, G. Cafandaris (Traduzione di L. Maccas), Parigi-Nancy 1917; La Grecia nella guerra europea. Il libro bianco greco seguito dal discorso di E. V. pronunziato alla camera greca il 26 agosto 1917, a cura di G. Marulli e N. Rethymnis, Roma 1918.

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