Correspondances de femmes et diplomatie - La marchesa e il papa. Rapporti diplomatici tra Barbara di Hohenzollern, Pio II e la curia romana (1459-1461) - e-Spania Books

Correspondances de femmes et diplomatie

 | 
Isabella Lazzarini
, 
José Manuel Nieto Soria
, 
Patricia Rochwert-Zuili

La marchesa e il papa. Rapporti diplomatici tra Barbara di Hohenzollern, Pio II e la curia romana (1459-1461)

Isabella Lazzarini

Note de l’auteur

Le note bibliografiche saranno ridotte all’essenziale per permettere un uso il più ricco possibile delle fonti inedite.

Texte intégral

Foemina quae dominandi artem calleret: la marchesa di fronte al papa

  • 1 Enea Silvio PICCOLOMINI, I Commentarii, a cura di Luigi TOTARO, Milano: Adelphi, 1984, II.43, vol. (...)
  • 2 Ingeborg WALTER, «Barbara di Hohenzollern, marchesa di Mantova», in: Dizionario biografico degli it (...)

1Pio II, nei suoi Commentarii, non parla spesso di donne: a parte le regine e le principesse citate senza commento perché madri, sorelle o spose di re e di principi, il papa umanista si sofferma qualche volta a raccontare la storia delle amanti dei re come Lucrezia d’Alagno o la cristiana virtù delle sante come Caterina da Siena (canonizzata proprio da lui). In questa scarna raccolta di sobri ritratti, le parole dedicate a Barbara di Brandeburgo marchesa di Mantova, meritano attenzione: presentando il marito, il marchese Ludovico, come uomo onesto e sapiente tanto nell’arte militare quanto nelle lettere, il Piccolomini aggiunse infatti che il Gonzaga «uxorem duxit ex familia Brandeburgensi, Barbaram nomine, praestanti animo atque ingenio foeminam et quae dominandi artem calleret»1. Si tratta di un ritratto breve, ma unico: Barbara, nata il 30 settembre 1422 da Giovanni di Hohenzollern detto l’Alchimista e da Barbara di Sassonia (e quindi legata di parentela alla casa imperiale d’Asburgo), giunta a Mantova come sposa di Ludovico nel 1433 appena undicenne e allevata alla scuola di Vittorino da Feltre con i principi mantovani, era, agli occhi del papa senese donna di animo saldo e d’ingegno e ben conosceva l’arte di governare. Pio II, di tanto ingegno politico, aveva avuto prove di prima mano2.

  • 3 Sull’età di Ludovico, Isabella LAZZARINI, Fra un principe e altri stati. Relazioni di potere e form (...)

2La familiarità di Barbara con l’arte di governare si manifestò con continuità e in vari modi nel corso dei trentaquattro anni in cui la principessa tedesca condivise con il marito il governo del piccolo marchesato padano3. Le fonti conservate fra le serie dell’Archivio Gonzaga permettono di analizzare con attenzione questa compartecipazione al governo: in particolare, le fonti di carteggio sono –a ben guardare– estremamente eloquenti. In questa occasione sarà utile percorrerle alla ricerca in particolare delle lettere diplomatiche, vale a dire delle lettere dettate e dirette da Barbara a principi, principesse, prelati, officiali, gentiluomini non mantovani e agli ambasciatori e agenti mantovani e di contenuto latamente o scopertamente diplomatico. In particolare, l’indagine verterà sulle corrispondenze di Barbara legate direttamente e indirettamente ai rapporti che i Gonzaga tennero con la curia di Roma e con Pio II in occasione di due eventi cruciali per il marchesato e strettamente interconnessi fra loro, la dieta indetta a Mantova dal papa tra il giugno 1459 e il gennaio 1460 per organizzare la crociata volta alla liberazione di Bisanzio dai Turchi Ottomani di Maometto il Conquistatore e la nomina di Francesco, secondogenito dei marchesi, a cardinale nel dicembre 1461. In questi tre anni, le complesse fila degli eventi e i rapporti fra la corte mantovana e la curia romana vennero direttamente o indirettamente gestiti dalla marchesa Barbara grazie alla sua capacità di creare e gestire reti di socialità epistolare, di costruire e alimentare rapporti duraturi e in particolare di mobilitare il suo fitto network di relazioni dinastiche germaniche e imperiali. Per quanto circoscritto a un triennio, il contesto analizzato rivela l’attenta agency diplomatica della marchesa e l’intreccio funzionale dell’agire dei due coniugi.

Un governo condiviso

3Prima di entrare nel merito della corrispondenza di Barbara con la curia romana, è però necessario fare un paio di precisazioni concettuali e documentarie che servono come premesse per l’analisi del ruolo politico-diplomatico della marchesa attraverso le lettere.

  • 4 La bibliografia recente non è abbondante, né sistematica, anche se l’attenzione sta crescendo intor (...)
  • 5 Serena FERENTE, «Joanna II of Anjou-Durazzo, the Glorious Queen», in: Machtelt ISRAEL, Louis A. WAL (...)
  • 6 M. N. COVINI, op. cit. p. 24-33.
  • 7 Si veda in questo stesso volume l’intervento di Valentina PRISCO, «Isabella di Chiaromonte, regina (...)
  • 8 Basti pensare ai resoconti della dieta contenuti nei Commentariii di Pio II: Barbara –in tutti gli (...)
  • 9 Gli studi angloamericani per il principato rinascimentale hanno adottato per questo contesto il con (...)

4La questione della natura e delle forme del potere e del governo esercitato dalle signore, dalle principesse, dalle regine dell’Italia tre-quattrocentesca è complessa e si può abbordare da diverse prospettive4. Al potere detenuto come ereditario (è il caso delle regine di Napoli, Giovanna I e Giovanna II d’Angiò)5, in forma di reggenza (è il caso di tutte le situazioni in cui il principe è morto o impossibilitato e la principessa agisce a nome dell’erede ancora minore: per esempio, Bianca Maria Visconti negli anni tra la morte di Francesco Sforza e la sua stessa scomparsa, 1466-1468)6 o di luogotenenza (come nel caso delle regine aragonesi di Napoli, Isabella di Chiaromonte o Giovanna III, vivo ancora Ferrante)7, si affianca poi un potere quotidiano e condiviso che assume, informalmente, i caratteri del governo e che può riguardare la quotidiana gestione delle pratiche amministrative come la gestione specifica di determinate funzioni o di particolari questioni. Il potere politico del principe è infatti, nell’Italia signorile e principesca del Quattrocento, un potere al maschile: formalmente è il signore la fonte dell’autorità legittima e normativa, suoi i sigilli, a suo nome mandati, grazie e decreti; sua la scelta degli uomini che lo servono; in linea maschile la successione; gli uomini al centro della vita pubblica, su (quasi) ogni palcoscenico, reale o figurato8. Il quadro, il linguaggio e l’immaginario della presa di decisione politica sono formalmente e normativamente maschili. Detto ciò, il governo del dominio è di fatto, quotidianamente, un governo condiviso fra il principe e la principessa: uso consapevolmente il termine «governo» e non «potere» per sottolineare la quotidiana normalità amministrativa delle azioni delle principesse in determinate condizioni. Ci sono ovviamente questioni tendenzialmente maschili: la guerra per esempio (ma non necessariamente la difesa del dominio); questioni tendenzialmente femminili: l’architettura dinastica –l’educazione e i matrimoni degli eredi, il mantenimento della fitta rete di relazioni familiari attraverso lo scambio costante di piccoli doni ed espressioni d’affetto– ma dipende dalle situazioni. Siamo cioè in presenza di un governo al femminile in quotidiana continuità operativa con quello maschile e senza specificità: senza cioè essere diverso nella qualità di gestione delle pratiche, pur essendolo nelle modalità della formalizzazione9.

La corrispondenza dei principi

  • 10 In merito a queste fonti, mi permetto ora di rinviare a Isabella LAZZARINI, L’Ordine delle scrittur (...)
  • 11 I copialettere di cui si parlerà sono conservati in Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga (...)
  • 12 In questo caso, si tratta dei registri ASMn, AG, b. 2888, 44-47.

5Dal momento che di lettere diplomatiche questa comunicazione intende parlare, è opportuno soffermarsi un momento sulla natura, sulle forme e sui caratteri della rete epistolare di Barbara e Ludovico. Le corrispondenze dei marchesi di Mantova –le lettere inviate e ricevute da entrambi– sono conservate nelle serie di cancelleria fra la corrispondenza estera, la corrispondenza interna, le lettere originali dei Gonzaga, le minute di cancelleria e i copialettere. Mentre la distinzione fra registri di copialettere, in cui venivano copiate le lettere in partenza, e lettere ricevute è ovviamente originaria, la suddivisione fra lettere interne, lettere estere e lettere originali è frutto di un ordinamento storico iniziato un settantennio dopo i carteggi che interessano qui e conclusosi con il riordinamento tardo-settecentesco degli archivi di corte. La corrispondenza in entrata era dunque probabilmente costituita da un flusso ininterrotto e indifferenziato di missive –fatte salve ovviamente eventuali eccezioni. Tale flusso si rivela anche nei registri, per quanto questo renda la loro natura documentaria più problematica in merito alla nostra indagine10. I registri di copialettere dell’età di Ludovico e Barbara erano infatti tutti misti: contenevano cioè le copie delle lettere indirizzate dai marchesi a qualunque destinatario. Non esistevano divisioni fra lettere interne ed estere, fra lettere dettate da lui e lettere dettate da lei, fra registri di responsabilità di questo o di quel cancelliere, scritti materialmente da questo o da quello scriba; in molti casi, più di un registro veniva iniziato in contemporanea, per cui solo a volte è possibile ricostruire una sequenza perfetta di registri successivi: e anche quando la intravvediamo11, altri registri paralleli riportano –senza ordine o principio dichiarato– lettere dello stesso periodo coperto da quelli in sequenza12. Le logiche della registrazione delle lettere dettate dai marchesi sono perciò talora davvero oscure: l’unico modo per capire chi è il mittente fra Barbara e Ludovico è leggere le lettere a una a una, e se queste non sono esplicite è necessario sapere con esattezza gli spostamenti (frequenti) dell’uno e (meno frequenti) dell’altra, e controllare la data topica.

6La prima, più pesante conseguenza di questo dettaglio documentario è che in molti casi, partendo dal presupposto che i copialettere trascrivessero la volontà del marchese Ludovico, la quota delle lettere dettate da Barbara è stata sottostimata, quando non del tutto ignorata. Tale opacità ha giuocato a sfavore della valutazione del ruolo concreto della marchesa, in generale influenzando la comprensione delle modalità di esercizio del potere e della pratica di governo del marchesato.

Forme e strumenti dell’azione diplomatica di Barbara di Brandeburgo

7In questo contesto poco esplorato, una serie di dettagli tratti dalle corrispondenze aiuta a chiarire il raggio –e i limiti eventuali– dell’azione politico-diplomatica della marchesa. Si tratta di indizi materiali (connessi cioè alla materialità della produzione documentaria), di informazioni legate al rapporto fra la marchesa e la cancelleria gonzaghesca e di spie propriamente lessicali in merito al suo ruolo e alla percezione che di esso avevano lei e gli altri.

  • 13 ASMn, AG, b. 2886, reg. 35, c. 54v, Barbara a Vincenzo della Scalona, Mantova, 28 gennaio 1459 (il (...)
  • 14 ASMn, AG, b. 2096, l. 776, Barbara a Ludovico, Mantova, 26 ottobre 1461. Lo stesso faceva, d’altro (...)

8Partiamo dai primi, vale a dire da particolari incentrati sul rapporto quotidiano di Barbara con gli strumenti dell’autorità (come i sigilli) e con i professionisti della comunicazione scritta »e orale che tale autorità mettevano in esecuzione per conto dei loro signori (cancellieri, segretari, ambasciatori). La marchesa usava regolarmente i sigilli di Ludovico, scriveva mandati e lettere di credenza a nome del marito, si serviva in prima persona dei cancellieri e dei segretari gonzagheschi definendoli «propri». Qualche esempio basterà. Il 28 gennaio 1459 –Ludovico era a Milano– Barbara scrisse all’ambasciatore mantovano presso la corte sforzesca, Vincenzo della Scalona, che gli mandava «el mandato della procura» per rinnovare la condotta gonzaghesca e «el sigillo nostro grande per sigillare i capituli»13. A proposito di sigilli, Barbara aveva il proprio –il suo «sigilletto», come minimizzava lei stessa– che usava per richiudere le lettere una volta lette per evitare che arrivassero a Ludovico aperte: «qui alligate mando ala signoria vostra alcune littere che ho havute questa matina […] viste che le hebbe, subito le feci suzellare cum il mio suzelleto non lassandole veder a niun altro»14.

  • 15 ASMn, AG, b. 2886, reg. 37, cc. 39v-40r: la marchesa, si noti en passant, per lo più scriveva a tut (...)
  • 16 ASMn, AG, b. 2886, reg. 35, c. 58v, Barbara al Bessarione, Mantova, 1 febbraio 1459. Sulla spinosa (...)
  • 17 ASMn, AG, b. 2886, reg. 37, c. 5r, Barbara a Bianca Maria, Mantova, 18 novembre 1459.

9Nello scrivere il 13 febbraio 1460 in prima persona a Pio II e a una serie di cardinali, ormai partiti da Mantova alla fine della dieta, per presentare loro Bartolomeo Bonatti come ambasciatore mantovano dotato di lettere di credenza ufficiali (fatte fare da lei, visto che Ludovico era a Milano) la marchesa definiva il Bonatti (ben noto a tutti loro peraltro da almeno un anno) come il «mio dilecto secretario portador presente mandato lì da l’illustrissimo signor mio consorte»15. La questione dell’indifferenziata attribuzione dei segretari marchionali era regolare: sempre il Bonatti era definito dalla marchesa come secretarium meum in una lettera al cardinal Niceno che si era rivolto alla marchesa nella sua ricerca di una casa adeguata per il suo soggiorno a Mantova per la dieta16; a proposito di Vincenzo della Scalona, ambasciatore mantovano a Milano, Barbara allo stesso modo aveva scritto a Bianca Maria Visconti «havendo inteso per littere de Vincenzo della Scalona mio secretario»17.

  • 18 Sulla cancelleria di Bianca Maria Visconti si vedano Viola BASSINO, Giuliana FRATI, «La cancelleria (...)

10A questa data, la marchesa non aveva un proprio cancelliere come avrebbe avuto Isabella d’Este quarant’anni più tardi (o come in quegli anni aveva Bianca Maria, duchessa di ben altro stato)18. Barbara perciò con naturalezza parlava dei membri più qualificati ed esperti della cancelleria mantovana come dei suoi portavoce. In una parola, i segretari e gli ambasciatori mantovani non erano solo i segretari del marchese, ma anche, se del caso, della marchesa: o meglio, erano i segretari di chi, in quel momento, parlava d’autorità, esercitava facoltà di governo, era nelle condizioni di dare ordini e istruzioni, emettere lettere di credenza, scrivere lettere di presentazione, fosse l’uno o fosse l’altra.

  • 19 ASMn, AG, b. 2886, reg. 35, c. 50v, Barbara a Ludovico, Mantova, 7 gennaio 1459. La questione era s (...)
  • 20 ASMn, AG, b. 2886, reg. 37, c. 52v, Barbara a Bartolomeo Bonatti, Mantova, 4 marzo 1460.

11La diretta e deliberata agency politico-diplomatica di Barbara emerge poi da una serie di spie linguistico-discorsive contenute nelle lettere. La marchesa parlava sempre in prima persona, e con una naturalezza autorevole che rivela la normalità del ruolo, quando spiegava scelte e azioni diplomatiche. Un esempio: nel raccontare a Ludovico assente di avere scritto all’ambiguo e problematico Sigismondo Pandolfo Malatesta che poteva recarsi a Mantova, di fronte al papa, in assoluta sicurezza personale, Barbara scriveva il 7 gennaio 1459 che «e così sono contenta ch’el vegna»19. Barbara usava poi con regolarità, nello scrivere agli ambasciatori mantovani, toni e formule caratteristici delle lettere diplomatiche. Per fare solo un esempio, in una lettera del 4 marzo 1460 indirizzata a Bartolomeo Bonatti a Roma, troviamo frasi come: «per il corero recevessimo le littere tue», «visto quanto ne significhi […] te comendiamo assai», «voliamo ben che tu te trovi cum […]», «de quanto te accaderà intendere de là continuamente darcene adviso»20.

  • 21 ASMn, AG, b. 2886, reg. 37, c. 7r, Barbara a Francesco Sforza, Mantova, 23 novembre 1459.
  • 22 Si tratta di un piccolo dossier rivelatore : la lettera citata è in ASMn, AG, b. 2096, l. 32, Ludov (...)

12Detto ciò, la marchesa era consapevole di entrare talora, in tanta autonomia di toni e di strumenti, in terreno non del tutto solido, anche se –a ben guardare– non si giustificava per il fatto di agire e parlare in prima persona. Nell’indirizzare una lettera di contenuto scopertamente politico a Francesco Sforza il 23 novembre 1459 precisava alla fine «e non se maravigli quella se lo illustrissimo signor mio non gli scrive de ciò perché al presente se trova essere andato un poco di fora»: non si aspettava dunque che il duca si meravigliasse perché scriveva lei, ma giustificava piuttosto il marito, che non faceva quel che doveva, cioè scrivere21. Del resto, Barbara non era nuova a discutere –per lettera o di persona– con interlocutori politici maschili di primo piano, come il duca di Milano. Alla fine del 1460, un incidente creò una crisi di un certo peso con la Serenissima sui confini orientali del marchesato, intorno al sistema fortificato di Ostiglia, che copriva le spalle al mantovano rispetto a Verona. Il merito del problema interessa poco qui : quel che è significativo è che nel novembre 1460, allorché Ludovico era a Milano, la gestione della questione e le discussioni che il marchese ebbe a Milano con Francesco Sforza, senza il cui consenso e il cui appoggio il mantovano non osava alzare troppo la voce con i potenti vicini orientali, sono basate integralmente sulle lettere che Barbara mandava da Mantova, a loro volta risultato del carteggio che la marchesa intratteneva con i due ambasciatori mantovani inviati a Venezia, il giureconsulto Raimondo Lupi di Soragna e il segretario Carlo Brognoli. A un dato momento, Ludovico lesse a Francesco Sforza una lunga lettera di Barbara e «questo illustrissimo signor al qual subito lezessemo la littera vostra ha terminato de mandarla a Vinesia a mostrar a quella illustrissima signoria e così nui ge la daremo»: la lettera di lei venne trattata come la lettera di un ambasciatore o di un principe –vale a dire, con naturalezza, come la lettera di un professionista della politica22.

Un viluppo di questioni di respiro europeo

  • 23 In particolare su quest’ultimo punto, si richiama Barbara BALDI, Il ‘cardinale tedesco’: Enea Silvi (...)

13Ciò detto, per entrare nel cuore del tema di oggi è opportuno chiarire anche che i rapporti fra la marchesa, la curia di Roma e Pio II tra il 1459 e il 1461 si trovarono al centro di un viluppo complesso di questioni che intersecavano due piani politici principali ben noti tanto alla marchesa, quanto al papa: la situazione politica nelle terre imperiali e gli equilibri peninsulari. Barbara era legata di parentela con una rete di principi a loro volta imparentati fra loro sino al soglio imperiale; Enea Silvio, dal canto suo, era stato segretario di Federico III tra il 1443 e il 1447, e poi legato in Boemia nel 1451, e legato apostolico per l’Austria, la Boemia, la Moravia e la Slesia di nuovo nel 1452. Il papa conosceva dunque il commonwealth imperiale –e l’imperatore, del cui matrimonio con Eleonora di Portogallo era stato mediatore– meglio di chiunque altro in curia eccezion fatta per i prelati germanici23.

  • 24 E che ci volesse una tedesca per orientarsi nel mondo tedesco –o in generale quanto importante foss (...)
  • 25 Per brevità, in merito agli eventi si rimanda a Cristopher ALLMAND (dir.), The New Cambridge Mediev (...)

14Se la politica italiana era materia di Ludovico, che si barcamenava al seguito del duca di Milano nel sistema peninsulare scosso dalla guerra di successione napoletana, lo scacchiere germanico era di competenza di Barbara24. Si trattava di cosa non semplice. Il contesto imperiale era infatti, negli anni Cinquanta del Quattrocento, percorso da varie linee di frattura: fra i principi (fra il duca Ludovico di Baviera e Alberto di Brandeburgo, per esempio, o fra i fratelli dell’imperatore, Sigismondo e Alberto d’Asburgo); fra l’imperatore e i diversi sovrani dei regni dell’Europa orientale (Giorgio Podiebrady in Boemia e Giovanni Hunyadi e Mattia Corvino d’Ungheria). Le diete imperiali volte a sedare questi conflitti si susseguivano, con o senza l’appoggio dei papi che erano intenti a loro volta a una politica al tempo stesso anti hussita e anti ottomana25.

  • 26 Sulla dieta rimane imprescindibile Giovanni Battista PICOTTI, La dieta di Mantova e la politica de’ (...)
  • 27 Sull’azione diplomatica del Bonatti dopo la dieta, si veda Isabella LAZZARINI, «La nomination d’un (...)

15Le due questioni cardine della dieta a Mantova e del cardinalato di Francesco vennero dunque gestite nel duplice contesto dell’Italia della guerra di successione napoletana e delle discordie imperiali. La questione della crociata contro l’espansione ottomana, cruciale per Pio II, era stata anche l’asse della politica pontificia sin dal papato di Niccolò V. Pio II scelse Mantova come sede della dieta, preferendola a Udine, nell’ottobre del 1458. Arrivato in città il 27 maggio del 1459, il papa –pur avendo aperto la dieta il primo giugno– fu costretto ad attendere il 26 settembre per inaugurare ufficialmente il congresso, alla presenza non solo di Francesco Sforza e delle principali ambascerie dei potentati europei, ma anche degli ambasciatori veneziani finalmente giunti in città. La dieta venne formalmente chiusa il 14 gennaio 1460 e il papa lasciò la città virgiliana il 19 gennaio26. Fermatosi a Siena nel febbraio di quell’anno, Pio II sarebbe arrivato a Roma soltanto il 6 ottobre: Bartolomeo Bonatti, ambasciatore mantovano, seguì la curia papale durante l’anno e, dopo un breve soggiorno mantovano, tornò a Roma all’inizio del 1461, dove rimase sino al maggio 1462. La nomina a cardinale di Francesco Gonzaga venne resa pubblica il 18 dicembre 1461 anche se Bonatti la dava per certa già il 12 e Pio II ne scrisse a Francesco il 1427.

Diplomazia, politica e socialità: tutti gli uomini di Barbara

16I due eventi, dal punto di vista dei Gonzaga, furono strettamente correlati, per quanto intersecassero e fossero intersecati da innumerevoli altre questioni che riguardavano sia i marchesi di Mantova, sia i molteplici scenari politici di cui i Gonzaga erano al massimo comprimari.

  • 28 Per i dettagli, si veda I. LAZZARINI, art. cit.

17Per avere un’idea della centralità della marchesa in entrambi, basti un dato relativo alla «pratica del cardinalato»: di Bartolomeo Bonatti tra il 4 gennaio e il 29 dicembre 1461 rimangono negli archivi mantovani 254 lettere (cui vanno aggiunti 24 post scripta) scritte da Roma ai suoi signori. Di queste, 144 (e 13 post scripta) vennero indirizzate a Ludovico, 110 (con 11 post scripta) a Barbara. Se si considerano le lettere separate –vale a dire quelle che trattano della sola pratica di Francesco (e non, per esempio, della guerra nel Regno, che infuriava in quell’anno)– 25 sono indirizzate a Barbara, solo 16 a Ludovico, con tutto che –ovviamente– le lettere che venivano lette al papa dall’ambasciatore erano firmate da Ludovico. Dunque la marchesa rivestì un ruolo centrale nella questione, i cui diversi fili vanno districati con ordine28.

Il network germanico

  • 29 Gian Francesco scrisse alla madre il 31 ottobre, da Bolzano, annunciandole il suo arrivo con il pro (...)
  • 30 Per brevità sui profili dei giovani principi e delle giovani principesse si rimanda a M. FERRARI, I (...)
  • 31 La corrispondenza si ricostruisce dai copialettere citati alla n. 11; le corrispondenze imperiali s (...)

18La marchesa prese a scrivere già dal 1455, e poi con regolarità dal 1458, ai parenti germanici per motivi dinastici : stava combinando il matrimonio del primogenito Federico (nato nel 1441) con Margherita di Wittelsbach, iniziava a pensare al matrimonio della terzogenita Cecilia (che si sarebbe però monacata) e aveva mandato il terzogenito Gian Francesco (nato nel 1446) dai genitori per quasi quattro anni, tra il 1455 e la fine del 1459 (il giovane principe sarebbe tornato, con lo zio Alberto di Brandeburgo, nel dicembre 1459, alla fine della dieta)29. La marchesa continuò a farlo, per le ragioni più diverse, sino a tutto il 146130. Tutte le lettere dirette in Germania (anche quelle all’imperatrice e 8 lettere su 11 di quelle indirizzate dai Gonzaga all’imperatore) furono dettate dalla marchesa, che fece valere con forza il legame di sangue. L’imperatore, dal canto suo, inviò a entrambi nel 1459 e soprattutto nel 1460 lettere di contenuto politico relativo agli affari imperiali: in particolare nel febbraio 1460 invitò il marchese –o, in caso Ludovico fosse impossibilitato, gli ingiunse di mandare oratores et nuntios tuos– alla dieta di Norimberga (dove il Gonzaga mandò Anselmo Folenghi, giureconsulto di provata fedeltà ai Gonzaga)31.

  • 32 Per queste corrispondenze, si veda in particolare ASMn, AG, b. 2888, reg. 48 (11 febbraio-4 novembr (...)

19Insieme alle lettere dinastiche, Barbara mandava propri ambasciatori: tedeschi che facevano parte della corte gonzaghesca, come Conrad di Hertestein (Hertristano per gli italiani), o personaggi che ruotavano intorno alla dinastia degli Hohenzollern, come il medico Hertruds/Hertnid de Lapide o ser Rothringel e Lorenzo Vualenrod, familiari del padre Giovanni, e da essi riceveva missive. Sono lettere che parlano dei matrimoni gonzagheschi o della salute di familiari tedeschi, ma informano anche la marchesa degli eventi in Germania, degli scontri fra i principi tedeschi e del conflitto dell’imperatore con Mattia Corvino. Nel 1460-1461, la questione del negotium Francisci filii mei divenne un tema scopertamente frequente nelle lettere tanto all’imperatore e all’imperatrice, quanto ai Brandeburgo32.

  • 33 Che si trattasse di rapporti di natura prevalentemente politico-informativa è chiaro dal contenuto (...)
  • 34 Sembra chiaro che Barbara, giunta a Mantova giovanissima e cresciuta alla Ca’ Zoiosa di Vittorino d (...)

20A partire dal 1460, a questo flusso non consistente, ma relativamente continuo di lettere per e dalla Germania si aggiunsero le lettere –sempre per lo più di Barbara– a una serie di prelati germanici di medio profilo, fra cui si distinguono per continuità il chierico Johannes Lochner e il cavaliere gerosolimitano Johannes Ortal, familiares rispettivamente dei cardinal Coetivy (Avignone) e del cardinal zamorense, Juan de Mella. Le lettere aumentarono esponenzialmente dopo la partenza della curia da Mantova, nel 1460 e nel 146133: i due tedeschi erano con evidenza i personali informatori di Barbara sugli eventi romani e le raccontavano di tutto, per lo più in italiano, ma talora in tedesco; lei rispondeva sempre in italiano34.

Il network curiale

  • 35 Per esempio, allorché nel marzo 1461, Barbara scrisse al cardinale di Bologna (Calandrini) a propos (...)
  • 36 ASMn, AG, b. 2886, reg. 38, cc. 13r-13v (lettere di Barbara a una serie di prelati romani, Mantova, (...)
  • 37 Una serie di scambi scherzosi testimonia questa familiarità: la marchesa ‘motteggiava’ sulla rapidi (...)
  • 38 ASMn, AG, 2888, reg. 47, c. 30r, Barbara al marchese Alberto di Brandeburgo, 9 settembre 1460: la m (...)

21Barbara si occupò anche, e sempre di più, di mantenere aperto e vivo un altro, cruciale network epistolare, quello diretto con i cardinali di curia. Iniziato tra la fine del 1458 e la primavera del 1459 e motivato dalla volontà della marchesa di accontentare le innumerevoli e varie pretese dei cardinali che stavano per giungere a Mantova, questo flusso di lettere riprese lena e varietà a partire dal gennaio 1460, quando il papa e i cardinali, alla spicciolata, lasciarono la città padana, gli uni verso Roma, gli altri verso destinazioni diverse, e continuò con costanza per il biennio che avrebbe condotto alla nomina di Francesco. Barbara scriveva e i cardinali rispondevano, in quella che divenne una vera corrispondenza, anche se i temi trattati nelle lettere erano intenzionalmente lontani dalle questioni più scottanti. La marchesa mandava regali, chiedeva e dava notizie, raccomandava talora qualcuno (soprattutto tedeschi) per questioni in curia o di carattere religioso35, chiedeva aiuto per vicende locali (come un conflitto fra due conventi mantovani)36; scriveva a volte soltanto per mantenere aperto un canale di sociabilità potenzialmente utile. In particolare, Barbara scriveva con regolarità al Bessarione (che venne inviato in Germania da Pio II nei primi mesi del 1460)37, al Coetivy e all’Estouteville, al vicecancelliere, Rodrigo Borja, al cardinale di Zamora, Juan de Mella e al protonotario di Monferrato, con cui intrattenne una corrispondenza affettuosa. Quando nacque il piccolo Ludovico (destinato alla carriera ecclesiastica e poi vescovo di Mantova), il Coetivy e il de Mella, accettarono di esserne padrini, cosa che Barbara si affrettò a comunicare ai parenti tedeschi nello scrivere loro una delle sue regolari e formulari letterine di networking38.

Bartolomeo Bonatti

22Nel 1461 infine, Barbara mantenne, come abbiamo accennato, una corrispondenza continua e regolare con Bartolomeo Bonatti. Il dialogo diplomatico fitto e continuo fra i due emerge da tutte le lettere: un esempio dei toni e delle modalità di tale dialogo basterà. Nel febbraio 1461, la marchesa rispondeva all’ambascatore:

  • 39 ASMn, AG, b. 2888, reg. 48, c. 3v, Barbara a Bonatti, Mantova 14 febbraio 1461.

la pollice che ne hai mandata per la facenda de Francesco nostro figliolo l’havemo mandata a lui aciò ch’el intenda el facto suo et ne possi scrivere al illustrissimo signor suo patre e pigliar circa ciò quello partito glie parerà migliore. Ne piace il rasonamento che hai habuto cum il reverendissimo monsignor S. Petri ad Vincula e cossì da parte nostra debi ringratiar la reverendissima sua signoria del consiglio […] se poteria intendere altro, haveremo a caro ce ne dagi de continuo aviso39.

  • 40 Bonatti spiegava in una lettera (stavolta a Ludovico, quello in carica dei rapporti italiani) di av (...)
  • 41 ASMn, AG, b. 841, l. 257, Bonatti a Barbara, Roma, 17 novembre 1461.
  • 42 Ibidem, l. 85, Bonatti a Barbara, Roma, 25 maggio 1460. In queste settimane, vi fu un considerevole (...)

23La ragione della centralità di Barbara è che la marchesa si propose non solo come Gonzaga (e i Gonzaga potevano a loro volta giocare da «lombardi», visto che in quegli anni non c’erano figli Sforza in età per aspirare alla porpora: Ascanio Maria, fra i cadetti di casa Sforza quello destinato alla carriera ecclesiastica, aveva nel 1460 appena cinque anni)40, ma anche e soprattutto come Brandeburgo, vale a dire come terminale di una rete principesca germanica che era di grande importanza per il papa. Pio II aveva sempre contato su di una profonda familiarità con il mondo imperiale, ma a partire dalla dieta aveva dovuto constatare la crescente distanza presa da Federico III anche a causa del riconoscimento, da parte del Piccolomini, della sovranità di Mattia Corvino sull’Ungheria. Bonatti era dunque anche l’uomo dei marchesi di Brandeburgo e delle loro reti, che giungevano sino all’imperatore: un esempio sarà sufficiente. Il 17 novembre 1461 Bartolomeo scrisse a Barbara che aveva introdotto al papa Guglielmo, canonico di Onspach, inviato a Roma dal marchese Alberto per discutere del conflitto che opponeva il Brandeburgo al duca Ludovico di Baviera. Prima del colloquio che il canonico avrebbe avuto col papa, il Bonatti gli ricordò di sostenere con Pio II la candidatura del giovane Gonzaga alla porpora, suggerendogli di rammentare al papa che a Mantova il Piccolomini aveva assicurato Alberto che avrebbe avuto un procurator alla corte romana: quale migliore avvocato del giovane nipote?41 La duplice funzione del giovane Francesco come cardinale principe dei Gonzaga e dei Brandeburgo era emersa anche a maggio, allorché, al ritorno del Cusano a Roma, Bonatti aveva discusso col cardinale. Niccolò da Cusa gli aveva infatti detto che il papa «compiaceria alo imperatore de uno [cardinale]» ma che «in Alemagna non c’è prelato adesso idoneo» e quindi l’imperatore sarebbe stato «ben disposto verso el marchese [Ludovico] et che lo faria volentera per complacentia del marchese Alberto e dei fratelli»42.

Socialità e diplomazia

  • 43 Naoko SHIMAZU, «What is Sociability in Diplomacy?», Diplomatica. A Journal of Diplomacy and Society(...)
  • 44 Noto è il racconto di una serie di divertimenti (caccia, gite lacustri) che provocarono la collera (...)

24Due ultimi elementi completano il quadro. Il primo riguarda la socialità ‘diplomatica’: Naoko Shimazu, studiando la conferenza convocata a Bandung, a Java, nell’aprile del 1955 per riunire per la prima volta i governanti di 25 nuovi stati indipendenti in Africa e in Asia che rappresentavano 1.4 bilioni di persone, ha posto l’accento sulla utilità di analizzare una serie di pratiche sociali non direttamente legate alle discussioni diplomatiche ufficiali, ma intese a creare un senso di comunità –inclusiva ed esclusiva– fra i rappresentanti dei diversi, nuovi paesi di fronte a giornalisti e media da tutto il mondo. Shimazu nota anche che se la conferenza fu affare di uomini –l’unica donna presente ai colloqui diplomatici era Indira Gandhi– il programma di cene, spettacoli ed eventi sociali vide affiorare alla superficie sociale (e quindi nelle testimonianze, prime fra tutte le foto degli eventi, ma anche i fogli a stampa dei programmi e naturalmente gli articoli e i reportage dei media) decine di donne, le mogli, le figlie, le segretarie dei delegati43. Ebbene, la dieta di Mantova si presta, mutatis mutandis, a una analisi simile: la curia romana e le diverse ambascerie rimasero in città per sei mesi (secondo varie combinazioni di arrivi e partenze), e i marchesi dovettero occuparsi del loro intrattenimento. È qui che la marchesa Barbara consolidò la familiarità epistolare costruita con i cardinali e le loro familiae durante la preparazione della dieta con la familiarità personale dell’ospitalità condivisa: le gite in barca sui laghi, la caccia, gli scherzi, i pranzi nelle ville suburbane, le danze. E di questa socialità condivisa e cruciale noi abbiamo diretta notizia perché Barbara ne fece racconto dettagliato –una volta di più per via epistolare, una volta di più per consolidare un altro circuito dinastico, politico e personale– a Bianca Maria, la duchessa di Milano rientrata nella capitale lombarda subito dopo l’apertura della dieta44.

  • 45 Non paia superfluo elencare casi e formule. Ludovico scrive a Barbara e gli esempi sono presi dal s (...)

25Il secondo elemento, ne abbiamo già accennato, era la funzionalità complementare fra marchese e marchesa: nel caso di Ludovico e Barbara, la compartecipazione al governo si tradusse in una condivisione capillare dell’informazione politico-diplomatica e quindi nella discussione e nella presa di decisione comune. La corrispondenza fra Ludovico e Barbara è disseminata, nelle lettere di lui, da frasi che testimoniano una fitta e continua collaborazione a distanza: scambi di notizie, scambi di lettere, lettere aperte e richiuse, desiderio –cioè– che l’una sapesse tutto quel che era importante sapere di cui l’altro veniva a conoscenza45.

  • 46 Al punto che di fatto il marchese «sostituiva» a volte l’ambasciatore con la moglie: Vincenzo della (...)

26Questo dialogo continuo era noto agli ambasciatori46. Barbara scriveva a Bartolomeo Bonatti nei cruciali giorni di fine ottobre 1461 che

  • 47 ASMn, AG, b. 2186, l. 577, Barbara a Bonatti, Mantova, 28 ottobre 1461.

et perché in una tua tochi che non sai se tu faci male o bene a scrivere ad nui queste cose senza darne altro adviso alo illustrissimo signor nostro, di questo certo non ne faciamo caso né anche credemo il facia la sua signoria perché come tu sai nui apremo cusì le littere sue come le nostre, né gli habiamo alcun rispecto, ma s’el te accaderà più scrivere alo illustrissimo signor nostro tu porai far la excusa cum la sua signoria che tu ne scrivi queste cose perché nui stagiamo più ferme a Mantua che la non fa lei et per questo tu scrivi più tosto a nui et serai excusato47.

  • 48 Un esempio: «heri sera recevui la littera de la vostra illustrissima signoria per il franzoso caval (...)
  • 49 Nell’agosto 1461 Ludovico da Cavriana mandò a Barbara la minuta di una lettera in merito alla migli (...)

27Le lettere di Barbara si aprivano, a loro volta, sempre con l’elenco delle lettere ricevute che lei gli mandava e con i ringraziamenti per le informazioni che lui aveva condiviso con lei48. Lo scambio non era paritario nella forma: lui andava tenuto informato e la sua volontà andava tradotta in azione; ciononostante, il marchese con continuità ritenne opportuno mettere la moglie in condizione di sapere esattamente quanto sapeva lui e non prendeva decisioni –importanti o meno– senza essersi opportunamente «consultato» con lei sulla migliore strategia. Queste consultazioni erano reali: sovente Ludovico mandava a Barbara le minute delle lettere che avrebbe poi dettato e fatto spedire a suo nome, perché lei per esempio decidesse se andavano mandate o non fosse meglio mandare qualcuno a voce49, o –al contrario– Barbara mandava a Ludovico una lettera perché lui la «postillasse» e lui poi a lei la rispediva per farle verificare le sue modifiche. Questo laborioso procedere è testimoniato con chiarezza dalla composizione di una lettera importante per il cardinalato di Francesco che Bonatti, dietro consiglio del cardinale Cusano, chiese ai suoi marchesi di far scrivere dall’imperatore a fine ottobre 1461. La lettera doveva arrivare a Mantova e da Mantova venire istradata per Roma. Mette conto soffermarci su questo episodio per la ricchezza dei dettagli che rivela in merito tanto alla estrema attenzione formale richiesta da trattative così importanti, quanto al livello della collaborazione fra i due coniugi. I marchesi si consultarono infatti a lungo sulla minuta da mandare alla cancelleria imperiale perché sembrasse che l’imperatore si fosse mosso spontaneamente a scriverla. In una lettera del 28 ottobre da Goito, Ludovico si preoccupava con Barbara inizialmente del formulario. Mandando la minuta che la cancelleria imperiale avrebbe dovuto copiare, temeva che venisse preso male l’uso –da parte sua– dei termini che l’imperatore usava di solito, ma che in bocca del marchese, anche in una minuta, potevano sembrare fuori posto:

nui havemo postilata quella copia de littera da esser domandata alo Imperatore et prima habiamo lassato quel Nobilem perché lo imperatore ne scrive Illustre né altro ne nomina Nobile se non el papa, però non ne parendo adiectivo consueto a lo imperatore, ne ha parso più tosto lassarlo stare e non ne ha anchor parso metere Illustrem perché domandandola nui ne parse non convenirse a nui medesimi a dirlo perché se loro glie meterano mente, giel meterano. Pur s’el se glie metesse non seria absurdo, perché l’è secondo el stile che li Imperatori scriveno a nui. E questo dicemo perché molte volte in quelle cancellarie havendo tante altre facende e mandando nui la minuta per farla segonda la minuta non se glie meteria mente che per honestà l’havessimo lassato parendoglie averne satisfacto ala richiesta nostra. S’el vi pare se glie metta, fatillo metere, se no lassatilo stare.

28Ludovico continuava poi con una questione di sostanza, vale a dire il fatto che la lettera doveva sembrare spontaneamente scritta al papa dall’imperatore:

Non ne ha anchor parso che la maestà sua ne la littera monstri questa cosa venire da nui, perché magior honore ne resulta che motu proprio se mova che per nostra supplicatione et secondo ne pare Bartholomeo scrive ch’el cardinale de San Petro in Vincula dice che quando non venisse facto non ne seria vergogna perché nol domandassemo nui, ma lo domandaria lo imperatore; se sua Maestà scrivesse che lo domandassemo nui, la vergogna seria più nostra. Havemo anchor mosso quello affinium suorum perché, digando che ex latere matris el prothonotario dessende de li marchesi de Brandimborgo ben dice che sono nostri parenti, ma gli habiamo gionto che i sono coniuncti de affinità cum la maestà sua come è vero, che ala casa de Brandimborgo e ala nostra è più honorevole. Queste sono le casone che ne ha mosso: se forsi el ve paresse che ancho el fusse mancho che honesto, toletive consiglio da qualche persona che vi para intendersi de simel materia e conciatila secondo vi pare.

29Barbara rispose il giorno dopo su questo tenore:

  • 50 ASMn, AG, b. 2096, l. 526, Goito, 28 ottobre 1461, Ludovico a Barbara (il rapporto di parentela che (...)

heri sera ricevì la littera dela celsitudine vostra cum quella copia postillata per essa vostra signoria, la qual certo me pare si mova bene a non mostrare che a nostra istantia lo imperatore sia mosso a scrivere e piaceme quelle gionte che la ge ha facto e questa matina l’ho facta vedere al protonotario [Ludovico Agnelli] e a messer Jacomo [Palazzo] e messer Bartholomeo [Crema] inseme, i quali la comendano assai et hogli pur facto mettere quello Illustrem che così anchor consona a loro perché la signoria vostra non è quella che noti e scriva la littera, ma el cancelliero, e così non se debe tacere il titulo de quella, né gli può tornare a carico. Ho simelmente spazato Zorzo [Brognoli] cometendoli ch’el veda s’el potesse indure la maestà de la imperatrice a scriver duo parole de sua mano a nostro signore, che son certa zovarà assai e cum questo s’è partito50.

30Il 30 novembre infine, quando la famosa lettera giunse a Mantova e da Mantova partì per Roma, Ludovico scrisse al Bonatti che tutte le manovre così attentamente congegnate non sarebbero forse state nemmeno necessarie: l’imperatrice in realtà si era mossa spontaneamente a dire a Giorgio Brognoli che avrebbe raccomandato il giovane Gonzaga con il marito. L’idea della marchesa di mandare il Brognoli a parlare direttamente con l’imperatrice si era rivelata dunque vincente:

havendo mandato la illustrissima nostra consorte da la maestà de la imperatrice uno suo famiglio per far ricomandare ala maestà de lo imperatore li parenti suoi d’Alemagna […] no hebe tropa faticha perché secondo ch’el ne rescrisse, certo la maestà de la imperatrice prima ch’el se ne parlasse, essendo intrata in rasonamento de la familia e fioli nostri, essendoli dicto de Francesco, da sì istessa usò queste parole de volerlo ricomandare a nostro signore, et alhora il famiglio d’essa nostra consorte ge feci l’ambassata et exequì la commissione sua et così ge ha facte fare queste littere de bonissima voglia et disse tanto più che se queste non bastavano scriveria ancor de sua mano et haverialo facto adesso se non fosse che havea male a una mano. La maestà de l’imperatore g’è stato ancor benissimo disposto.

31Ludovico raccomandava poi a Bonatti di presentare le lettere al Cusano di modo che il cardinale le portasse al papa perché

  • 51 ASMn, AG, b. 2186, l. 589, Ludovico a Bonatti, Mantova, 30 novembre 1461.

el reverendissimo monsignor Sancti Petri ad Vincula monstra affectione assai alla illustrissima nostra consorte et a nui […] e poterai mostrarli l’alligata dela illustrissima nostra consorte che havemo facta fare a posta a ciò51.

  • 52 ASMn, AG, b. 2096, l. 138, 26 maggio 1460; ASMn, AG, b. 2186, l. 546, Barbara a Bonatti, Mantova 10 (...)

32Siamo entrati nel dettaglio di questo episodio –altri ce ne sarebbero– per dimostrare la cooperazione stretta e i giuochi di ruolo fra Ludovico e Barbara d’un lato, i loro interlocutori dall’altro, nel caso esemplare (e per questo non del tutto abituale) della nomina di Francesco Gonzaga a cardinale. D’altro canto però, una lettera di Ludovico a Barbara da Petriolo –una tra le tante: «el ne pare de aspectare che siamo a casa che possiamo essere insieme e consultare questa cosa»– e una minuta di Barbara a Bonatti –anche questa, una tra le tante: «in questo mezo ritornarà el prefato illustrissimo signor nostro [da Milano] col quale comunicaremo il tuto e poi serai avisato da nui de la intencione sua e nostra»52– chiariscono che quanto deduciamo dal carteggio non è che un minimo indizio di una continua pratica, che era appunto quella di un fitto, ininterrotto dialogo fra i due sui partiti da prendere. E questo qualora si trattasse della porpora per Francesco, del lutto per la morte di Lucia Terzani, madre di Francesco Sforza, o delle difese della rocca di Ostiglia e di Pontemolino contro Venezia.

Qualche considerazione conclusiva

  • 53 Bernardino ZAMBOTTI, Diario ferrarese dall’anno 1476 sino al 1504. Appendice al diario ferrarese di (...)
  • 54 Vincenzo della Scalona a Ludovico Gonzaga, Milano, 29 agosto 1461, in Carteggio, III, l. 247, p. 31 (...)

33L’azione diplomatica di Barbara si esercitò dunque in questi anni in vari modi e su vari piani. La diretta gestione di questioni di alta diplomazia, per quanto non frequente come la quotidiana azione di governo, era un aspetto di una pratica di governo condiviso che era tutt’altro che insolita: queste donne erano educate sin dalla più tenera età a governare e per la loro formazione venivano investite risorse e impegno considerevoli. È possibile che l’intesa fra Ludovico e Barbara fosse particolarmente salda –entrambi (soprattutto lei) scherzavano abitualmente su quanto l’uno e l’altra potessero considerarsi fortunati nella loro unione– ma la tendenza era chiara. Di Eleonora d’Aragona, duchessa di Ferrara tra il 1474 e il 1493, i cronisti ferraresi scrissero che «faceva tuto quello fa bexogno a ogni sapiente Segnore», «regeva et gubernava el tuto» o «dava audientia et spazava tute le facende come Segnore»53. Bianca Maria Visconti, la duchessa di Milano, era in grado di gestire e governare il ducato quando il marito Francesco non era in condizione di farlo. Nell’agosto 1461 lo Sforza inizò a soffrire sistematicamente dei malesseri, anche acuti, legati all’idropisia che lo avrebbe ucciso cinque anni più tardi. La duchessa dunque gli risparmiava la fatica quotidiana di governare: come scriveva Vincenzo della Scalona il 29 agosto «perché al signore non se lassa dire cosa alcuna gli potesse essere de affanno, doppo disenare questa illustrissima madona ha facto consiglio sopra quatro cose». Le cose in questione spaziavano da questioni annonarie a emergenze finanziarie e militari o diplomatiche: il prezzo e la disponibilità del grano sulle piazze milanesi, che fare con la delegazione dei Fregoso da Genova, il problema di pagare le gente d’armi al comando di Alessandro Sforza nel Regno e infine l’udienza all’ambasciatore bolognese giunto a Milano per una questione relativa a Cento54. Poco dopo l’arrivo a Mantova di una sedicenne Isabella d’Este come sposa del ventiquattrenne Francesco Gonzaga, il giovane marchese partì per un lungo viaggio nella penisola, affidando il governo della città alla giovane sposa. Scrisse, già da Ferrara, alla sorella Chiara infatti che

  • 55 ASMn, AG, b. 2094, l. 138, Francesco Gonzaga a Chiara Gonzaga Montpensier, Ferrara, 20 giugno 1491.

in questa nostra partita nui havemo lassato el peso et governo del stato et dominio nostro a la illustrissima consorte nostra, cognoscendo nui poterne molto bene ripossare sopra la prudentia et integrità sua, anchora che di età la sia tenera, e fin qui la sua Signoria ha grando principio e disponitissima a grande facendi importanti et honorevoli et in ogni sua actione dimostra singulare inzegno, siché liberamente et cum bona tranquillitate et quieto animo possimo andare dove a nui pare senza guardarne adrieto ogni fiata che se recordamo haver a casa la prefata illustrissima nostra consorte a la impresa del governo et cossa nostra55.

  • 56 Per qualche elemento in merito, mi permetto di rimandare a M. FERRARI, I. LAZZARINI, F. PISERI, op. (...)

34Mette conto notare, in chiusura, un’ultima questione importante: in questo gioco quotidiano di governo condiviso, la principessa non solo si poteva trovare, come giovane sposa, in possesso di capacità di iniziativa (agency) politica prima dei fratelli o dei mariti, che dovevano attendere una sia pure incerta maggiore età per governare (si badi alla differenza di età fra Isabella e Francesco)56, ma aveva anche a propria disposizione un ventaglio di risorse più ampio di quello del principe. Se infatti Barbara poteva, mutuandolo dal linguaggio di Ludovico, usare il registro del comando e del governo, per esempio con il «suo» ambasciatore, Bartolomeo Bonatti, poteva anche usare un linguaggio diverso, intessuto di familiarità e di sociabilità condivisa, costruito su di una serie di occasioni sociali comuni e poi mantenuto vivo e vitale grazie alla scrittura epistolare (e ne fece abbondante uso, in ogni occasione si rivelasse utile e necessario). Quest’ultimo linguaggio –un vero e proprio soft power diplomatico– non era nelle corde di Ludovico come marchese e signore, ma era «naturale» a Barbara, come ospite e come donna.

Notes

1 Enea Silvio PICCOLOMINI, I Commentarii, a cura di Luigi TOTARO, Milano: Adelphi, 1984, II.43, vol. I, p. 416.

2 Ingeborg WALTER, «Barbara di Hohenzollern, marchesa di Mantova», in: Dizionario biografico degli italiani, Roma : Istituto per l’Enciclopedia italiana, 6 (1964) (https://www.treccani.it/enciclopedia/barbara-di-hohenzollern-marchesa-di-mantova_%28Dizionario-Biografico%29/): si veda anche Ebba SEVERIDT, «Familie und Politik: Barbara von Brandeburg, Markgrafin von Mantua (30 September 1422-7 November 1481)» Innsbrucker Historische Studien, 16, 1997, p. 213-238.

3 Sull’età di Ludovico, Isabella LAZZARINI, Fra un principe e altri stati. Relazioni di potere e forme di servizio a Mantova nell’età di Ludovico Gonzaga, Roma: Istituto storico italiano per il Medio Evo, 1996; sui rapporti fra i diversi membri della dinastia gonzaghesca in questi anni, si vedano Monica FERRARI, Isabella LAZZARINI, Federico PISERI, Autografie dell’età minore. Lettere di tre dinastie italiane tra Quattrocento e Cinquecento, Roma: Viella, 2016 (e si rimanda alla bibliografia ivi citata).

4 La bibliografia recente non è abbondante, né sistematica, anche se l’attenzione sta crescendo intorno a questo tema: come riferimenti si considerino Letizia ARCANGELI, Susanna PEYRONEL (dirs.), Donne di potere nel Rinascimento, Roma: Viella, 2008, Serena FERENTE, «Le Donne e lo Stato», in: Andrea GAMBERINI, Isabella LAZZARINI (dirs.), Lo Stato del Rinascimento in Italia, Roma: Viella, 2014, p. 313-332 (ed. or. Cambridge 2012); su singoli contesti, Maria Nadia COVINI, Donne, emozioni e potere alla corte degli Sforza. Da Bianca Maria a Cecilia Gallerani, Milano: Unicopli, 2012; Patrizia MAINONI (dir.), Con animo virile. Donne e potere nel Mezzogiorno medievale, Roma: Viella, 2010; Élisabeth CROUZET PAVAN, Jean-Claude Maire VIGUEUR, Décapitées. Trois femmes dans l’Italie de la Renaissance, Paris: Puf, 2018; Chiara CONTINISIO, Raffaele TAMALIO (dirs.), Donne Gonzaga a corte: reti istituzionali, pratiche culturali e affari di governo, Roma: Bulzoni, 2018; Maria Serena MAZZI, Come rose d’inverno. Le signore della corte estense nel ‘400, Ferrara: Comunicarte, 2004; per la Toscana della prima età moderna, ma con importanti note metodologiche anche per l’età appena precedente, Giulia CALVI, Riccardo SPINELLI (dirs.), Le Donne Medici nel sistema europeo delle corti. XVI-XVIII secolo, Firenze: Polistampa, 2008.

5 Serena FERENTE, «Joanna II of Anjou-Durazzo, the Glorious Queen», in: Machtelt ISRAEL, Louis A. WALDMAN (dirs.), Renaissance Studies in Honour of Joseph Connors, Cambridge, Mass.: Harvard University Press, II, p. 24-30, 691-692.

6 M. N. COVINI, op. cit. p. 24-33.

7 Si veda in questo stesso volume l’intervento di Valentina PRISCO, «Isabella di Chiaromonte, regina di Napoli: esercizio del potere e diplomazia», 000-000.

8 Basti pensare ai resoconti della dieta contenuti nei Commentariii di Pio II: Barbara –in tutti gli otto mesi della permanenza a Mantova– compare, e sempre con la duchessa di Milano, Bianca Maria Visconti, soltanto nella descrizione dell’ingresso del papa in città «Blanca in suggesto apud ecclesiam maiorem apparato et Barbara simul Pontificis adventum axpectavere», E. S. PICCOLOMINI, op. cit., II. 44, p. 418 e quando, il giorno dopo, le due gli si presentarono per omaggiarlo e per chiedergli grazie ‘spirituali’ «Postridie, Blanca et Barbara Pontificem visitarunt exobsculatisque sacris pedibus spirituales quas optaverunt gratias impetravere», ibidem, II. 44, p. 420: lo stesso giorno, la terza principessa nominata durante la dieta, la giovanissima Ippolita Maria Sforza, si produsse di fronte al papa e ai cardinali nel recitare un’orazione con tale eleganza «ut omnes qui aderant in admirationem adduxerit», ibidem. Fa eccezione però il più spettacolare dei palcoscenici, la scena della corte negli affreschi della Camera picta di Andrea Mantegna, nel castello di San Giorgio, dove la marchesa è raffigurata in pendant con il marito, gli unici due personaggi seduti. Sul ciclo mantegnesco, si veda almeno Rodolfo SIGNORINI, Opus hoc tenue: la Camera dipinta di Andrea Mantegna. Lettura storica, iconografica, iconologica, Mantova: Banca Agricola Mantovana, 1985.

9 Gli studi angloamericani per il principato rinascimentale hanno adottato per questo contesto il concetto di power sharing: si veda come esempio Sarah COCRAM, Isabella d’Este and Francesco Gonzaga. Power Sharing at the Italian Renaissance Court, Farnham: Ashgate, 2013.

10 In merito a queste fonti, mi permetto ora di rinviare a Isabella LAZZARINI, L’Ordine delle scritture. Il linguaggio documentario del potere nell’Italia medievale, Roma: Viella, 2021, in particolare ai capitoli 4 e 10.

11 I copialettere di cui si parlerà sono conservati in Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga (d’ora in poi ASMn, AG), serie F.II.9: per gli anni che ci interessano, i sei registri 35-38 (b. 2886) e 48-49 (b. 2888) coprono in rigorosa sequenza il periodo dal 22 ottobre 1458 al 4 aprile 1462. In merito a queste fonti, un primo inquadramento archivistico –con l’inventario analitico– rimane Alessandro LUZIO, L’Archivio Gonzaga di Mantova. La corrispondenza familiare, amministrativa e diplomatica dei Gonzaga, Verona: Mondadori, 1922 (rist. Mantova 1993). Le altre serie che si sono setacciate sistematicamente sono quella delle Lettere originali dei Gonzaga, che per gli anni considerati annovera tre buste: ASMn, AG, 2095 (1451-1459), 2096 (1460-1461) e 2097 (1462-1463); e le Minute della cancelleria mantovana, ASMn, AG, b. 2186 (1449-1463).

12 In questo caso, si tratta dei registri ASMn, AG, b. 2888, 44-47.

13 ASMn, AG, b. 2886, reg. 35, c. 54v, Barbara a Vincenzo della Scalona, Mantova, 28 gennaio 1459 (il «sigillo grande» che si nomina qui è con ogni verosimiglianza quello di Ludovico, e viene definito «nostro» in senso lato).

14 ASMn, AG, b. 2096, l. 776, Barbara a Ludovico, Mantova, 26 ottobre 1461. Lo stesso faceva, d’altro canto, anche Ludovico, v. sotto alla n. 44.

15 ASMn, AG, b. 2886, reg. 37, cc. 39v-40r: la marchesa, si noti en passant, per lo più scriveva a tutti i prelati –compreso il papa– in volgare, e loro –tranne il papa– le rispondevano analogamente in volgare (cosa più rara se a scrivere era Ludovico Gonzaga). In quella occasione, Barbara scriveva al marito a Milano per informarlo della partenza di Bonatti: «el gionse heri Bartolomeo Bonatto dal quallo ho inteso quanto l’ha in comissione da la celsitudine vostra, gli ho facto fare letere et ogni altra cosa gli è bisognato e così adesso è andato a casa per aviarse», Barbara a Ludovico, Mantova, 14 febbraio 1460, ibidem, c. 42r. Si noti, di nuovo, che il Bonatti era arrivato da Milano con le istruzioni che il marchese gli aveva dato.

16 ASMn, AG, b. 2886, reg. 35, c. 58v, Barbara al Bessarione, Mantova, 1 febbraio 1459. Sulla spinosa questione delle abitazioni da riservarsi ai cardinali romani in occasione della dieta di Pio II in città, si veda ora Rodolfo SIGNORINI, «Alloggi di sedici cardinali presenti alla dieta» in: Arturo CALZONA, Francesco P. FIORE, Alberto TENENTI, Cesare VASOLI (dirs.), Il sogno di Pio II e il viaggio da Roma a Mantova, Firenze: Olschki, 2003, p. 315-389.

17 ASMn, AG, b. 2886, reg. 37, c. 5r, Barbara a Bianca Maria, Mantova, 18 novembre 1459.

18 Sulla cancelleria di Bianca Maria Visconti si vedano Viola BASSINO, Giuliana FRATI, «La cancelleria della duchessa Bianca Maria Visconti Sforza. Sua esistenza e composizione», Archivio storico lombardo, s. IX, 10, 1972, p. 247-253; Franca LEVEROTTI, «Diligentia, obedientia, fides, taciturnitas… cum modestia. La cancelleria segreta nel ducato sforzesco», Ricerche storiche, 2, 1994, p. 305-335 ; M. N. COVINI, op. cit.; a proposito di Isabella d’Este e del suo cancelliere, Benedetto Capilupi, si vedano i riferimenti in S. COCKRAM, op. cit. ad indicem e ora in Carolyn JAMES, A Renaissance Marriage. The Political and Personal Alliance of Isabella d’Este and Francesco Gonzaga, 1490-1519, Oxford: Oxford University Press, 2020, ad indicem.

19 ASMn, AG, b. 2886, reg. 35, c. 50v, Barbara a Ludovico, Mantova, 7 gennaio 1459. La questione era spinosa non solo per il papa, ma anche per il duca di Milano, come rivela una lettera di poco successiva scritta da Ludovico alla moglie. Il marchese scrisse a Barbara da Milano il 18 gennaio che voleva «che gli [al Malatesta] sia facto honore» (la madre di Ludovico, Paola, era una Malatesta, per quanto del ramo di Pesaro), ma aggiungendo « non voressemo ritrovarce qui [a Milano] quando el prefato signor messer Sigismondo glie fosse, perché secondo possiamo comprendere la venuta sua non è troppo grata a questo illustrissimo signore », ASMn, AG, b. 2186, l. 269, Ludovico a Barbara, Milano, 18 gennaio 1449.

20 ASMn, AG, b. 2886, reg. 37, c. 52v, Barbara a Bartolomeo Bonatti, Mantova, 4 marzo 1460.

21 ASMn, AG, b. 2886, reg. 37, c. 7r, Barbara a Francesco Sforza, Mantova, 23 novembre 1459.

22 Si tratta di un piccolo dossier rivelatore : la lettera citata è in ASMn, AG, b. 2096, l. 32, Ludovico a Barbara, Milano, 25 novembre 1460 ; tra le minute di cancelleria sono conservate una minuta e la sua copia di una lunga lettera di Barbara a questo proposito (ASMn, AG, b. 2186, 25 novembre, cc. 338 e 340), seguite da una minuta molto corretta di Ludovico a Barbara nello stesso giorno (ibidem, l. 341), e della minuta della risposta di lei il 30 novembre (ibidem, l. 342). Una copia di una breve lettera di Carlo Brognoli a Ludovico da Venezia, in data 3 dicembre (ibidem, l. 343), getta luce sul viavai delle lettere fra Mantova, Milano e Venezia e conferma la vicenda della lettera di Barbara: Antonio Guidoboni (ambasciatore milanese a Venezia) aveva ricevuto «altre littere da l’illustrissimo signor suo inseme cum una mia et una copia de littera de la prefata illustrissima mia madona mandata da Mantua a vostra excellentia, l’original de la quale Antonio Guidobone ha facto veder al duxe et questa matina ha parlato cum lui».

23 In particolare su quest’ultimo punto, si richiama Barbara BALDI, Il ‘cardinale tedesco’: Enea Silvio Piccolomini fra impero, papato, Europa (1442-1455), Milano: Unicopli, 2012.

24 E che ci volesse una tedesca per orientarsi nel mondo tedesco –o in generale quanto importante fosse, politicamente, una reale familiarità con i diversi contesti– si capisce da una lettera di Barbara a Bianca Maria Visconti del primo gennaio 1460. La marchesa (evidentemente sollecitata dalla duchessa), diede notizia a Bianca Maria dell’arrivo a Mantova del marchese Alberto di Brandeburgo, ma spiegò: «al presente respondo che questo che debe venire al presente non è il duca Alberto [d’Austria], anci è il marchese Alberto mio barba, né questo è lo elettore de lo Imperio, anci è il marchese Federico suo fratello magiore». Dopo questo chiarimento, ribadì però l’importanza del marchese a portata di mano (e di riflesso la sua propria e quella dei Gonzaga, che lo avevano fatto arrivare): «nondimancho esso marchese Alberto è amicissimo de lo imperatore et altra volta fu suo capitaneo generale et ha una gran familiaritade ne la corte de la maestà sua»; vale quindi la pena, diceva Barbara, che lei spenda la sua influenza a favore degli Sforza con lui «e così gionto ch’el sia qui, de la bona voglia ge parlarò de quella facenda del ducato e farogene tuta quella instantia mi sarà possibile». Spendersi a favore della dolente questione dell’investitura imperiale a Francesco Sforza, precisava la marchesa, era da farsi e sarebbe stato fatto non solo per il bene e il futuro statuto della figlia Dorotea –futura duchessa di Milano– ma per l’obbedienza e la fede che Barbara riteneva di dovere a Bianca Maria. La lettera si chiude con il formulare ricordo di un dono ricevuto e della gratitudine consueta: «ho ricevuto el presente suo di capponi grassi che la me feci mandare i quali me sono stati gratissimi et de ciò la ringratio grandemente de continuo ricomandandome», ASMn, AG, b. 2886, reg. 37, c. 22r, Barbara a Bianca Maria Visconti, Mantova, 1 gennaio 1460. Le corrispondenze dall’area imperiale che si sono compulsate per questi anni sono in ASMn, AG, bb. 428, 439 (Corte cesarea, lettere imperiali, lettere degli inviati), 510, 514, 522 (corti elettorali, istruzioni, elettori, inviati), 536 (Innsbruck).

25 Per brevità, in merito agli eventi si rimanda a Cristopher ALLMAND (dir.), The New Cambridge Medieval History, vol. VII, c. 1415-c.1500, Cambridge: Cambridge University Press, 1998, in particolare ai capitoli di Tom SCOTT («Germany and the Empire», p. 337-366), John KLASSEN («Hus, the Hussites and Bohemia», p. 367-391) János BAK («Hungary: crown and estates», p. 707-726) e Aleksander GIESZTOR («The kingdom of Poland and the grand duchy of Lithuania, 1370-1506», p. 727-747).

26 Sulla dieta rimane imprescindibile Giovanni Battista PICOTTI, La dieta di Mantova e la politica de’ veneziani, ora disponibile nella riedizione a cura di Gian Maria VARANINI, Trento: Editrice dell’Università degli studi di Trento, 1996 (ed. or. 1912).

27 Sull’azione diplomatica del Bonatti dopo la dieta, si veda Isabella LAZZARINI, «La nomination d’un cardinal de famille entre l’Empire et la Papauté. Les pratiques de négotiation de Bartolomeo Bonatti, orateur de Ludovico Gonzaga (Rome, 1460-1461)», in: Stefano ANDRETTA, Stéphane PÉQUIGNOT, Marie-Karine SCHAUB, Jean-Claude WAQUET, Christian WINDLER (dirs.), Paroles de négociateurs : l’entretien dans la pratique diplomatique de la fin du Moyen Âge à la fin du XIXe siècle, Roma: École Française de Rome, 2009, p. 51-69.

28 Per i dettagli, si veda I. LAZZARINI, art. cit.

29 Gian Francesco scrisse alla madre il 31 ottobre, da Bolzano, annunciandole il suo arrivo con il prozio : ASMn, AG, b. 2096, l. 266. Sul soggiorno tedesco del giovane Gonzaga (dal 1455 al 1459), si veda Johann HEROLD, «Der Aufenthal des Markgrafen Gianfrancesco Gonzaga zur Erziehung an den Höfen der fränkischen Markgrafen von Brandenburg 1455-1459. Zur Funktionsweise und zu den Medien der Kommunikation zwischen Mantua und Franken im Spätmittelalter», in: Cordula NOLTE, Karl-Heinz SPIES, Ralf-Gunnar WERLICH (dir.), Principes. Dynastien und Höfe im späten Mittelalter, Stuttgart: J. Thorbeke Verlag, 2002, p. 199-234.s

30 Per brevità sui profili dei giovani principi e delle giovani principesse si rimanda a M. FERRARI, I. LAZZARINI, F. PISERI, op.cit., in particolare alle p. 39-78.

31 La corrispondenza si ricostruisce dai copialettere citati alla n. 11; le corrispondenze imperiali sono prevalentemente conservate in ASMn, AG, b. 428, ma in generale è bene controllare tutte le buste con lettere di principi dall’area imperiale, perché le suddivisioni (Corte cesarea, corti elettorali) irrigidiscono in un quadro più tardo una realtà ancora molto mobile. ASMn, AG, b. 428, l. 136, Federico III a Ludovico Gonzaga, Neustadt, 1 gennaio 1460; il Folenghi arrivò in corte imperiale ai primi di giugno (l’imperatore ne confermò l’arrivo al marchese con lettera dell’8 giugno, ibidem, l. 137), ma tornò a Mantova a fine giugno, per ripartire poco dopo. Delle missioni del mantovano all’imperatore si trovano tracce tra Copialettere, minute, lettere originali e carteggi dalle terre imperiali (in particolare, del Folenghi sono rimaste lettere da Vienna e da Neustadt, ASMn, AG, b. 439, ll. 79-82 e b. 522, l.4). I Folenghi erano una famiglia di tradizione pubblica duecentesca e di costante presenza ai vertici della società politica mantovana (lo stesso Anselmo, che studiò diritto a Ferrara, venne creato comes sacri palatii dall’imperatore Federico III nel 1467). Il rapporto con l’impero è di lunga durata, visto che già Francesco, zio di Anselmo, nel 1431, era stato ambasciatore all’imperatore Sigismondo: si rimanda per i dettagli a I. LAZZARINI, Fra un principe e altri stati, p. 265-270.

32 Per queste corrispondenze, si veda in particolare ASMn, AG, b. 2888, reg. 48 (11 febbraio-4 novembre 1461), pressoché interamente di Barbara.

33 Che si trattasse di rapporti di natura prevalentemente politico-informativa è chiaro dal contenuto di queste lettere : un solo esempio fra i molti possibili. Il 28 ottobre 1461, Barbara scriveva a Johannes Lochner «essendo novamente venuto qui messer Hertvit (?) ambassatore de l’illustrissimo marchese Albert, el me ha dicto esser stato cum vui et che lo pregasti ne ricomandasse a nui, la qual cosa ha exequita. Ma se maravigliamo bene che per esso non ce habiati scripto cossa alcuna»: la marchesa si aspettava dal prelato di essere informata dei movimenti di un ambasciatore tedesco dello zio, ASMn, AG, b. 2888, reg. 48, c. 89r, Barbara a Lochner, Mantova, 28 ottobre 1461.

34 Sembra chiaro che Barbara, giunta a Mantova giovanissima e cresciuta alla Ca’ Zoiosa di Vittorino da Feltre, se ancora capiva e probabilmente parlava il tedesco, non lo scriveva più (se mai lo aveva fatto). Dalle sue lettere si coglie qualche tratto interessante del bilinguismo della marchesa e quindi delle modalità della comunicazione interlinguistica in volgare nelle cancellerie tardomedievali: talora Barbara si giustificava con i suoi interlocutori tedeschi per rispondere loro in italiano col dire che non aveva sottomano un cancelliere che scrivesse in tedesco (sembra di capire che Hertristano lo facesse, quando era a Mantova) o che non aveva avuto voglia di tradurre ad alta voce le lettere tedesche ai suoi cancellieri mantovani per dare loro modo di preparare una risposta. Proprio a Lochner, il 18 dicembre, scriveva infatti che rispondeva in parte e in italiano alle sue lettere «per esser quelle in lingua tedescha se a parte a parte noi le lezessimo al canzellero che ne seria fatica gravissima, non se poria far risposta», ASMn, AG, b. 2888, reg. 49, c. 4v, Barbara a Johannes Lochner, Mantova, 18 dicembre 1461.

35 Per esempio, allorché nel marzo 1461, Barbara scrisse al cardinale di Bologna (Calandrini) a proposito del gentiluomo Lorenzo Walard che si era rivolto a lei per essere facilitato nel suo desiderio di andare al Santo Sepolcro, ASMn, AG, b. 2888, reg. 46, c. 6r, Barbara al cardinale, Mantova, 4 marzo 1461.

36 ASMn, AG, b. 2886, reg. 38, cc. 13r-13v (lettere di Barbara a una serie di prelati romani, Mantova, 4 giugno 1460).

37 Una serie di scambi scherzosi testimonia questa familiarità: la marchesa ‘motteggiava’ sulla rapidità con cui il cardinale aveva imparato il tedesco (Barbara a Bessarione, Mantova, 15 agosto 1460, ASMn, AG, b. 2888, reg. 47, c. 23r: ma già nel giugno la marchesa scriveva a Lochner che Folenghi, inviato all’imperatore, aveva scritto a Mantova dei progressi del Niceno in tedesco, ibidem, cc. 7v-8r) e lui a sua volta le rispondeva includendo nelle lettere in volgare due o tre righe in tedesco di mano propria (ASMn, AG, b. 439, l. 85, Bessarione a Barbara, Neustadt, 11 giugno 1460: le tre righe in tedesco, di mano del Bessarione e d’altro inchiostro rispetto alla lettera di cancelliere, si concludono con una frase inequivocabile «die kleinem wert ich mit meiner hand geschriffe. Ich kan nit mer»).

38 ASMn, AG, 2888, reg. 47, c. 30r, Barbara al marchese Alberto di Brandeburgo, 9 settembre 1460: la marchesa, tra le altre cose, annunciava la nascita del figlio (e il fatto che i cardinali d’Avignone e di Zamora ne sarebbero stati padrini. Alla fine della lettera, la nota «in simili forma mutatis mutandis» per il marchese Giovanni, Barbara e Margherita di Brandeburgo.

39 ASMn, AG, b. 2888, reg. 48, c. 3v, Barbara a Bonatti, Mantova 14 febbraio 1461.

40 Bonatti spiegava in una lettera (stavolta a Ludovico, quello in carica dei rapporti italiani) di avere detto il 7 novembre 1461 al papa (« per vedere se lo si potea tirare fora ») «“Patre Sancto, Lombardia sole sempre avere uno cardinale, adesso non ha alcuno, chi ge porialo haver che sia più degno de questo, el quale me pare seria ad grande utile ad questa sedia perché sempre seria suficiente a tenerge disposto il duca de Milano et el marchese de Mantua, che sono pur una gran parte in Italia”», ASMn, AG, b. 841, l. 249, Bonatti a Ludovico Gonzaga, Roma, 7 novembre 1461. Sulla questione del «cardinale lombardo» (e sul ruolo sempre più cruciale, ma ambiguo, dei cardinali nel giuoco dei benefici) e della difficile dialettica fra i due cardinali che negli anni successivi sarebbero venuti da Milano, Giovanni Arcimboldi e Ascanio Maria Sforza, si vedano Marco PELLEGRINI, Ascanio Maria Sforza. La parabola politica di un cardinale-principe del Rinascimento, Roma: Istituto storico italiano per il Medioevo, 2002 e Francesco SOMAINI, Un prelato lombardo del XV secolo: il card. Giovanni Arcimboldi, vescovo di Novara, arcivescovo di Milano, Roma: Herder, 2003.

41 ASMn, AG, b. 841, l. 257, Bonatti a Barbara, Roma, 17 novembre 1461.

42 Ibidem, l. 85, Bonatti a Barbara, Roma, 25 maggio 1460. In queste settimane, vi fu un considerevole viavai di prelati tedeschi che dal Brandeburgo andavano e tornavano da Roma: per esempio, il 26 ottobre Barbara scriveva da Mantova a Ludovico che «questa sera è gionto qui el dechano de l’illustrissimo marchese Alberto che era a Roma, qual ha portato due littere de Bartholomeo Bonatto directive ala signoria vostra, una di XV de septembre, l’altra di 14 de octobre, la qual come l’hebbe lecta la feci suzellare cum il mio suzelleto aciò che per altri non fosse vista et cussì qui alligata ge la mando […] io non ho anchor parlato cum questo dechano per esser tardo quando l’arivoe, siché non so quello ch’el riporta» (ASMn, AG, b. 2096, l. 777).

43 Naoko SHIMAZU, «What is Sociability in Diplomacy?», Diplomatica. A Journal of Diplomacy and Society, 1, 2019, p. 56-72.

44 Noto è il racconto di una serie di divertimenti (caccia, gite lacustri) che provocarono la collera del papa (che rimproverò i cardinali andati con la marchesa e le sue dame a «veder correre la parda» al parco del Te dicendo loro che avrebbero dovuto trascorrere le giornate in preghiera e non «a solazo cum done») e, in occasione di una gita serale in barca per trovare sollievo dal caldo, l’imbarazzo della marchesa (che credendo di andare incontro a un naviglio con il marchese Ludovico e il cardinale vicecancelliere, che aveva portato i suoi musici, si mise a fare cenni alla barca, ben più seria, del Bessarione e del cardinale dei Santi Quattro Coronati, l’anziano Giovanni Mila: «quando vidi monsignor Niceno con quella barba farsemi incontra non rimasi né morta né viva né sepi che dirme»): ASMn, AG, b. 2886, reg. 36, c. 44r, Barbara a Bianca Maria, Mantova, 10 luglio 1459.

45 Non paia superfluo elencare casi e formule. Ludovico scrive a Barbara e gli esempi sono presi dal solo 1460: «e piacene che non habiati lassato far quella ambassata a messer Andrea da Gatto, tenetela cussì suspesa fin che vi mandaremo a dire altro quando spazaremo Bartolomeo Bonatto che crediamo serà domane; per lui vi mandaremo a dire quanto circa ciò fora il parere nostro» (ASMn, AG, b. 2096, l. 2, Milano, 10 febbraio 1460 –di mano di Bonatti); «qui inclusa ve mandiamo la copia de una littera che scrive el Re de Sicilia a questo illustrissimo signore che hozi ha recevuta aciò vediati le novelle che vengono de là» (ibidem, l. 5, Milano, 15 febbraio 1460: queste due righe sono tutta la lettera); «demum, havendo novamente recevuto un altro breve dalla sanctità de nostro signore ve ne mandamo la copia et cussì della risposta gli havemo facta, aziò sapiati il tuto» (ibidem, l. 10, Milano, 24 febbraio 1460); «e aciò che sapiati la risposta ha facto la signoria a questi ambassatori, qui inclusa ve mandiamo la copia de una lettera che s’è havuta da messer Alberico Maleta et del Marchese da Varese» (ibidem, l. 26, Milano, 12 aprile 1460); «ve mandiamo qui alligate due littere de Vincenzo, una directiva a vui qual havemo aperta e doppo resezelata del nostro suzelleto senza che alcun altro l’habia vista et l’altra ch’el scrive a noi aciò vediate quanto in quelle si contene» (ASMn, AG, b. 2096 bis, l. 466, Dosolo, 15 novembre 1460: si noti che anche Ludovico aveva un «sigilletto» personale, altro dal grande sigillo dinastico); «nui havemo retenuto la littera ve scrive esso Vincenzo che poi quando ne ritrovaremo cum vui ve la restituiremo» (ibidem, l. 467, Dosolo, 15 novembre 1460).

46 Al punto che di fatto il marchese «sostituiva» a volte l’ambasciatore con la moglie: Vincenzo della Scalona, a Milano con Ludovico, scrisse nel giugno 1460 a Barbara «scrivendo el mio illustre signore a vostra excellentia la ambassiata porta per lo ambassiatore franzese a questo illustrissimo signore et la risposta che prima fatie gli è facta, non occorre che io dica altro» (Vincenzo della Scalona a Barbara, Milano, 30 maggio 1461, in: Isabella LAZZARINI (cur.) Carteggio degli oratori mantovani alla corte sforzesca, III 1461, Roma: Pubblicazioni degli Archivi di Stato, 2000, l. 147, p. 224).

47 ASMn, AG, b. 2186, l. 577, Barbara a Bonatti, Mantova, 28 ottobre 1461.

48 Un esempio: «heri sera recevui la littera de la vostra illustrissima signoria per il franzoso cavallaro per la quale me scrive l’ambassata facta per quello ambassatore de la maestà del re de Franza alo illustrissimo messer lo duca, dil che grandemente la ringratio de la partecipatione ha usata cum mi», ASMn, AG, b. 2096, l. 679, Barbara a Ludovico, Mantova, 1 giugno 1461.

49 Nell’agosto 1461 Ludovico da Cavriana mandò a Barbara la minuta di una lettera in merito alla migliore strategia da adottare per fare sapere qualcosa (non è chiaro di che si tratti) a Francesco Sforza: «et havendo visto el scriver che fa Vincenzo del stare de quello Illustrissimo signor, ne vene un pensiero de scriverge la inclusa, la qual porite vedere; poi, scripta che la fue, ne parsi seria meglio mandare Guido de Nerlo che monstrasse de andare per qualche altra facenda da [parte] vostra e a bocha da parte nostra dicesse el tenore de questa littera. Non habiamo però vogliuto desistere de mandarla aciò che s’el vi parerà, de mandarla col nome de Dio, se anche più tosto vi paresse de mandar Guido de Nerlo, che ancor a nui pareva molto meglio, el faciati et ge porite lassar questa littera per instructione, commettendoli per Dio el vada e ritorni presto», ASMn, AG, b. 2096 bis, 499, Ludovico a Barbara, Cavriana, 28 agosto 1461 (il Nerli venne effettivamente mandato a Milano, come attesta una lettera dello Scalona in data 31 agosto, Carteggio, III, l.525, p. 316).

50 ASMn, AG, b. 2096, l. 526, Goito, 28 ottobre 1461, Ludovico a Barbara (il rapporto di parentela che legava i Brandeburgo all’imperatore era effettivamente piuttosto stretto: la sorella di Federico III, Margherita, era la madre di Anna, moglie di Alberto III di Brandeburgo, zio di Barbara); ibidem, l. 780: risposta di Barbara, in data 29 ottobre, da Mantova. Della risposta di Barbara abbiamo la copia in registro (ASMn, AG, b. 2888, reg. 48, c. 89v). Tra le minute, in data 11 novembre, c’è la versione finale delle lettere dell’imperatore al papa, ai cardinali e al cardinal Cusano: ASMn, AG, b. 2186, l. 583.

51 ASMn, AG, b. 2186, l. 589, Ludovico a Bonatti, Mantova, 30 novembre 1461.

52 ASMn, AG, b. 2096, l. 138, 26 maggio 1460; ASMn, AG, b. 2186, l. 546, Barbara a Bonatti, Mantova 10 giugno 1461.

53 Bernardino ZAMBOTTI, Diario ferrarese dall’anno 1476 sino al 1504. Appendice al diario ferrarese di autori incerti, a cura di Giuseppe PARDI, in: Rerum Italicarum Scriptores (RIS2), XXIV/7, 3, Bologna: Zanichelli, 1934, p. 57; Ugo CALEFFINI, Diario, 1471-1494, a cura di Giuseppe PARDI, Ferrara: Premiata tipografia sociale, 1938, vol. II, p. 183.

54 Vincenzo della Scalona a Ludovico Gonzaga, Milano, 29 agosto 1461, in Carteggio, III, l. 247, p. 312.

55 ASMn, AG, b. 2094, l. 138, Francesco Gonzaga a Chiara Gonzaga Montpensier, Ferrara, 20 giugno 1491.

56 Per qualche elemento in merito, mi permetto di rimandare a M. FERRARI, I. LAZZARINI, F. PISERI, op. cit. p. 39-67 e Isabella LAZZARINI. «Epistolarità dinastica e autografia femminile : la corrispondenza delle principesse di casa Gonzaga (fine XIV-primo XVI secolo)», in: Chiara CONTINISIO, Raffaele TAMALIO (dir.), Donne Gonzaga a corte. Reti istituzionali, pratiche culturali e affari di governo, Roma: Bulzoni 2018, p. 49-62.

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