Federico il Grande, il re che sbalordì l’Europa

Federico il Grande, il re che sbalordì l’Europa

Nel XVIII secolo Federico II di Prussia suscitò sgomento per il suo talento di generale, ammirato dallo stesso Napoleone, e per l’adozione entusiastica delle idee più avanzate dell’Illuminismo

Federico II di Prussia rappresenta, forse meglio di qualsiasi altro monarca, il modello del re illuminato. Grande suonatore di flauto traverso, notevole poeta, filosofo attento, erudito e amante delle lettere, nel XVIII secolo incarnò il tipo di monarchia e di governo auspicato dei filosofi del secolo dei Lumi. Voltaire lo chiamo “il Salomone del nord” e gli dedicò versi entusiastici, contrapponendolo al monarca francese, il frivolo Luigi XV.

Johann Georg Ziesenis, 'Ritratto di Federico II', 1763, Potsdam, palazzo di Sanssouci

Johann Georg Ziesenis, 'Ritratto di Federico II', 1763, Potsdam, palazzo di Sanssouci

Foto: Pubblico dominio

Federico II era tutto il contrario del suo progenitore, Federico Guglielmo I, soprannominato il re soldato per la sua severità marziale. Alto, magro, attraente, con uno sguardo vivace e penetrante proveniente da occhi azzurri grandi e sensuali e il naso leggermente aquilino, da giovane trasmetteva una certa insicurezza, a cui contribuì senz’altro il carattere autoritario del padre, che disapprovava gli interessi artistici del figlio e lo riteneva effemminato. Stufo della disciplina e dei maltrattamenti paterni, a diciott’anni l’erede al trono tentò di fuggire in Inghilterra con alcuni ufficiali, ma fu scoperto e incarcerato per qualche mese. L’implacabile Federico Guglielmo ordinò di decapitare il suo principale complice, Katte, e costrinse il figlio ad assistere all’esecuzione.

Federico II di Prussia rappresenta, forse meglio di qualsiasi altro monarca, il modello del re illuminato

Grazie a una governante e a un precettore emigrati dalla Francia, da bambino Federico imparò perfettamente il francese, al punto che comunicava in questa lingua con la sorella maggiore. Nella sua corte si parlava soltanto francese, l’idioma della società elegante e della cultura progressista dell’epoca, e si disprezzavano gli scritti tedeschi. Federico compose diversi libri nella lingua di Molière, come un trattato giovanile contro Niccolò Machiavelli, in cui criticava con durezza gli intrighi e le strategie dell’autore italiano, così come numerosi opuscoli e prefazioni in cui elaborò le idee anticlericali e libertine dell’Illuminismo. Non appena fu proclamato re, s’impegnò ad attrarre alla sua corte di Berlino intellettuali e scrittori francesi.

Circondato da atei

Uno dei primi a rispondere all’appello fu il matematico Pierre-Louis Maupertuis, che mise a dirigere l’Accademia di Berlino. Maupertuis era diventato celebre per aver dimostrato che la Terra era schiacciata ai poli, come Isaac Newton aveva previsto nei suoi calcoli. Era un uomo di media altezza, molto elegante, che indossava stravaganti parrucche e con un timbro di voce molto acuto. Nonostante la sua affettazione svolse un ottimo lavoro all’Accademia e facilitò la diffusione del pensiero scientifico moderno, soprattutto delle idee di Newton.

Ritratto giovanile di Federico II

Ritratto giovanile di Federico II

Foto: Pubblico dominio

Un altro che si presentò fu il medico Julien Offray de la Mettrie, famoso per il libro L’uomo macchina, in cui sosteneva una concezione materialistica dell’essere umano che molti tacciarono di ateismo. La Mettrie era sboccato, brillante, loquace e irriverente, e presto trovò nell’ambiente prussiano uno spazio incomparabile per i suoi eccessi, vincendo al contempo le simpatie del re, che alla sua morte scrisse un caloroso elogio del filosofo. Un altro audace autore che si presentò alla corte prussiana fu il marchese d’Argens, autore di un libro dal contenuto pornografico intitolato Teresa filosofa. Il marchese, che era un uomo molto robusto e alto quasi due metri, era reticente a trasferirsi in Prussia perché temeva di essere arruolato nella guardia del corpo reale, composta da giganti reclutati in mezzo mondo.

Il gioiello più prezioso della collezione d'intellettuali convocata a Berlino dal re Federico di Prussia fu Voltaire

Ma il gioiello più prezioso della collezione d'intellettuali convocata a Berlino dal re Federico di Prussia fu Voltaire, che a metà del XVIII secolo era lo scrittore più famoso di Francia e di tutta Europa. Arrivò in Prussia nel 1750, dopo la morte dell’amante, la marchesa du Châtelet, e rimase a corte per tre anni. «Un matto in più nella corte di Prussia, e uno in meno nella mia», dichiarò il re di Francia Luigi XV, felice di essersi liberato dello scomodo autore.

Nessuna donna

In questo modo Federico II riunì a poco a poco intorno a sé un gruppo sorprendente, variegato ed eterogeneo di filosofi, matematici, poeti e scrittori perseguitati. Il sovrano e i suoi intellettuali cenavano spesso insieme e rimanevano a lungo a discutere, in un ambiente in cui tutto era permesso. Tutto, salvo le donne: il genere femminile non aveva accesso a palazzo, non perché, come diceva madame de Geoffrin (padrona di un celebre salotto di Parigi) le donne abbassassero il tono della conversazione, ma perché al monarca prussiano non interessavano. Voltaire lo spiega nelle sue memorie: «Nel suo palazzo non entrava mai né donna né prete. In una parola, Federico viveva senza Corte, senza Consiglio e senza culto». Al contrario, il re provava una sospetta predilezione per i giovani ufficiali di corte: «Al mattino, quando Sua Maestà era vestita e calzata, faceva venire due o tre favoriti, giovani ufficiali del suo reggimento, o paggi, o aiduchi, o giovani cadetti. Si beveva del caffè. Colui a cui gettava il fazzoletto restava da solo con lui per un mezzo quarto d'ora». Voltaire appunta, riguardo questi tête à tête: «La cosa non si spingeva mai alle sue estreme conseguenze».

La corte d'intellettuali di Federico II a Sanssouci, vicino a Potsdam, in un dipinto di Adolph von Menzel

La corte d'intellettuali di Federico II a Sanssouci, vicino a Potsdam, in un dipinto di Adolph von Menzel

Foto: Pubblico dominio

Voltaire divenne il ciambellano di Federico e durante la sua permanenza fece da consulente letterario al “Salomone del nord”. In realtà gli fece da redattore: ripulì i suoi versi, li migliorò e gli propose dei temi su cui comporre per dimostrare il proprio talento. Questa relazione idilliaca però durò poco. Un giorno Voltaire si lamentò con la Mettrie: «Il re mi manda i suoi vestiti sporchi perché li lavi», alludendo al fatto che tutto ciò che gli chiedeva era che correggesse i suoi esercizi letterari in francese. La Mettrie corse a raccontarlo al re e questi replicò: «Lo terrò con me ancora per un anno. L’arancia si spreme e le bucce si buttano». Alla fine il filosofo non rimase neppure per quell’anno auspicato dal re: dopo molte difficoltà, alcune delle quali traumatiche, Voltaire riuscì a lasciare la Prussia. A Federico II non piaceva perdere pezzi della sua collezione, ma lo scrittore era stanco della vita di palazzo e delle rivalità con gli altri filosofi, sopra tutti Maupertius, con cui Voltaire aveva intrattenuto un’accesa e aspra polemica.

Nel suo palazzo non entrava mai né donna né prete. In una parola, Federico viveva senza Corte, senza Consiglio e senza culto

Schiavo del re

Voltaire fuggì dunque da Berlino e decise di comporre un dizionario per comprendere i re: secondo questo testo, “Amico mio” significa “Mio schiavo” e “Vieni a cena da me stasera” vuol dire “Stasera riderò di te”. Più tardi Voltaire gli avrebbe scritto versi di tutt'altro tono: «Oh, Salomone del nord, / Oh, re filosofo, / la cui saggezza contempla l’universo intero…». Infatti, dopo poco tempo lo scrittore francese recuperò la corrispondenza con il monarca, una delle più fitte del filosofo, per un totale di settecento lettere scambiate.

Con la partenza di Voltaire Federico II perse parte del suo interesse per i filosofi e si consacrò alla carriera militare. In realtà il re non aveva mai trascurato questo aspetto, anzi. Nel 1740, appena salito al trono, invase a sorpresa la ricca regione della Slesia, fino ad allora in mano all’Austria. L’azione diede inizio alla guerra di successione austriaca, che sarebbe durata otto anni e avrebbe permesso a Federico di rivelare le sue doti diplomatiche e le sue capacità militari. La pace di Aquisgrana, che mise fine al conflitto nel 1748, fu un trionfo per la Prussia, che mantenne il possesso della Slesia.

Battaglia di Hohenfriedberg, 'Attacco della fanteria prussiana', di Carl Röchling

Battaglia di Hohenfriedberg, 'Attacco della fanteria prussiana', di Carl Röchling

Foto: Pubblico dominio

Nella successiva guerra dei Sette anni, tra il 1756 e il 1763, provocata dal tentativo di Maria Teresa d’Austria di recuperare la Slesia, Federico ottenne di nuovo delle notevoli vittorie sul campo di battaglia: a Rossbach, il 5 novembre 1757, sconfisse le truppe coalizzate di Francia e Austria, mentre a Leuthen, appena un mese più tardi, piegò l’esercito austriaco in condizioni particolarmente difficili. Tuttavia il conflitto volse in sfavore del sovrano prussiano quando l’esercito russo, alleato di Austria e Francia, giunse alle porte di Berlino. In ogni caso, alla fine Federico riuscì a conservare la sua più preziosa conquista, la Slesia.

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Per il bene del regno

L’autore del trattato contro Machiavelli, il libro pacifista e illuminato della sua giovinezza, si presentò così al mondo come un Machiavelli redento e senza complessi: un diplomatico calcolatore e un comandante ossessionato dalla conquista dei territori. Non per questo tuttavia cessò di essere, nei ben quarantasei anni del suo regno, un autentico modello di dispotismo illuminato in Europa. Espose la propria filosofia riguardo alle forme di governo dello stato, proponendo uno stato retto da un principe «che sia per la società ciò che la testa è per il corpo». Fu anche un sostenitore della tolleranza religiosa: accolse artigiani protestanti che fuggivano dalla Boemia per l’imposizione del cattolicesimo da parte dell’Austria e garantì la libertà d’insegnamento agli ebrei. S’interessò allo sviluppo dell’economia e promosse numerosi esperimenti di colonizzazione agricola e ripopolazione, così come l’industria tessile. Non mise però mai in questione gli interessi dei grandi proprietari terrieri prussiani, i junker, né dimenticò che la sua priorità era il potere militare: nel 1786 la Prussia, con appena sei milioni di abitanti, aveva un esercito di 195mila uomini.

Quello di Federico il grande non fu il regno auspicato dall’Illuminismo, ma bisogna riconoscere che fu forse quello che più vi si avvicinò. Fu un monarca che ingaggiò le migliori menti d’Europa; che componeva e interpretava la musica più raffinata del suo tempo (specialmente quella del suo compositore da camera Johann Joachim Quantz, autore di splendide sonate e concerti); e che costruì un palazzo a Potsdam per godere delle arti, soprannominato Sanssouci (senza preoccupazioni). Una figura immensa, fitta di luci e ombre, che rese immortale il suo regno e che per questo è ricordata con il nome di Federico il Grande.

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Per saperne di più

Storia della Germania. Mary Fulbrook, Il Mulino, Bologna, 2022.

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