VITTORIO EMANUELE I di Savoia, re di Sardegna in "Dizionario Biografico" - Treccani - Treccani

VITTORIO EMANUELE I di Savoia, re di Sardegna

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 100 (2020)

VITTORIO EMANUELE I di Savoia, re di Sardegna

Pierangelo Gentile

VITTORIO EMANUELE I di Savoia, re di Sardegna. – Nacque a Torino il 24 luglio 1759, secondogenito di Vittorio Amedeo III e di Maria Antonia Fedinanda di Borbone, figlia di Filippo V re di Spagna. Attribuitogli il titolo di duca d’Aosta, venne tenuto al sacro fonte dal nonno Carlo Emanuele III e dalla zia paterna, la principessa Maria Felicita di Savoia.

Affidato in un primo tempo alle cure di Elena Ludovica Fresia d’Oglianico, il 31 luglio 1768 cominciò la sua educazione (condotta assieme al fratello Maurizio Giuseppe, duca del Monferrato), sotto la guida del governatore dei principi reali Casimiro Gabaleone di Salmour. L’impronta data al cadetto fu molto diversa da quella scelta per l’erede: laddove nell’educazione del primogenito Carlo Emanuele erano stati accentuati i caratteri religiosi dal precettore barnabita Giacinto Sigismondo Gerdil, influenzando un allievo già portato naturalmente all’ascetismo, per il duca venne impostata un’istruzione più laica. Nonostante ciò, quelli dell’infanzia e dell’adolescenza furono anni trascorsi all’insegna della severità, della rigidezza morale, della chiusura nei confronti delle novità. A tal proposito, nel 1789, il conte Joseph-Thomas d’Espinchal, emigrato francese, avrebbe commentato: Vittorio Emanuele «est extrèmament laid et ne nous a rien laissé préjuger de son esprit, ni de son caractère» (Journal d’émigration du comte d’Espinchal, Parigi 1912, p. 56).

Vittorio Amedeo III, in considerazione della sterilità degli eredi al trono, i principi di Piemonte Carlo Emanuele e Maria Clotilde di Borbone, sorella del re di Francia Luigi XVI, decise nel 1786 di accasare il duca d’Aosta. Dopo diverse ipotesi, la scelta della sposa cadde su Maria Teresa, figlia di Ferdinando d’Asburgo (fratello dell’imperatore d’Austria Giuseppe II), governatore di Milano, e di Maria Beatrice d’Este. Il matrimonio, attraverso il quale si arginavano i vincoli di parentela contratti dai Savoia con i Borbone di Francia, fu ben visto dalla corte austriaca. Definito il contratto il 10 gennaio 1789, le nozze vennero celebrate per procura a Milano il 23 aprile. La ratifica ebbe luogo a Novara, con una cerimonia officiata il 25 aprile dal vescovo di Torino Vittorio Maria Costa d’Arignano.

A oscurare l’ingresso solenne dei due sposi nella capitale, il 2 maggio, furono le nubi della Rivoluzione francese. Il palazzo reale di Torino divenne rifugio per molti emigrati francesi, da Luigi Giuseppe, principe di Condé, a Carlo Filippo, conte d’Artois (futuro Carlo X re di Francia), marito quest’ultimo di Maria Teresa (sorella di Vittorio Emanuele) e padre dei duchi di Angoulême e di Berry. Rifiutata nel 1792 l’alleanza difensiva e offensiva con la Francia rivoluzionaria contro l’Austria, il Regno di Sardegna fu invaso e perdette il Ducato di Savoia e la Contea di Nizza. Fu un periodo in cui emersero le spaccature nella famiglia reale. Il duca d’Aosta, tenuto lontano dalle decisioni politiche, cominciò a maturare assieme ai fratelli minori Maurizio Giuseppe, duca del Monferrato, Carlo Felice, duca del Genevese, e Giuseppe Benedetto Placido, conte di Moriana, una specie di fronda, una conventicola familiare denominata fradlansa (fratellanza in piemontese), nei confronti del debole erede al trono, il fratello maggiore Carlo Emanuele, unico principe a essere ammesso al Consiglio della Corona. Quando cominciò il conflitto le condizioni di salute e l’educazione ricevuta non permisero all’erede di vestire la divisa; a partire per la guerra furono invece i duchi d’Aosta, di Monferrato e del Genevese.

Nel bel mezzo degli scontri con la Francia, il 6 dicembre 1792, nacque la primogenita di Vittorio Emanuele, Maria Beatrice. Poco dopo, nel 1793, il duca d’Aosta fu al fianco del generale austriaco Michelangelo Alessandro Colli nella valle Stura di Demonte per tentare di recuperare il Nizzardo, ma la campagna militare fu favorevole ai francesi, che presero il colle dell’Argentera. L’anno successivo, il 6 gennaio 1794, Vittorio Amedeo III affidò il comando supremo delle operazioni al generale austriaco Joseph Nikolaus de Vins. La decisione, contrastata da Vittorio Emanuele, non portò a risultati felici, anzi. La firma di un trattato tra il Regno di Sardegna e l’Impero asburgico il 23 maggio, fu tutto a vantaggio di quest’ultimo: all’Austria era assicurata in caso di vittoria la retrocessione dei territori al confine con il Milanese.

Venne comunque garantito a Vittorio Emanuele il comando di una linea di difesa, tra il Monviso e le Alpi Levanne. Spintosi in profondità nella val Pellice e costretto a ripiegare a causa dello sfondamento francese al forte di Mirabouc, dovette assistere impotente alla disfatta. Usciti dalla coalizione Toscana, Prussia e Spagna, il 23 novembre 1795 i francesi ebbero la meglio sugli austro-piemontesi a Loano; l’anno successivo le truppe rivoluzionarie al comando di Napoleone Bonaparte dilagarono nel basso Piemonte: a Vittorio Amedeo III non restò che firmare l’armistizio a Cherasco il 28 aprile. In una lettera al suocero Ferdinando d’Asburgo, Vittorio Emanuele ebbe modo di rammaricarsi del fatto che per tutta la guerra i generali piemontesi, impediti ad agire, fossero stati al traino dell’imbelle alto comando austriaco. Del resto egli aveva diniegato fermamente il consiglio del generale francese François Christophe Kellermann di convincere il padre a firmare con il Direttorio una alleanza offensiva e difensiva (Perrero, 1889, pp. 432-447).

Morto Vittorio Amedeo III, Vittorio Emanuele non ebbe alcuna influenza sul fratello Carlo Emanuele IV, salito al trono il 16 ottobre 1796: il nuovo re firmò il 25 febbraio 1797 l’alleanza con la Francia contro l’Austria. Dissociatosi dall’iniziativa e rifiutatosi, come generale dell’esercito, di mettere in assetto l’armata per i nuovi scopi militari, il duca d’Aosta diede le dimissioni dall’alto comando, forte a corte del fatto che gli fosse nato un figlio maschio, Carlo Emanuele, conte di Vercelli, il 3 novembre (un’altra figlia, Maria Adelaide, nata il 1° ottobre 1794, era morta il 1° agosto 1795). Entrato in sospetto ai francesi – ormai padroni della situazione e decisi a liquidare i Savoia – Vittorio Emanuele prima si oppose alla consegna della cittadella di Torino, poi intimò a Carlo Emanuele IV la resistenza contro l’imposizione del Direttorio alla rinuncia delle province di Terraferma. Ma il re di Sardegna, sotto la minaccia di un bombardamento di Torino, cedette alla volontà dei francesi: il 9 dicembre 1798 siglava l’atto di capitolazione; Vittorio Emanuele fu obbligato a controfirmare la decisione del fratello.

Partito da Torino con tutta la famiglia reale, Vittorio Emanuele raggiunse Livorno in vista del rifugio in Sardegna. Ribellatosi alla volontà dei francesi di trattenerlo ostaggio in Toscana, il 3 marzo 1799 sbarcò a Cagliari, dove assunse il comando supremo dell’Esercito in veste di governatore del Capo meridionale e della Gallura. Ma fu per poco. Giunta la notizia che le armate austro-russe al comando del generale Aleksandr Vasil′evič Suvorov erano entrate a Torino il 26 maggio, la famiglia reale fu pronta a ripartire; ma solo i buoni uffici della Russia all’opposizione dell’Austria (bramosa di riottenere il Novarese e l’Alessandrino) al rientro dell’ex alleato piemontese sceso a patti con la Francia, permisero la partenza dei duchi d’Aosta; i quali, accasciati dalla morte per vaiolo del figlio Carlo Emanuele avvenuta il 9 agosto, salparono la settimana successiva da Cagliari. Giunti a Livorno il 21, proseguirono per Pisa e Firenze con l’intenzione di raggiungere rapidamente il Piemonte. Entrato negli ex domini sabaudi, Vittorio Emanuele fu però raggiunto ad Alessandria dal divieto formale austriaco di recarsi a Torino. Ritenuta indecorosa la subordinazione allo straniero, in attesa degli eventi, decise di stabilirsi a Vercelli, dove venne raggiunto dalla notizia della morte dell’amato fratello Maurizio Giuseppe, duca del Monferrato, avvenuta ad Alghero il 2 settembre 1799.

In tal frangente, la seconda campagna napoleonica in Italia colse il duca d’Aosta di sorpresa. Costretti alla fuga per l’invasione del Piemonte dal Gran San Bernardo, Vittorio Emanuele e la moglie raggiunsero Genova che era in mano agli austriaci; ricevuta la notizia della vittoria di Napoleone Bonaparte a Marengo, sotto la protezione inglese salparono alla volta di Livorno; ma anche lì il soggiorno fu interrotto per la discesa in Toscana dei francesi; ripararono a Porto Ferraio nell’ottobre del 1800, per poi trasferirsi a Napoli, dove si ricongiunsero a Carlo Emanuele IV rifugiatosi alla corte di Ferdinando IV di Borbone. Non fu un buon periodo, non solo perché Vittorio Emanuele era esasperato dall’inconcludente politica e diplomatica del fratello: la duchessa d’Aosta, il 20 dicembre 1800, partorì una principessa destinata a spirare solo quindici giorni dopo.

Morta il 7 marzo 1802, a Napoli, la regina di Sardegna Maria Clotilde di Borbone, Carlo Emanuele IV, ritiratosi a Roma, decise di abdicare il 4 giugno. L’8 giugno 1802 Vittorio Emanuele, in esilio, diventò re di Sardegna, siglando a Napoli l’atto di accettazione della corona. Osteggiato contemporaneamente dai francesi e dagli austriaci, ma sostenuto dalla Russia, dalla Gran Bretagna e dal Portogallo, alla morte del fratello Giuseppe Benedetto Placido, conte di Moriana e governatore di Sassari, avvenuta il 29 ottobre 1802, Vittorio Emanuele I decise di non rientrare in Sardegna, destinando al governo dell’isola Carlo Francesco Thaon di Revel in sostituzione dell’altro fratello, il viceré Carlo Felice. Stabilitosi a Roma, Vittorio Emanuele I guardava da lontano la Sardegna, una terra traviata dalla plaga feudale, dalle scorrerie dei contrabbandieri e dei barbareschi, dalle manovre dei fuoriusciti sardi aderenti ai disegni francesi di conquista.

Padre di altre due principesse gemelle nate a Roma il 19 settembre 1803 (Maria Teresa, futura duchessa di Lucca, e Maria Anna, futura imperatrice d’Austria), convinse Carlo Felice a contrarre matrimonio con Maria Cristina di Borbone, figlia del re Ferdinando IV di Napoli, onde assicurare una successione alla dinastia. In mezzo a problemi finanziari a non finire e speranzoso di ottenere dalla Russia uno Stato a compensazione di quello perduto, fosse anche con la cessione della Sardegna, decise di restare in attesa nello Stato pontificio; fino a che, deluso per il comportamento acquiescente di Pio VII in occasione dell’avvento di Napoleone al trono imperiale, si trasferì nuovamente a Napoli. Alla corte dei Borbone, nutrì invano l’idea di partecipare alla guerra della terza coalizione alla testa di una legione sarda o italiana finanziata dagli anglo-russi. Dopo la vittoria napoleonica di Austerlitz e la fuga dei Borbone da Napoli, non gli restò altra scelta, nel febbraio del 1806, che lasciare la terraferma per tornare in Sardegna dopo sei anni di assenza.

Sull’isola, oltre a concentrarsi sull’amministrazione del territorio e sulla difesa delle coste con l’organizzazione di una flotta navale, ebbe il tempo non solo di preparare il matrimonio del fratello Carlo Felice – celebrato a Palermo il 5 aprile 1807 –, ma anche di progettare tra il 1808 e il 1809 alleanze in triangolazione con Austria, Gran Bretagna e corte borbonica in Sicilia al fine di riconquistare manu militari le terre avite. Ancora il matrimonio tra la primogenita Maria Beatrice con lo zio materno Francesco d’Asburgo Este, celebrato a Cagliari il 20 giugno 1812, fu occasione per la Gran Bretagna di valutare la possibilità, presto sfumata, di una riscossa antinapoleonica che partisse dall’isola al comando del futuro duca di Modena.

Nuovamente padre per la nascita, il 14 novembre 1812, di Maria Cristina, futura moglie di Ferdinando II delle Due Sicilie, Vittorio Emanuele I fu a traino degli eventi che si consumarono in Europa nel 1814. Caduto Bonaparte e sbarcato William Bentinck a Genova, preparò il suo ritorno a Torino, che avvenne solennemente il 20 maggio, come ricordato da un testimone d’eccezione, Massimo d’Azeglio: «ho presente benissimo il gruppo del re col suo stato maggiore. Vestiti all’uso antico colla cipria, il codino e certi cappelli alla Federico II, tutt’insieme erano figure abbastanza buffe [...] Il buon re con quella sua faccia [...] un po’ da babbeo ma altrettanto di galantuomo [...] girò fino al toccò dopo mezzanotte passo passo le vie di Torino, fra gli evviva della folla» (I miei ricordi, a cura di A.M. Ghisalberti, Torino 1949, p. 145).

Il giorno seguente Vittorio Emanuele I si fece campione della Restaurazione, abolendo la codificazione francese e richiamando «l’osservanza delle regie costituzioni e delle altre provvidenze emanate sino all’epoca del 23 giugno 1800» (regio editto, 21 maggio 1814: Raccolta di regi editti, proclami, manifesti ed altri provvedimenti de’ magistrati ed uffizi, I, Torino 1814, pp. 20-22). Cominciava il tentativo (destinato a fallire) di epurare i ‘napoleonici’ con la formazione di un governo sul modello di antico regime costituito all’inizio da soli tre ministeri e affidato a uomini rimasti lontani dalla politica all’epoca dell’occupazione: agli Esteri fu chiamato Alessandro Vallesa di Martiniana; alla Guerra Giuseppe Mussa; agli Interni Carlo Cerruti di Castiglione Falletto, fautore quest’ultimo di una Restaurazione a oltranza, ma incapace, e dunque sostituito, nel settembre, da Girolamo Vidua di Conzano. Il sovrano si dedicò intanto a riorganizzare l’esercito, richiamando in servizio nove reggimenti, istituendo l’Arma dei carabinieri per il controllo del territorio (regie patenti, 13 luglio 1814), aprendo l’Accademia militare di Torino (regie patenti, 2 novembre 1815). Nonostante nella scelta degli ufficiali fossero stati privilegiati giovani nobili a scapito di coloro che avevano fatto esperienza tra le fila francesi, l’armata diede buona prova di sé in occasione della campagna dei Cento giorni; Vittorio Emanuele I istituì per l’occasione, il 14 agosto 1815, l’Ordine militare di Savoia. In diplomazia era invece subito emersa la necessità di addivenire a compromessi: il re inviò al Congresso di Vienna Filippo Asinari di San Marzano, già al servizio di Napoleone, il quale riuscì a ottenere, l’8 giugno 1815, l’annessione dell’ex Repubblica di Genova al Regno di Sardegna.

Rafforzata così la monarchia sabauda investita del ruolo di Stato cuscinetto tra l’impero degli Asburgo e la Francia dei Borbone, Vittorio Emanuele I poté dedicarsi alla politica interna, procedendo, tra il 1814 e il 1818, in numerosi campi, a una restaurazione integrale: in ambito sociale ed ecclesiatico abolì i diritti civili e politici per ebrei e valdesi, riorganizzò le diocesi, ristabilì la Compagnia di Gesù ripristinando ordini e congregazioni, richiamò in vigore maggiorascati e fedecommessi, stabilì un risarcimento per coloro che erano stati danneggiati dagli incameramenti di beni da parte dei francesi. In ambito amministrativo abolì tutti i dipartimenti dell’epoca napoleonica ricostituendo le antiche divisioni militari e le intendenze suddivise in province; in ambito giudiziario organizzò sul territorio i tribunali di prefettura facenti capo agli antichi Senati di Piemonte, Nizza e Chambéry con l’aggiunta di Genova. Stabilì invece numerosi cambiamenti a livello di governo centrale: dal ministero degli Interni scorporò le Finanze, la polizia e gli affari di Sardegna; al ministero della Guerra abbinò la Marina. Innovazioni di impronta conservatrice, ma ispirate anche dalla ricerca di equilibri e caute aperture: il ministero degli Interni passò da Guglielmo Borgarelli (in carica dal 1816) all’ex napoleonico Prospero Balbo (in carica dal 1819); il ministero delle Finanze fu affidato al genovese Gian Carlo Brignole; quello degli Esteri transitò nel 1817 da Vallesa di Martiniana ad Asinari di San Marzano, già al ministero della Guerra e riformatore dell’Esercito. All’interno del Consiglio di conferenza, organo consultivo dei ministri che dal 1817 cominciò a riunirsi settimanalmente alla presenza del re, Balbo assunse un ruolo da protagonista ottenendo da Vittorio Emanuele I la nomina di una commissione per la revisione della legislazione civile e penale.

Tale iniziativa di riforma in senso cautamente moderato della monarchia venne tuttavia completamente inficiata dallo scoppio dei moti liberali del marzo del 1821, che vide implicato il giovane Carlo Alberto di Savoia Carignano, erede presuntivo della Corona, sottratto da Vittorio Emanuele I alla madre, Maria Cristina Albertina di Sassonia-Curlandia, per educarlo sotto la sua tutela. Sull’affezione del re nei confronti di quel lontano cugino non vi sono dubbi: organizzò il suo matrimonio (celebrato a Firenze il 30 settembre 1817) con Maria Teresa d’Asburgo Toscana, figlia del granduca di Toscana Ferdinando III, e tenne al fonte battesimale il 14 marzo 1820 il suo primogenito, Vittorio Emanuele, destinato a cingere nel 1861 la corona d’Italia.

Tuttavia la rigida disciplina impostagli non riuscì a soffocare gli entusiasmi liberali del principe. Il 6 marzo 1821 Carlo Alberto si fece mediatore tra i congiurati Santorre di Santarosa, Carlo Emanuele Asinari di San Marzano, Guglielmo Moffa di Lisio, Giacinto Provana di Collegno e il re; ma Vittorio Emanuele I senza mezzi termini manifestò l’assoluta contrarietà all’idea di concedere una costituzione e di dichiarare guerra all’Austria. Trasferitosi al castello di Moncalieri, venne a sapere dell’insurrezione delle cittadelle di Alessandria (11 marzo) e di Torino (12 marzo); riunito un consiglio di conferenza allargato, vista l’impossibilità di venire incontro alle richieste degli insorti senza scongiurare l’intervento militare della Santa Alleanza, Vittorio Emanuele I, già minato nella salute, decise di abdicare al trono nella notte tra il 12 e il 13 marzo. Lasciata la reggenza a Carlo Alberto (il nuovo re Carlo Felice si trovava a Modena), partì all’alba assieme alla moglie e alla figlia Maria Cristina per Nizza dove giunse il giorno 20. Rifiutata la proposta di risalire sul trono lanciatagli da più parti, in giugno lasciò il Regno di Sardegna per trasferirsi prima a Modena e poi a Lucca, ospite delle figlie duchesse.

Rientrato in Piemonte nella primavera del 1822, si ritirò a vita privata nel castello di Moncalieri, dove si spense il 10 gennaio 1824. Sepolto a Superga, nel 1885 gli venne innalzata una statua (eseguita nel 1849 da Giuseppe Gaggini) di fronte alla chiesa della Gran Madre di Dio, il pantheon eretto alla Restaurazione su progetto di Ferdinando Bonsignore dalla città di Torino qual voto per il rientro del sovrano nei regi stati.

Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Torino, Corte, Miscellanea Quirinale, primo versamento, Famiglia reale-Real Casa, m. 26: Lettere di Vittorio Emanuele I; 27: Carte relative al regno di Vittorio Emanuele I; 32: Lettere di Carlo Felice; Corte, Materie politiche per rapporto all’interno, Cerimoniale, Avvenimento alla Corona, m. 1° d’addizione, fascc. 10-15.

Per la genealogia: P. Litta, I duchi di Savoia, Milano 1846, tav. XXI. La biografia più documentata resta ancora oggi quella di A. Segre, V.E. I, Torino 1928. Sull’educazione: M. Zucchi, I governatori dei principi reali illustrati nella loro serie con documenti inediti, Torino 1925, pp. 89-91; per un profilo del carattere e della sua azione sia nel periodo dell’esilio sia della Restaurazione: D. Perrero, Gli ultimi reali di Savoia del ramo primogenito ed il principe Carlo Alberto di Carignano, Torino 1889, passim; sul rientro a Torino: P. Gentile, 1814. Genova e i giochi della diplomazia: dalla repubblica restaurata all’annessione al Piemonte, in Genova-Torino. Quattro secoli di incontri e scontri, nel bicentenario dell’annessione della Liguria al regno di Sardegna, a cura di G. Assereto - C. Bitossi, Genova 2015, pp. 313-330; sul Regno: N. Nada, Il Piemonte sabaudo dal 1814 al 1861, in Il Piemonte sabaudo dal periodo napoleonico al Risorgimento, a cura di P. Notario - N. Nada, Torino 1993, pp. 97-161; sui moti del 1821 e l’abdicazione: G.P. Romagnani, Prospero Balbo intellettuale e uomo di Stato (1762-1837), II, Torino 1990, pp. 497-567; sugli ultimi anni e la morte: P. Gentile, Tra Restaurazione e Risorgimento: re, regine e principi a Moncalieri, in Il Castello di Moncalieri. Una presenza sabauda fra corte e città, a cura di A. Malerba et al., Torino 2019, pp. 205-213.

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