Back to Black: la RECENSIONE del film su Amy Winehouse
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Mercoledì, 1 Maggio 2024

La recensione

Giulio Zoppello

Giornalista

Back to Black, su Amy Winehouse, è un altro biopic musicale riuscito a metà

Back to Black era uno dei più attesi tra i tanti biopic che sono usciti e che stanno per uscire, dedicati a grandi volti (quasi sempre scomparsi) della musica e della pop culture. Amy Winehouse, scomparsa tragicamente a soli 28 anni nel 2011, viene riportata in vita da Marisa Abela, autrice di una performance molto convincente, che però non basta ad elevare un film onesto ma troppo timoroso ed incerto, che cerca senza riuscirci di parlarci di questa ragazza tormentata, del suo amore per la musica, una musica che regna in modo trasversale per tutta la durata del film, sicuramente l'ennesima goccia in un mare di mediocrità che è arrivato dal genere ultimamente. 

Back to Black - la trama

Back to Black ci guida in un iter molto classico (verrebbe da dire quasi prevedibile e non sarebbe manco sbagliato) nel mostrarci come questa ragazza londinese talentuosissima, sia diventata una delle voci femminili più iconiche della musica degli ultimi decenni. Sam Taylor-Johnson torna a misurarsi dietro la camera da presa, parte dagli inizi della carriera di Amy Winehouse (Marisa Abela), quando cantava nei pub di una Londra peccaminosa, tentatrice, oscura, fino a quando esplode come nuovo fenomeno musicale con quell'album, che ad oggi è considerato uno dei più belli che siano stati cesellati nel XXI secolo. In mezzo, il ritratto di un'ossessione per la ricerca della propria identità e percorso come artista e donna, l'incontro con il futuro marito Blake Fielder-Civil (Jack O'Connell), mentre domina questo mix tra jazz, blues e tanto altro ancora.

Amy Winehouse però già si aggrappa da giovanissima all'abuso di alcool e poi droghe di cui però Back to Black quasi rifiuta di darci la parte peggiore, di andare oltre la consolazione pura del martirio glamour. Compito difficile quello della Johnson sia chiaro, una che ad un altro musicista, John Lennon, aveva dedicato il suo primo film, Nowhere Boy, con protagonista il futuro marito Aaron Taylor-Johnson (il nuovo 007). Se Back to Black ha un'estetitca ma anche una fluidità almeno passabili rispetto a tanti altri musical biopics, lo si deve anche alla sua lunga esperienza non solo nell'ambito dei videoclips, ma anche nelle arti visive. Il film però si regge quasi completamente sulle spalle di lei, Marisa Abela, autrice di una prova molto convincente, questo a dispetto della sua scarsa somiglianza con la vera Amy Winehouse (o forse proprio grazie a questo). 

Tormentata, fragile, poi determinata, appassionata, Amy è a suo agio forse solamente su quel palco, dove trova una verità che non riesce a estrapolare dalla sua vita normale. In tutto questo, il film ci illumina ma non abbastanza sul difficile rapporto con il padre Mitch (Eddie Marsan), la madre Janis (Juliet Cowman) con la sola nonna Cynthia (Lesley Manville) che pare veramente comprenderla. Back to Black cerca di avere dalla sua l'originalità di sguardo, di creare un continuum tra le canzoni, i testi in particolare, e la vita di Amy, che già giovanissima è già un fenomeno musicale. Lei aveva il futuro radioso di una star davanti ma dentro un buco nero esistenziale che né tatuaggi, né uomini sbagliati, né canzoni paiono poter riempire. Però l'insieme anche qui fallisce.

L'ennesimo capitolo di un genere che si ripete all'infinito

Back to Black, a dispetto di una Marisa Abela toccante, non una mera cosplayer, commovente e capace di darci qualcosa di più di una voce avvolta dal mito,  quanto un sogno elevato e poi distrutto da quei pub londinesi colmi di tentazioni le oscurità, scivola negli stessi errori concettuali commessi da tanti altri film del genere. Perché diciamocelo, dai tempi di Bohemian Rapsody, meteora mediocre e edulcorativa, immotivatamente portata sugli allori, il genere del musical biopic si può dire che abbia sostanzialmente infettato le sale cinematografiche, producendo una sequenza di pellicole per lo più trascurabili, se non proprio abbastanza malfatte e cafone. Back to Black è meglio della media, ma non è comunque un film che merita qualcosa di più della definizione di mediocre.

A parte un buon film come Elvis, sul grande schermo abbiamo avuto autentiche ciofeche come il recente biopic su Bob Marley, prima ancora quelli su Billie Holiday, Aretha Franklin, Whitney Houston, già sappiamo che ora arriveranno quelli su Bob Dylan e John Lennon. In tutto questo, fa riflettere come Back to Black il tema della tossicodipendenza, dell'orribile clima anche familiare che Amy Winehouse aveva e che ne decretò la fragilità, lo sprofondare in un gorgo autodistruttivo, non lo tratti che in modo superficiale, anzi abbozzato. Il film ha una scrittura davvero timida, insufficientemente calibrata, quasi avesse paura di insudiciare il ricordo di un mito, piuttosto che di parlarci della vita di una ragazza morta prima dei 30, stritolata da sé stessa, da un rapporto tossico che Jack O'Connell, oggetto misterioso per eccellenza del cinema di oggi, riesce a far trasparire in tutta la sua pericolosità.

Back to Black ha comunque dei bei momenti che quasi lo riscattano, non forse per la sua natura di racconto ibrido, che discute anche del legame tra vita ed artista, canzoni ed emozioni, ma tutto senza soffermarsi veramente, senza mai andare oltre la visione puramente melò di una tenebra, che circondava Amy con volti, nomi e comportamenti qui non citati. Rimane interessante come costruzione visiva, ma la regia spesso è incostante, così come la scrittura è fin troppo leggera, assolutoria verso la famiglia e la stessa industria discografica, che divora figli e figlie a getto continuo da sempre. Back to Black non regge il confronto né con Rocketman, forse il migliore del genere, né con quel Amazing Grace che pur nella sua natura di documentario è cento spanne sopra. Delusi, ma non sorpresi sia chiaro. 

Voto: 5,5 

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