“Io vi accuso. Giacomo Matteotti e noi”. Un secolo fa l’assassinio del leader socialista. Un uomo solo contro il Fascismo - la Repubblica

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“Io vi accuso. Giacomo Matteotti e noi”. Un secolo fa l’assassinio del leader socialista. Un uomo solo contro il Fascismo

“Io vi accuso. Giacomo Matteotti e noi”. Un secolo fa l’assassinio del leader socialista. Un uomo solo contro il Fascismo
Il libro del giornalista Concetto Vecchio che torna sui luoghi e

spulcia documenti e le lettere alla moglie

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Come raccontare Giacomo Matteotti nel centenario della sua morte? Con un viaggio a Fratta Polesine, il suo paese natale. Comincia con una tomba, la sepoltura a lungo negata e censurata, il percorso di avvicinamento alla figura del martire più noto del Fascismo. Del resto, per iniziare a scriverne un cronista politico – tale è Concetto Vecchio – ha bisogno d’un segno tangibile, di un’immagine: le cose si capiscono solo andando sui posti.

Giacomo Matteotti, nonostante dia nome a molte strade e vie nell’Italia postbellica, è un dimenticato, almeno come uomo. La sua immagine nella memoria comune è totalmente schiacciata sul delitto che lo priva della vita nel punto culminante del Fascismo: Benito Mussolini s’assume la responsabilità morale del suo omicidio il 3 gennaio 1925 con un discorso alla Camera dei Deputati. Per ricostruire chi è Matteotti in Io vi accuso. Giacomo Matteotti e noi (Utet), Vecchio riempie il fido taccuino da cronista di 180 pagine d’appunti, compulsa documenti storici, archivi, legge libri e va a trovare testimoni secondari della vita del deputato socialista.

"Io vi accuso", i misteri e i segreti sulla morte di Giacomo Matteotti in un libro inchiesta che parla all‘Italia di oggi

A sorreggere il suo lavoro d’indagine c’è un volume curato da Stefano Caretti, storico, che raccoglie le lettere scambiate tra Giacomo e la moglie Velia Titta, una pisana conosciuta in una vacanza montana e sposata nel 1916 (Lettere a Velia, Pisa University Press). Si tratta di un epistolario d’amore scritto nel linguaggio cerimonioso dei primi decenni del XX secolo, pieno di passione, in cui i due coniugi, separati per lungo tempo a causa degli impegni politici del marito – Velia è a Fratta Polesine con i figli, almeno per molto tempo – raccontano il reciproco trasporto. La parola che Vecchio usa per definire il carattere del loro comunicare è “struggimento”, un sentimento che mescola insieme ansia e sofferenza, ma anche pena per l’altro, e in definitiva per sé stessi. Il tono delle lettere riprese in varie pagine del libro manifestano la nostalgia di Giacomo per Velia, e nello stesso tempo il senso di consunzione provato da lei man mano cresce intorno al marito un odio tangibile e pericoloso, che costringe Matteotti a nascondersi e a non poter tornare a casa, a Fratta. La parola struggimento contiene il verbo “struggere”; indica nel medesimo tempo l’atto dell’innalzare, del costruire, e il suo contrario: distruggere ovvero abbattere. Giacomo usa una serie di metafore per rivolgersi a Velia e a dichiararle la sua passione, che pescano dalle letture dell’epoca, dalla letteratura romantica, mescolate al lessico dannunziano. Ci si sente la presenza d’un sentimento amoroso che è vero e reale, e che si consuma nella distanza.

In una epistola del 9 agosto 1921 lui le scrive: «Talvolta ho paura del mio ritorno perché non mi tolga nulla di un sentimento perfetto». Giustamente Caretti dice a Vecchio che Matteotti è stato a lungo solo l’uomo eliminato da Mussolini dopo il discorso del 30 agosto 1924, mentre esiste una parte più complessa della sua personalità. Il delitto efferato, di cui è stato vittima, ora coincide con il suo nome e lo rende oggi ancora molto noto, tuttavia lo schiaccia. Non si può fare a meno di pensare a una frase di Pier Paolo Pasolini in un suo saggio dedicato al cinema: «È dunque assolutamente necessario morire, perché, finché siamo vivi, manchiamo di senso, e il linguaggio della nostra vita (…) È intraducibile: un caos di possibilità, una ricerca di relazioni e di significati senza soluzione di continuità. La morte compie un fulmineo montaggio della nostra vita».

Leggendo Io vi accuso non si può non pensare che anche per Matteotti sia vero l’effetto-montaggio. Forse per questo Vecchio prova a scandagliare i punti meno noti della biografia del suo personaggio, mettendone in luce l’insistenza, la cocciutaggine e la determinazione di quella che si presenta come una vera e propria missione. “Solitudine” è la parola che ritorna più volte in modo diretto e indiretto nel libro: Matteotti è solo davanti al Fascismo, al suo antipode, Benito Mussolini, davanti al suo partito, i socialisti riformisti, davanti alla sua famiglia e alla sua donna. Per quanto eletto sempre con un voto unanime e plebiscitario dai suoi concittadini, è un uomo impopolare. Nato in una famiglia ricca Giacomo è diventato socialista e si è occupato dei braccianti del Polesine. Lo attaccano per questo, anche dalla sua parte: un possidente che sta con i contadini. Non ha vita facile. Vecchio scrive: «Nel momento dell’azione aveva il consenso di tutti, e riusciva a far sacrificare se stesso. Anche di questa apparente arroganza e severità la spiegazione è nella sua ascetica solitudine».

Da morto il suo corpo sarà oggetto d’una contesa con il regime. Velia lo vuole seppellire a Fratta, e lo riporta a casa nonostante l’avversità del Duce e del suo apparato poliziesco. Nel dopoguerra sarà, nonostante l’aura di martire, dimenticato. L’Einaudi nel 1955 respinge la proposta dello storico Franco Venturi di pubblicare i suoi discorsi, e lo stesso Partito Comunista non ne promuoverà il ricordo. L’oblio, nonostante il nome conosciuto da tutti, resta come un destino persino famigliare. Velia sarà sottoposta a una sorveglianza strettissima; i fascisti infiltrano una spia nel suo ambiente famigliare, e ai figli viene persino vietato d’usare il loro cognome nelle prove scolastiche. L’ossessione di Matteotti attanaglia Mussolini, e in modo rovesciato i suoi discendenti. Vecchio va a trovare la nipote di Giacomo, Laura Matteotti. Il padre Matteo, secondogenito di Giacomo, deputato e ministro del Partito Socialista nel dopoguerra, non ha mai parlato con lei del nonno. Laura lo racconta e riflette sulla scomparsa da giovane della nonna coi suoi tre figli rimasti orfani: «I figli rimasero soli, immensamente soli. Nell’affetto dei militanti, certo, ma soli di fronte alla mancanza».

Vecchio con il suo taccuino in mano non può che scrivere: mi è venuto un gran magone. Nell’anno del centenario stanno uscendo vari volumi su Matteotti, nel contempo s’inaugura una mostra a Rovigo, la sua casa-museo è stata rinnovata. Come racconta questo libro resta l’emblematica e umana, troppo umana, vicenda d’un uomo solo contro il mostro del Fascismo. Una memoria e un monito: mai più.

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