Bartolomeo Colleoni, il grande capitano di ventura

Bartolomeo Colleoni, il grande capitano di ventura

Fu tra i più celebri capitani di ventura italiani del Rinascimento, epoca in cui le Signorie si affidavano a essi per abilità e preparazione, tanto da riuscire a sconfiggere spesso i più efficienti eserciti stranieri

 

 

Negli ultimi secoli del Medioevo in Italia i campi di battaglia furono dominati dai mercenari. I cavalieri feudali e le milizie cittadine non scomparvero dalla scena, ma la loro importanza diminuì. I principi avevano bisogno di eserciti più numerosi e preparati, ma soprattutto sotto il loro controllo. L’età delle Signorie fu quindi anche l’età dei condottieri. Nel Trecento molti di loro provenivano dall’Europa del Nord, mentre nel Quattrocento il “mercato” della guerra fu monopolizzato dagli italiani. Ma la figura del condottiero non godette di molta fortuna: Petrarca li definì “banditi dediti a una perenne cospirazione contro la pace e l’ordine” e per Machiavelli erano “ambiziosi, sanza disciplina, infedeli, gagliardi fra li amici, fra’ i nemici vili”. Affidando la propria difesa ai condottieri prezzolati, l’Italia si trovò “ridotta in schiavitù e disprezzata”. Ma forse questi sono giudizi troppo severi.

È vero, i condottieri furono spesso opportunisti, avidi e infidi. In fondo però non furono peggiori di molti sovrani e principi come il re d’Inghilterra Riccardo III o Luigi XI di Francia. E non è vero che i condottieri italiani avessero ostacolato i progressi tattici e tecnici dell’arte della guerra. Nel Quattrocento, le compagnie guidate dai condottieri italiani sconfissero spesso eserciti stranieri. Un’impresa che riuscì anche a Bartolomeo Colleoni.

Ritratto di Bartolomeo Colleoni. Opera di Giovan Battista Moroni, il dipinto (realizzato nel 1565) riprende l’effigie del condottiero raffigurata su una medaglia. Luogo Pio Colleoni, Bergamo

Ritratto di Bartolomeo Colleoni. Opera di Giovan Battista Moroni, il dipinto (realizzato nel 1565) riprende l’effigie del condottiero raffigurata su una medaglia. Luogo Pio Colleoni, Bergamo

Foto: Dea / Scala, Firenze

Ritratto di Bartolomeo Colleoni. Opera di Giovan Battista Moroni, il dipinto (realizzato nel 1565) riprende l’effigie del condottiero raffigurata su una medaglia. Luogo Pio Colleoni, Bergamo

 

 

Le origini e l’apprendistato

Bartolomeo nacque nel 1400 a Solza, un paese vicino a Bergamo, in una famiglia nobile, anche se non molto in vista. È vero che “il mestiere delle armi” poteva essere un mezzo di ascesa, ma era comunque consigliabile non partire proprio dai livelli più bassi della scala sociale. Tra i grandi condottieri, quelli di umili origini furono pochi, come Niccolò Piccinino, figlio di un macellaio, o Erasmo da Narni detto Gattamelata, figlio di un fornaio.

A partire dalla seconda metà del secolo i capitani di ventura furono perlopiù rampolli delle più prestigiose famiglie dell’aristocrazia italiana e talvolta erano piccoli signori indipendenti che mettevano a frutto le loro competenze militari per integrare i redditi che ricavavano dai loro piccoli Stati, come i Malatesta di Rimini o i loro rivali Montefeltro di Urbino.

Come molti suoi colleghi, Bartolomeo mosse i primi passi come “apprendista” di un condottiero già famoso, Braccio da Montone, che era stato allievo di Alberico da Barbiano, a sua volta apprendista del celebre John Hawkwood, Giovanni Acuto. In seguito passò agli ordini di Jacopo Caldora, sotto il quale partecipò al suo primo scontro importante, la battaglia dell’Aquila nel 1424, proprio contro Braccio, che morì per le ferite riportate.

'La battaglia di San Romano'. I capitani di ventura erano raffigurati secondo i canoni dell’iconografia medievale. Olio su tavola di Paolo Uccello, 1438 circa. Galleria degli Uffizi, Firenze

'La battaglia di San Romano'. I capitani di ventura erano raffigurati secondo i canoni dell’iconografia medievale. Olio su tavola di Paolo Uccello, 1438 circa. Galleria degli Uffizi, Firenze

Foto: Scala, Firenze

'La battaglia di San Romano'. I capitani di ventura erano raffigurati secondo i canoni dell’iconografia medievale. Olio su tavola di Paolo Uccello, 1438 circa. Galleria degli Uffizi, Firenze

 

 

Da Venezia a Milano

Nel 1431 Bartolomeo entrò, al comando del Carmagnola, al servizio di Venezia e negli anni seguenti si fece una solida reputazione, combattendo con i più illustri capitani dell’epoca, come Gattamelata e Francesco Sforza. Quello con Venezia fu un rapporto tra alti e bassi. Così, nel 1442 Colleoni si rivolse al principale antagonista di Venezia, Filippo Maria Visconti, che lo accolse prima a braccia aperte e poi, forse deluso dalla mancanza di risultati o sospettoso della sua fedeltà, lo fece rinchiudere nella famigerata prigione dei Forni a Monza, dove rimase fino alla morte di Filippo Maria, nel 1447.

Uscito dai Forni, Bartolomeo rimase comunque al servizio di Milano e dell’Aurea Repubblica Ambrosiana, che aveva provvisoriamente preso il posto della signoria viscontea. E fu in questa fase che ottenne la sua prima importante vittoria personale, nella battaglia di Bosco Marengo, l’11 ottobre 1447, contro i francesi. Una vittoria che conferì a Colleoni un grande prestigio non solo in Italia, “havendone egli acquistato nobilissimo titolo d’haver in giusta battaglia, debellato, et vinto una nation superbissima, et per terribilità et fierezza di quei tempi tremenda” (Pietro Spino). Questa vittoria smentisce anche un luogo comune sull’arte della guerra all’epoca dei condottieri, quello secondo il quale i soldati di ventura italiani “non si ammazzano nelle zuffe”. In realtà nella “zuffa” di Bosco Marengo di uomini ne vennero ammazzati moltissimi, oltre 1500, una cifra molto alta per l’epoca.

La battaglia di Bosco Marengo rese celebre Bartolomeo anche fuori dall’Italia

Da Milano a Venezia

Dopo la vittoria, Colleoni ritornò al servizio della Serenissima, anche perché la presenza di Francesco Sforza a Milano gli lasciava poco spazio, militare e politico. La Repubblica ambrosiana lo accusò di tradimento e mise sulla sua testa una taglia di 10.000 ducati.

Nel 1474 Bartolomeo Colleoni ospitò, nel castello di Malpaga, il re danese Cristiano I, che è qui raffigurato mentre viene ricevuto dal condottiero, su un cavallo bianco, alla porta dell’edificio

Nel 1474 Bartolomeo Colleoni ospitò, nel castello di Malpaga, il re danese Cristiano I, che è qui raffigurato mentre viene ricevuto dal condottiero, su un cavallo bianco, alla porta dell’edificio

Foto: Dea / Scala, Firenze

Nel 1474 Bartolomeo Colleoni ospitò, nel castello di Malpaga, il re danese Cristiano I, che è qui raffigurato mentre viene ricevuto dal condottiero, su un cavallo bianco, alla porta dell’edificio

 

 

I condottieri non erano però gli unici a cambiare fronte: quando Venezia si rese conto che Francesco Sforza sarebbe stato un vicino scomodo, incaricò proprio Colleoni di fermarlo. Quindi i due si trovarono nuovamente sui versanti opposti della barricata. Ma non per molto. Nel febbraio del 1451 Venezia nominò capitano generale dell’esercito Gentile da Leonessa. Colleoni, deluso, non rinnovò la sua “condotta”, il contratto che lo legava a Venezia, e ne stipulò un altro, proprio con Francesco Sforza – diventato signore di Milano – per combattere contro Venezia. Ma i contatti con Venezia nel frattempo non si interruppero, e forse questo spiega la condotta incerta delle operazioni di Colleoni. Nel febbraio del 1454 Bartolomeo annunciò le dimissioni a Francesco Sforza e a marzo sottoscrisse la nuova condotta con Venezia alla quale rimase fedele fino alla morte.

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La fedeltà del condottiero

Nel seguire i continui cambiamenti di campo di un condottiero come Colleoni, nel groviglio confuso di guerre, tregue, trattati e paci provvisorie dell’Italia del Quattrocento, ci si perde facilmente e si rischia di cadere nell’errore di dare giudizi moralistici sul comportamento di questi professionisti della guerra: mercenari senza ideali, senza patria e senza onore, pronti a vendersi al migliore offerente. Proprio come dicevano di loro i critici umanisti.

In realtà Colleoni di ideali e di valori ne aveva, anche se diversi dai nostri. Tra questi l’idea di “patria” era certamente meno definita e importante di quanto non lo sia diventata in seguito. Ma c’erano altri ideali per cui combattere. Innanzitutto l’onore e la gloria, da conquistare sul campo. Poi c’era il legame di fedeltà verso il proprio comandante e il cameratismo che legava il singolo combattente ai commilitoni. La “compagnia” era in fondo la vera patria dei soldati di ventura e dei loro comandanti e al suo interno lo spirito di corpo e il senso di lealtà reciproco era molto forte.

La statua equestre che raffigura Colleoni è opera di Andrea del Verrocchio. Campo San Giovanni e Paolo, Venezia

La statua equestre che raffigura Colleoni è opera di Andrea del Verrocchio. Campo San Giovanni e Paolo, Venezia

Foto: Bridgeman / Aci

La statua equestre che raffigura Colleoni è opera di Andrea del Verrocchio. Campo San Giovanni e Paolo, Venezia

 

 

L’ultima battaglia

Venezia, da cui Colleoni aveva ricevuto anche dei feudi, per due volte lo aveva riaccolto non per generosità, ma per calcolo. Egli era un ottimo professionista, ed era meglio averlo come amico che come nemico. Ma la Serenissima non voleva finire come l’Aurea Repubblica Ambrosiana, esautorata da un condottiero al suo servizio. L’obbiettivo era anzi imporre un maggiore controllo: si muovevano i primi passi per la creazione di un esercito permanente.

Colleoni era consapevole dei suoi ristretti margini di manovra politici, ma non rinunciò a ogni autonomia. Nel 1467 le convulsioni interne della politica fiorentina gli offrirono l’occasione per un’ultima campagna e un’ultima battaglia. Forse egli sperava di approfittare dell’occasione per indebolire gli Sforza, alleati di Firenze, e diventare signore di Milano.

Il 25 luglio 1467 Colleoni, che appoggiava la fazione antimedicea, si scontrò con l’esercito guidato da Federico da Montefeltro. La battaglia fu sanguinosa, ma l’esito incerto. I Medici restarono al potere e Colleoni tornò alla sua corte Malpaga dove morì il 2 novembre 1475.

La Serenissima gli tributò grandi onori, tra i quali una sua statua equestre opera del Verrocchio. Secondo le sue volontà la statua avrebbe dovuto essere collocata in Piazza San Marco, ma la Repubblica non gli concesse tale privilegio. Forse anche da morto Colleoni era considerato una figura troppo ingombrante. La statua venne quindi relegata in Campo San Giovanni e Paolo, dove si trova tuttora.

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