Il labirinto Milan non è metafora nuova, ormai, e proprio per questo mette in crisi gli esperti. L’ideale sarebbe fare di ogni fascio un’erba, in maniera da "sfogliare" i risultati come se fossero atti unici e non, viceversa, somma di tanti capitoli. Furbo: anche se poco dignitoso. E allora? C’è chi suggerisce il copia-e-incolla, con il pericolo di cadere nel patetico, più che nell’epico. In alcune circostanze potrebbe servire: a patto di aver azzeccato le terapie.

I limiti della "mossa" di Pioli

Era l’8 marzo quando, a Londra, il Milan bloccava il Tottenham di Antonio Conte sullo 0-0 e si qualificava in pompa magna per i quarti di Champions, traguardo che non tagliava da undici anni. "Gran collettivo, gran difesa": persino Arrigo Sacchi si confuse nel coro, dirigendolo dal balcone di Fusignano. All’andata, il 14 febbraio, era finita 1-0, gol di Brahim Diaz. Convocammo la storia, inneggiammo al coraggio di Stefano Pioli che, in barba alle tradizioni aziendali, non aveva esitato a profanare la difesa a 4 pur di passare a 3. Facendo la tara alle analisi, avremmo scoperto che gli inglesi, forse, non erano poi così forti da reggere paragoni così impegnativi.
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Stefano Pioli, Milan

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Perché sì, molto è cambiato dalla stagione dello scudetto e dall’estate del mercato sbagliato. Il 13 novembre, il Milan era secondo, con 33 punti, a 8 dal Napoli. Oggi, dodici giornate dopo, è quarto, addirittura a meno 23, in piena euro-rissa. Non solo: un punto tra Firenze (1-2), Salernitana in casa (1-1) e Udine (1-3), l’ultima, straziante imbarcata. Il Toro, in dieci, lo eliminò negli ottavi di Coppa Italia: al Meazza, per giunta. E l’Inter lo ha asfaltato nel derby di Supercoppa, a Riad.
Come era nei voti, e nei meriti, all’allenatore è stato allungato il contratto. Ed è tornato pure Zlatan Ibrahimovic, il totem che sprigionò la favilla dell’ascesa. Le notti di aprile orienteranno la rotta, drasticamente. Domenica 2, Napoli-Milan di campionato. Mercoledì 12 e martedì 18, Milan-Napoli d’Europa. E’ tutto uno scalpiccio di Champions, fra i triboli della classifica e le insidie del campo. Nel dopo Mondiale, il Diavolo ha battuto Salernitana (all’Arechi), Torino, Monza e Atalanta. Più gli Spurs. Un po’ poco, no? Tenetevi forte: la mossa che aveva garantito la "svoltina" - alludo all’inedito assetto del bunker - corre il rischio di essere appesa alla forca dei harakiri più grossolani, nello spregio e nell’oblio della vaselina spalmata a man salva.
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I giocatori, il mio pallino

Se mai, i giocatori. Il mio pallino. Per esempio, Rafael Leao: Scomparso dai radar, letteralmente. Lui, che dovrebbe garantire la differenza. Lo stesso dicasi di Sandro Tonali e Ismael Bennacer. In generale, è un Milan pesante di gambe e di testa, con Mike Maignan ago della bilancia. Avevamo celebrato il suo rientro come un balsamo cruciale. Contrordine. Rimane, inoltre, il problema del centravanti: Olivier Giroud non si discute, mentre le rughe e le cicatrici di Ibra, a 41 anni, agitano fosche nubi. Avrebbe fatto comodo, a questo punto dell’agenda, la benzina degli innesti estivi, da Charles De Ketelaere a Divock Origi. Come non detto. Senza dimenticare l’eclissi totale di Ante Rebic, che fu grimaldello prezioso nella caccia al titolo.

Sandro Tonali durante Lazio-Milan - Serie A 2022-23

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Non v’è dubbio che il gruppo si fosse spinto oltre la frontiera dei propri limiti. Come capita spesso, l’idea della bacchetta magica ci ha portato a trascurare la stoffa dei singoli: se a sinistra manca Theo Hernandez e gioca Fodé Ballo-Touré, beh, con tutto il rispetto, non c’è lavagna che tenga. Leao ne è il simbolo. Al di là di un centrocampo troppo piatto, possibile che Pioli non sia più in grado di sfruttarne i tesori come gli era riuscito sino al maggio del 2022? Il bersaglio, per le edicole, resta sempre il mister. Contente loro.
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