SAN GIULIANO, Antonino Paternò-Castello, marchese di in "Enciclopedia Italiana" - Treccani - Treccani

SAN GIULIANO, Antonino Paternò-Castello, marchese di

Enciclopedia Italiana (1936)

SAN GIULIANO, Antonino Paternò-Castello, marchese di

Pietro SILVA

Uomo politico italiano, nato a Catania il 10 dicembre 1852, morto a Roma il 16 ottobre 1914. Di nobile famiglia catanese, partecipò fino dalla prima giovinezza alla vita amministrativa della città nativa, assurgendo a 27 anni alla carica di sindaco. La notorietà così acquistata e la pronta e acuta intelligenza, rafforzata da una vasta cultura, gli aprirono presto le vie della vita politica, nelle quali avanzò rapidamente ai primi posti. Deputato a 30 anni, nel 1882, si affemmò subito alla Camera per la sua passione e la sua competenza nelle questioni estere e coloniali. Nel 1892 fu sottosegretario all'Agricoltura nel primo ministero Giolitti; nel 1898 ebbe il portafoglio delle Poste e Telegrafi nel ministero Pelloux. Membro e relatore della commissione d'inchiesta sulla Colonia Eritrea; presidente del primo congresso della Società geografica italiana all'Asmara, fu vigoroso assertore dell'espansione africana; al tempo stesso che teneva l'occhio attento sui problemi del prossimo Oriente. Di questa sua vigile cura data ai problemi orientali e balcanici rimangono documento caratteristico le Lettere sull'Albania, pubblicate sul Giornale d'Italia nel 1902, e poi riunite in volume.

Ma le impronte più importanti e notevoli dell'attività del marchese di San Giuliano furono segnate nel campo della politica estera, nel quale ebbe una posizione di primissima linea nell'ultimo decennio della sua vita. Tenne infatti il Ministero degli esteri nel breve ministero Fortis dal 24 dicembre 1905 al 1° febbraio 1906; fu poi dal 1906 al 1909 ambasciatore a Londra; nel 1909-1910 ambasciatore a Parigi; e infine dal marzo 1910 all'ottobre 1914 ministro degli Esteri nei tre successivi ministeri Luzzatti, Giolitti, Salandra.

Siffatta attività cominciò a svolgersi quando l'Italia per gli accordi conclusi all'inizio del secolo XX con la Francia e con l'Inghilterra aveva rafforzato e migliorato la propria posizione internazionale prima basata soltanto sull'alleanza con gl'Imperi Centrali, e aveva acquistato nuove possibilità d'azione soprattutto nel Mediterraneo.

Direttiva del marchese di S. G. fu di rafforzare le intese con le potenze occidentali pur mantenendo la politica estera italiana nell'orbita della Triplice. Nella prima brevissima permanenza alla Consulta nel 1905-1906 fece in tempo a designare come rappresentante italiano alla conferenza di Algesiras il marchese E. Visconti-Venosta, che alla conferenza stessa doveva porsi con tanta autorità a fianco della Francia e dell'Inghilterra di fronte alle pretese della Germania. A Londra e a Parigi come ambasciatore lavorò efficacemente a consolidare i legami creati tra l'Italia e le potenze occidentali dopo gli accordi del 1900 e del 1902. Tornato alla Consulta nella primavera del 1910, si trovò a dirigere la politica estera italiana nel periodo straordinariamente importante che va dall'impresa di Libia fino alla dichiarazione della neutralità italiana, dopo lo scoppio della guerra mondiale. Fu il periodo nel quale si seguirono in stretta concatenazione la crisi franco-tedesca per il Marocco dopo l'incidente di Agadir, la guerra italo-turca per la Libia, l'alleanza della Quadruplice balcanica contro la Turchia e le conseguenti guerre balcaniche del 1912-1913, il rinnovamento anticipato della Triplice nel dicembre 1912, i tentativi austriaci dell'estate 1913 per guadagnar terreno in Albania e per preparare l'attacco alla Serbia e infine la terribile crisi del 1914.

In questo periodo il di San Giuliano poté, attraverso la conquista della Libia e l'insediamento nel Dodecaneso, vedere realizzate le giovanili aspirazioni verso l'espansione italiana in Africa e in Oriente. Volle che la politica italiana fosse quella di una grande potenza, e si preoccupò di tenere con dignità e fermezza una posizione autonoma sia di fronte alle potenze occidentali, sia di fronte agl'Imperi Centrali.

Tale atteggiamento rimase scolpito nell'affermazione da lui fatta alla Camera nel dicembre 1913: "Per l'Italia i giorni della politica remissiva sono passati per sempre e non torneranno mai più". In quegli anni egli fronteggiò vigorosamente le aspirazioni greche appoggiate dalla Francia e dall'Inghilterra, sul Dodecaneso e sull'Albania meridionale; sostenne la formazione dello stato albanese indipendente; rinnovò la Triplice nel dicembre 1912 con due anni di anticipo sulla scadenza, ma nello stesso tempo si oppose alle aspirazioni dell'Austria a una posizione di prevalenza in Albania e nel basso Adriatico. Quando il dramma di Sarajevo venne a determinare lo scoppio della crisi già da tempo maturante, si trovò d'accordo con il Salandra nella decisione della neutralità. Nel successivo breve periodo di vita, per quanto straziato dai dolori dell'artrite che doveva condurlo alla tomba nell'ottobre 1914, gettò le basi della duplice azione, che poi doveva riprendere e sviluppare il suo successore Sonnino: l'azione per rivendicare in base all'articolo VII della Triplice i compensi dall'Austria, che attaccando la Serbia aveva spostato la situazione balcanica, e l'azione per la preparazione dell'intervento a fianco dell'Intesa contro gl'Imperi Centrali. Rimase al suo posto di arduo lavoro e di formidabili difficoltà fino all'ultimo, superando con mirabile stoicismo e forza di volontà le sofferenze e le crisi del male.

La passione, l'ardore di lavoro, lo spirito di sacrificio di cui si rivelò capace in quei drammatici mesi, sottoponendosi a uno sforzo di lavoro che certo accelerò la sua fine, dimostrarono come, sotto le apparenze di scetticismo e anche di svogliatezza da cui sembrava caratterizzato, fosse in lui un ardente amore di patria e un alto senso del dovere.

Bibl.: F. Cataluccio, A. di San G. e la politica italiana dal 1910 al 1914, Firenze 1934; G. Giolitti, Memorie della mia vita, voll. 2, Milano 1922; A. Salandra, La neutralità, ivi 1927.

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