La Màrmora, Alfonso Ferrero di nell'Enciclopedia Treccani - Treccani - Treccani

La Màrmora, Alfonso Ferrero di

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Generale e uomo di stato (Torino 1804 - Firenze 1878). Combatté la prima guerra d'indipendenza (1848). Nominato ministro della Guerra (1849-59), riorganizzò l'esercito piemontese. Nel 1855-56 guidò la spedizione di Crimea. Presidente del Consiglio (1859; 1864-66), nella terza guerra d'indipendenza (1866) gli fu affidato il comando dell'esercito ma fu rimosso dopo la sconfitta di Custoza.

Vita e attività

Dopo aver riorganizzato l'artiglieria piemontese, partecipò alla guerra d'indipendenza del 1848 distinguendosi nell'assedio di Peschiera. Fu ministro della Guerra nei due brevissimi ministeri Pinelli e Gioberti, fino al febbraio 1849, allorché fu inviato con una divisione al confine della Toscana. Dopo Novara, La M. fu nominato commissario straordinario a Genova, insorta. Nel novembre 1849, durante il primo gabinetto d'Azeglio, fu chiamato di nuovo a reggere il ministero della Guerra, che tenne per circa dieci anni. In questa carica, riordinò le ferme, introdusse il reclutamento nazionale, rammodernò le fortificazioni e le fece presidiare da truppe non appartenenti a quelle di prima linea. La M. partiva dal concetto di tenere pronte tutte le forze d'urto disponibili per una eventuale guerra offensiva in Lombardia, rapida e decisiva, prima dell'arrivo di rinforzi dall'interno dell'Austria. Nel 1855 gli fu conferito il comando in capo della spedizione di Crimea e, al ritorno, riprese il portafoglio della Guerra, col grado di generale d'armata. Durante la campagna del 1859 fece parte del quartiere generale del re. Dopo l'armistizio di Villafranca, tenne per sei mesi la presidenza del Consiglio, succedendo a Cavour dimissionario; quindi, nel 1860, passò a comandare il dipartimento di Milano e l'anno seguente quello di Napoli, con poteri civili e militari. Ritornato alla presidenza del Consiglio nel settembre 1864, pur essendo personalmente contrario alla Convenzione del 15 settembre, la difese alla camera e al senato, in quanto era già stata sottoscritta dal re. Dopo le elezioni dell'ottobre 1865, La M., trovandosi di fronte a una seria opposizione, acuitasi specialmente sul piano dei problemi finanziarî, si dimise (dicembre 1865), ma il re gli rinnovò l'incarico di formare il nuovo ministero. Alla vigilia della guerra del '66 lasciava, il 20 giugno, le redini del governo a Ricasoli, per assumere il comando effettivo dell'esercito. Ma nel corso della campagna, con l'esercito diviso, per riguardi personali verso il gen. E. Cialdini, in due masse lontane e praticamente indipendenti, ciò che non permise di sfruttare la sua superiorità numerica, La M. ebbe un atteggiamento incerto, debole e contraddittorio, soprattutto in occasione della battaglia di Custoza. Sostituito pertanto, mentre era ancora in corso la guerra (primi di luglio), dal gen. Cialdini, si ritirò a vita privata: dopo l'occupazione di Roma (1870), vi assunse la carica di luogotenente generale del re, in attesa del trasferimento della capitale.

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