ALFONSO II d'Aragona, re di Napoli in "Dizionario Biografico" - Treccani - Treccani

ALFONSO II d'Aragona, re di Napoli

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 2 (1960)

ALFONSO II d'Aragona, re di Napoli

Raffaele Mormone

Nacque in Napoli il 4 nov. 1448 dal re Ferrante d'Aragona e da Isabella di Chiaromonte. Fu dall'avo Alfonso I nominato principe di Capua assumendo poi nel 1458, con l'elevazione al trono di Ferrante, il titolo di duca di Calabria, titolo tradizionale da qualche secolo negli eredi alla corona napoletana. Suoi maestri furono dapprima il Panormita, poi il Pontano, al quale il duca fu sempre legatissimo, nonostante la tradizione, che fa capo alla Congiura dei Baroni di Camillo Porzio (Congiura dei Baroni,a cura di E. Pontieri, Napoli, s. d. [ma 1958],p. 138), abbia voluto rivolto contro il "degenere" scolaro il dialogo dell'umanista Asinus (sive de ingratitudine).

Quattordicenne, avendo a lato Luca Sanseverino, fu nominato capo dell'esercito inviato dal re in Calabria contro i baroni sostenitori di Giovanni d'Angiò e diede prova di talento militare e di prontezza riuscendo a pacificare la provincia ribelle. Quietate le cose nel Regno, attuando un disegno già predisposto dieci anni prima da Alfonso il Magnanimo, il principe nel 1465 sposò la figliola di Francesco Sforza, Ippolita Maria. Le nozze celebrate nella primavera in Milano, ove A. venne rappresentato per procura dal fratello Federico, si conclusero il 14 settembre in Napoli con sontuosissime feste. Dal matrimonio con la Sforza, morta nell'agosto del 1488, nacquero il futuro re di Napoli Ferrandino, il principe Pietro, premorto al padre, ed infine Isabella, promessa sin dalla nascita (1471) a Gian Galeazzo Sforza e moglie effettiva di lui dal 2 febbr. 1489. A. ebbe anche una figlia illegittima, Sancia, che nel 1494, per ottenere l'appoggio di Alessandro VI, egli diede in sposa a Jofré Borgia.

Nel 1467 il duca di Calabria si distinse nella campagna in aiuto dei Fiorentini contro Venezia e cominciò ad acquistare nell'intera penisola fama di ottimo capitano. Nel giugno-luglio 1477, come vicario generale del re, egli si recò in Barcellona per rilevarvi la figlia del re d'Aragona, Giovanna, destinata come seconda moglie al vedovo Ferrante. Alla matrigna Giovanna ed alla sorellastra dello stesso nome, nata dal secondo matrimonio del padre, A. fu sempre particolarmente legato, e nei loro confronti si espresse con accorata tenerezza nel suo testamento (cfr.: Diurnali di Giacomo Gallo e tre scritture pubbliche dell'anno 1495,a cura di S. Volpicella, Napoli 1846, p. 33).

Per le conseguenze della congiura dei Pazzi, Napoli e lo Stato della Chiesa mossero guerra a Firenze: il duca di Calabria, come capitano dell'esercito e gonfaloniere di Santa Romana Chiesa, condusse insieme con Federico di Urbino la guerra, entrando in Siena il 20 febbr. 1479 e sconfiggendo il nemico a Poggio Imperiale ed all'assedio di Colle. Nell'anno seguente il pericolo turco e la strage di Otranto lo richiamarono in patria; dopo un anno di lotta (agosto 1480-settembre 1481), costretto il nemico alla resa, rientrò trionfalmente in Napoli il 25 ottobre.

Scoppiata, subito dopo, la guerra di Ferrara ed essendosi Sisto IV alleato ai Veneziani contro Ercole I, l'esercito napoletano irruppe nello Stato pontificio; ma, dopo parziali successi, A. fu attaccato il 21 ag. 1482 presso la torre di Campomorto e sconfitto da Roberto Malatesta, comandante dei Veneziani, accorso in aiuto del pontefice. Benché si fosse battuto "come un leone", A. fu costretto a fuggire per non vedersi tagliata da Terracina la via del ritorno nel Regno. La vittoria peraltro riuscì poco utile al papa, che - morto il 10 dicembre il Malatesta - si vide indotto a concludere un'alleanza con re Ferrante. Concluso l'accordo in Roma nel Natale del 1482, A. poté recarsi nel gennaio seguente a Ferrara ed essere eletto in Cremona dai rappresentanti del papa, di Milana, di Firenze, di Mantova e di Ferrara capitano generale della Lega contro i Veneziani. A capo dell'esercito della Lega, egli respinse nel Bresciano Roberto Sanseverino spingendosi fin sotto le mura di Verona. Dopo la pace conclusa in Venezia il 7 ag. 1484, A. poté ritornare in Napoli, dove trovò il Regno tutt'altro che tranquillo, talché egli si accinse - come scriveva in una lettera dell'8 novembre dell'anno stesso a Lorenzo il Magnifico - ad "adderizzare" e "assectare le cose del Reame". L'odio dell'inquieto baronaggio napoletano contro A. per il timore che egli incitasse il padre ad usare una politica forte contro le sue riottosità, fu la causa, non ultima, insieme con l'atteggiamento del nuovo pontefice Innocenzo VIII, della famosa congiura dei Baroni. Il comportamento del duca di Calabria in quegli avvenimenti è ben noto: si può asserire col Croce (Storia del Regno di Napoli,Bari 1925, p. 72) che egli fu "risoluto ancora più del padre a porsi netto il dilemma tra potere monarchico e potere baronale".

Fiero, energico, temprato alla vita del soldato, conscio del pericolo che per la sicurezza del trono rappresentava la protervia del grande baronaggio, mirante per di più, nello spirito dei tempi, a rafforzare l'autoritarismo dello stato, egli non ebbe scrupoli nel consigliare al padre le più severe misure repressive. Naturale perciò che il duca di Calabria si procurasse sospetti, animosità, odi feroci da parte della nobiltà feudale del Regno di Napoli così duramente colpita. La campagna promossa contro di lui dagli scampati all'eccidio, dai baroni profughi in Francia e dagli stessi circoli legati a Venezia, di cui A. fu costantemente nemico, influenzarono tutta la storiografia contemporanea e quella posteriore, concorde nel dipingere il duca con truci colori: bravo capitano, ma digiuno di lettere, sanguinano, simulatore, libidinoso. I sentimenti di rancore e di odio contro A. contribuirono a preparare la rapida rovina della dinastia al momento della spedizione di Carlo VIII.

Morto Ferrante il 25 genn. 1494, A. II regnò poco meno di un anno: dubbioso di tutti e di sé stesso, tormentato da scrupoli religiosi, conscio dell'alone di impopolarità che circondava la sua figura, all'avanzare della spedizione di Carlo VIII, dopo aver sollecitato invano contro i Francesi l'aiuto turco, ritenne di poter salvare la dinastia, abdicando nel gennaio 1495 in favore del figlio Ferrandino. Ritiratosi a Mazzara, feudo della matrigna Giovanna, e di lì a Messina, fu colto dalla morte il 18 dic. 1495 mentre si disponeva, secondo la tradizione, ad entrare nell'Ordine olivetano.

I documenti coevi e le cronache del tempo, non influenzate dalla fazione a lui ostile, ci mostrano in A. un principe colto, protettore degli studi e degli artisti, molti dei quali, come il Sangallo e i Da Maiano, egli utilizzò nelle numerose opere edilizie che venne innalzando in Napoli dal 1479 in poi. Egli ampliò la città con nuove torri e mura verso occidente, costruì a Poggioreale una ricca dimora e si proponeva un grandioso risanamento igienico della capitale che gli avvenimenti impedirono.

Fonti e Bibl.: Ampie indicazioni bibliografiche e documentarie sono in Regis Ferdinandi primi Instructionum Libri,a cura di L. Volpicella, Napoli 1916, pp. 225-229; e in E. Pontieri, Per la storia del regno di Ferrante I d'Aragona, re di Napoli,Napoli 1947 (importante specialmente il cap. III: La dinastia aragonese di Napoli e la casa de' Medici di Firenze,pp. 117-277). In particolare per i rapporti con il Pontano si veda E. Percopo, Vita di G. Pontano,in Arch. stor. per le prov. napol.,LXI-LXII (1936-37), passim e spec. alle pp. 151-157; per l'affetto verso la matrigna Giovanna, F. Scandone, Le tristi reyne di Napoli, Giovanna III e Giovanna IV d'Aragona,in Arch. stor. per le prov. napol.,LIII (1928), pp. 115-143; per i rapporti politici e culturali con i Medici, oltre all'opera del Pontieri già cit., cfr. G. Grimaldi, B. Dovizi alla corte di Alfonso II,in Arch. stor. Per le prov. napol.,XXI (1896); sulla attività edilizia di A. si veda A. Colombo, Il palazzo e il giardino di Poggioreale,in Arch. stor. per le prov. napol.,X (1885), pp. 186-209; per i propositi di risanamento della città la Lettera di P. Summonte a M. A. Michiel,a cura di F. Nicolini, in Napoli Nobilissima,III (1922), pp. 121-246, e R. Filangieri, La casa di Federico d'Aragona in Castelnuovo,in Studi di storia napoletana in onore di M. Schipa,Napoli 1926, pp. 353-364.

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