Alfonso d’Aragona, il re che fece di Napoli la capitale della cultura - la Repubblica

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Alfonso d’Aragona, il re che fece di Napoli la capitale della cultura

La recensione

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Nel 1420, fallito il tentativo di prendere la Corsica difesa strenuamente dai genovesi, la flotta di Alfonso V d'Aragona si fermò in Sardegna, ad Alghero, dove fu raggiunto dall'inviato Malizia Carafa dalla regina di Napoli Giovanna II, che non aveva eredi diretti. Carafa prospettò al sovrano, in cambio del suo intervento contro le mire di Luigi III d'Angiò sul regno napoletano, " di transferire per via di adottione la ragione di succedere al Regno, dopò i pochi dí ch'ella potrà vivere, & consegnare ancora in vita di lei buona parte del Regno".

Alfonso si trovò così di fronte l'opportunità di ampliare e unificare la corona di Palermo con quella di Napoli. Alla ricca e complessa figura del sovrano è dedicato un bel volume di Giuseppe Caridi, "Alfonso Il Magnanimo. Il re del Rinascimento che fece di Napoli la capitale del Mediterraneo", uscito giovedì scorso per i tipi della Salerno editrice.

Il sovrano catalano, contrariamente al parere del suo consiglio reale (che sconsigliava di andare in spedizione " in un Regno bellicosissimo, & abondante di grandissima Cavalleria"), aderì all'offerta di Giovanna II. E fu così che nel 1421 il Magnanimo arrivò a Napoli con una flotta composta da "sedici galee, otto navi e altre imbarcazioni minori", soggiornando a Castel dell'Ovo.

Dopo tre anni la sovrana revocò l'adozione e il re d'Aragona ritornò in Spagna. Nel 1435 alla morte di Giovanna II scoppiò la guerra di successione al trono di Napoli tra il Magnanimo e Renato d'Angiò. Alfonso V d'Aragona conquistò il regno nel 1442 e fece il suo ingresso come Alfonso I di Napoli il 26 febbraio 1443 dentro un carro trionfale trainato da quattro cavalli bianchi. Scena immortalata nello splendido fregio marmoreo che sovrasta il portale di ingresso al Maschio Angioino, capolavoro dell'arte scultorea rinascimentale italiana.

Alfonso è appellato Magnanimo per il suo mecenatismo verso artisti e letterati. La corte aragonese di Napoli divenne così - scrive Caridi - "un dinamico centro di irradiazione del Rinascimento italiano. A Lorenzo Valla e Antonio Beccadelli, detto il Panormita, che avevano cominciato a fare parte dell'entourage di Alfonso sin dal suo insediamento a Gaeta, si erano successivamente aggiunti a Napoli altri illustri umanisti come Bartolomeo Facio, Giovanni Gioviano Pontano, Pier Candido Decembrio, Gregorio da Tiferno, Lorenzo Buonincontri, Giorgio da Trebisonda, Teodoro Gaza, Costantino Lascaris, Poggio Bracciolini, Giannozzo Manetti. La presenza a corte degli intellettuali era considerata dal sovrano un onore del quale andare orgoglioso".

Il volume indaga anche i complessi rapporti tra la casa aragonese e il papato. Il ricco volume, nato come ricorda l'autore sotto gli auspici del compianto storico Giuseppe Galasso, si avvale di un ricco apparato documentario, utilizzato per la narrazione che si presenta di interesse non solo per lo studioso esperto ma anche per l'appassionato e il lettore curioso.

Caridi utilizza fonti letterarie e archivistiche, comprese alcune cronache spagnole e napoletane, e attinge all'imponente documentazione conservata nell'Archivio della Corona d'Aragona di Barcellona, ai verbali delle Corti degli Stati iberici e alla corrispondenza degli ambasciatori catalani e milanesi a Napoli, oltre che - naturalmente - alla bibliografia in lingua spagnola e italiana dedicata alla vicenda di un sovrano simbolo dell'Italia del Rinascimento.
 
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