Agricoltura e allevamento sono le nuove frontiere della sostenibilità

Il mondo dell’agricoltura e dell’allevamento da tempo, nel contesto occidentale, è caratterizzato da un’importante transizione sistemica: se nel corso del Novecento a una tendenziale diminuzione del numero degli addetti, stabilizzatosi a percentuali in singola cifra della forza lavoro in tutte le maggiori economie già dalla fine del XX secolo, si è associata una spinta massiccia sulla meccanizzazione. Oggi la sfida è quella di portare nel contesto del settore primario lo strategico driver dell’efficienza energetica. Facendo sì che anche agricoltura e allevamento diventino pienamente sostenibili.

Agricoltura non è sinonimo di “green”

Quando si pensa all’inquinamento causato dalle attività economiche, la mente corre subito alle fabbriche, alle industrie e a tutto ciò che è ricollegabile alle emissioni nocive in aria come in terra. Al contrario, spesso il settore primario viene automaticamente catalogato tra le attività meno inquinanti. Non si producono gas di scarico, non ci sono ciminiere o altri elementi tangibili di inquinamento. Questo però non vuol dire in realtà che coltivazioni e pascoli non producano problemi di sostenibilità ambientale. Al contrario, agricoltura e allevamento devono fare i conti con altri elementi importanti su questo fronte, a partire dallo sfruttamento del suolo e dall’uso di ingenti quantità di risorse naturali.

Quando si impiantano nuove colture, viene utilizzata una certa quantità di terreno. Si tratta di superficie “strappata” alle foreste e ad ambienti verdi. Un principio non diverso da quello riguardante l’espansione edilizia in un determinato territorio, soltanto che al posto del cemento e dell’acciaio per nuovi palazzi ad avanzare sono nuove piantagioni e nuove coltivazioni. L’impatto sulla biodiversità è pressoché analogo. E questo vale anche per l’allevamento: quando servono nuovi spazi per i pascoli, si sacrificano gli spazi verdi. Se lo sfruttamento del suolo diventa intensivo, il rischio deforestazione è dietro l’angolo. Mantenere inoltre coltivazioni molto ampie significa dover usare enormi quantitativi di acqua, con lo spettro di una monopolizzazione delle risorse idriche di un determinato territorio.

Quantis, società leader per la consulenza ambientale, ha prodotto nel 2021 geoFootprint, il primo strumento online che permette di visualizzare l’impatto ambientale delle colture agricole grazie ad immagini satellitari su una mappa del mondo interattiva. Contattato dall’Ansa, Simone Pedrazzini, direttore di Quantis Italia, ha dichiarato che geoFootprint ha permesso di stimare che “l’agricoltura è responsabile di oltre il 20% delle emissioni totali di gas ad effetto serra e il settore Food & Beverage – secondo la nostra ricerca può arrivare a rappresentarne circa il 28%”.

Coltivazioni e pascoli ecosostenibili: le frontiere verso il futuro

In poche parole, anche il settore primario deve investire nel green. La transizione ecologica non può escludere agricoltura e allevamento. A dimostrarlo sono anche i numeri. Secondo il Wwf ad esempio, negli ultimi 50 anni è scomparso il 75% delle specie vegetali in precedenza addomesticate dall’uomo. Diverse specie animali rischiano l’estinzione in quanto hanno perso il proprio habitat naturale. Un allarme che vale anche per l’intensivo sfruttamento delle risorse idriche. Nella sola Europa ad esempio, così come denunciato dall’European Environmental Agency, l’agricoltura consuma il 40% dei 243 miliardi metri cubi d’acqua disponibili nel Vecchio Continente. Secondo l’Unesco, la percentuale a livello globale potrebbe salire oltre il 60%.

Consumare meno e preservare la biodiversità è dunque la strada maestra per il futuro del settore primario. L’Europa in tal senso ha una grande occasione data dalle contingenze storiche delle ultime decadi. Agricoltura e allevamento hanno visto sempre meno persone impiegate, con il risultato che mai come adesso nel continente viene segnalata una crescita della superficie forestale. Il settore primario deve essere rilanciato e, per farlo, occorre puntare su nuove tecnologie che evitino di perdere l’ambiente naturale ricostituitosi negli ultimi anni. Una sfida certamente non semplice.

Il Recovery punta sull’agricoltura

L’Europa e l’Italia stanno in questo contesto puntando fortemente sul settore primario come fondamentale terreno in cui applicare le politiche legate al Recovery Fund.

Non dimentichiamo che le direttive europee impongono agli Stati che applicheranno Next Generation Eu di investire almeno il 37% delle risorse in progetti legati alla transizione ecologica e un quinto, il 20%, in piani connessi alla digitalizzazione e all’efficienza nell’innovazione. Questi due campi, come abbiamo avuto modo più volte di sottolineare, sono strettamente interconnessi.

Per il Pnrr disegnato dal governo di Mario Draghi e che vedrà le politiche ambientali gestite dal Ministro per la Transizione Ecologica Roberto Cingolani l’agricoltura è un settore strategico. L’agro Pnrr si articola su tre pilastri: Economia circolare e agricoltura sostenibile, Contratti di filiera e di distretto e Tutela del territorio e della risorsa idrica. Il Pnrr prevede risorse dirette per 6,8 miliardi per l’agricoltura e sono previsti 4,38 miliardi di euro per manovre riguardanti il rafforzamento dell’infrastruttura di trasporto dell’acqua, la tutela del territorio e la gestione del patrimonio idrico nazionale, altre fonte in cui si può limare l’impatto ambientale del settore primario.

2,8 miliardi di euro, in particolare, andranno a investimenti destinati ad aumentare la tecnologizzazione e a ridurre i consumi energetici e gli sprechi negli allevamenti e nelle coltivazioni: dall’investimento massiccio in sensoristica negli allevamenti al 4.0, passando per l’irrigazione a goccia e la valorizzazione dell’economia circolare,i progetti in tal senso sono decisamente strategici. Inoltre, come riporta AgroNotizieun altro pivot del piano sarà “l’agrisolare, a cui andranno 1,5 miliardi di euro”. In questa fase “il governo mira a incentivare l’installazione di pannelli solari su capannoni e strutture aziendali (nessun consumo di suolo dunque) pari a 2,4 milioni di metri quadri. In questo contesto è previsto anche l’ammodernamento delle coperture, ad esempio tramite l’eliminazione dell’amianto”, materiale profondamente tossico e nocivo per la salute umana.

Progetti sistemici rilanceranno l’agricoltura nazionale nel quadro dei piani europei? La speranza è che questo accada. Ma perchè l’agricoltura possa tornare a essere veramente “sostenibile” dovranno cambiare anche le abitudini di consumo dei cittadini: manca, ma sarebbe interessante avere, una misurazione dell’impatto ambientale causato dal flusso globale di frutta, verdura e prodotti di origine animale che non seguono le stagionalità. La globalizzazione ha creato una grande corsa allo sfruttamento economico dei beni ambientali che si può frenare riportando i consumi alle ordinarie filiere e alla stagionalità. Parliamo di uno dei pochi ambiti in cui, effettivamente, la somma dei comportamenti individuali può aiutare in chiave di ricerca della sostenibilità.