Depretis, Agostino in "Dizionario di Storia" - Treccani - Treccani

Depretis, Agostino

Dizionario di Storia (2010)

Depretis (o De Pretis), Agostino


Depretis

(o De Pretis), Agostino Politico (Mezzana Corti, Pavia, 1813-Stradella 1887). Figlio di agiati proprietari terrieri, laureato in legge all’univ. di Pavia, simpatizzò fin dalla prima giovinezza con le idee mazziniane. Nel 1847-48 fu uno dei capi liberali della provincia di Voghera e, eletto deputato al parlamento subalpino (1848), divenne ben presto uno dei leader dell’opposizione democratica, insieme ad A. Brofferio e U. Rattazzi, contro il governo accusato di eccessiva debolezza. Come giornalista collaborò al quotidiano politico La Concordia e fondò (1850) con C. Correnti Il Progresso. Era ancora in corrispondenza con Mazzini durante i preparativi rivoluzionari che portarono all’insurrezione di Milano del febbr. 1853, ma non vi prese parte direttamente, prevedendone l’insuccesso, e si limitò alla diffusione di cartelle del prestito mazziniano. Fermo nell’opposizione al nuovo orientamento della politica nazionale di Cavour, non approvò la spedizione di Crimea, ma in seguito, nel quadro della collaborazione cavouriana con la sinistra moderata, fu inviato (1859) come governatore a Brescia e poi come prodittatore (1860) in Sicilia, dove si sforzò di far cessare il disordine amministrativo. Entrato in conflitto con F. Crispi sul problema dell’annessione immediata, si dimise nel sett. 1860, riprendendo la vita parlamentare nel partito di sinistra di Rattazzi. Fu al governo, per la prima volta, nel 1862 nel gabinetto Rattazzi come ministro dei Lavori pubblici. Dopo i fatti di Aspromonte tornò all’opposizione, per abbandonarla all’inizio della guerra del 1866 e assumere nel gabinetto Ricasoli il ministero della Marina, poi quello delle Finanze, che tenne solo due mesi, fino alla caduta del governo (1867). Da allora condusse una battaglia quasi decennale contro la destra. Alla morte di Rattazzi nel 1873, D. divenne la figura più in vista della sinistra, di cui assunse l’indiscussa direzione politica. Caduto il governo Minghetti, nel 1876 D. costituì il suo primo ministero. Fu una svolta decisiva nella storia politica e parlamentare del nuovo Stato: la destra, che aveva guidato il processo politico dell’unità nazionale, lasciava definitivamente il potere. Si inaugurava una nuova epoca nel processo di costruzione dell’Italia. Dal 1876 e fino alla morte D. diresse otto ministeri, interrotti da tre brevi ministeri Cairoli. Il nuovo governo si trovò a dover affrontare gravi difficoltà di carattere politico e finanziario e non poté quindi attuare, se non in parte, il suo programma riformatore. Di conseguenza, le speranze che molti avevano riposto nel governo di sinistra furono disattese, e D. vide l’estrema sinistra passare all’opposizione, dopo aver accusato il governo di eccessiva remissività nella politica ecclesiastica, mentre i rapporti con il Vaticano erano peggiorati in seguito alle frequenti dimostrazioni anticlericali. Alla fine D. dovette dimettersi (1878), lasciando la successione a B. Cairoli; ma nel dic. dello stesso anno ritornò ancora al governo. Il ministero cercò di diminuire il disagio economico, incoraggiando la costruzione di ferrovie e di strade, e quindi, dietro le pressioni dell’estrema sinistra, ridusse notevolmente la tassa sul macinato. Ma nel 1879, D. si trovò ad avere contro, oltre alla destra, anche parte della stessa sinistra, e dovette di nuovo rassegnare le dimissioni, accettando solo di partecipare al gabinetto Cairoli in qualità di ministro dell’Interno (1879-81). Nel 1881 tornò al governo e accentuò il riavvicinamento italo-austriaco, iniziando con gli imperi centrali quei negoziati che avrebbero condotto al trattato della Triplice alleanza (1882). In politica interna promulgò la nuova legge elettorale (1882), che portò a circa due milioni il numero degli elettori, e abolì il corso forzoso insieme alla tassa sul macinato, mentre il governo, per mantenere un atteggiamento conforme al trattato di alleanza, fu costretto a reprimere le manifestazioni irredentiste, che si moltiplicarono dopo l’esecuzione nel 1882 del patriota triestino G. Oberdan. D., contrastato sia dalla destra sia dall’estrema sinistra, nel 1883 si trovò in grandi difficoltà che lo costrinsero di nuovo a lasciare il potere. Ricostituito il ministero pochi mesi dopo, mediante abili manovre parlamentari riuscì a formare una nuova maggioranza con elementi sia della destra sia della sinistra, inaugurando così la politica del cosiddetto . Questo metodo non fu ispirato solo da motivi di tattica parlamentare, ma anche da ragioni politico-finanziarie. D., infatti, voleva instaurare una nuova politica che combattesse le intemperanze degli estremisti di sinistra e il conservatorismo accanito di alcuni uomini della destra, consentendo al governo di avviare l’espansione coloniale in Africa e risolvere così il grave problema dell’emigrazione. Il nuovo indirizzo politico e i metodi adottati suscitarono contro D. l’opposizione dei principali rappresentanti della sinistra storica, come G. Zanardelli, A. Baccarini, B. Cairoli, F. Crispi e G. Nicotera, i quali costituirono (1883) la cosiddetta pentarchia, alla quale aderirono anche elementi repubblicani come F. Cavallotti e A. Fortis. Ma D., forte dell’appoggio di gran parte dei liberali e di moltissimi deputati, un tempo appartenenti a diversi partiti e ora sostenitori del nuovo indirizzo politico, continuò con grande abilità a svolgere il suo programma ministeriale, senza badare alle accuse di diserzione e cinismo che gli muovevano i suoi antichi colleghi. Nel 1885 chiamò agli Esteri C.F. de Robilant, il quale mirò soprattutto a migliorare la posizione diplomatica dell’Italia e riuscì a ottenere migliori condizioni per il Paese quando si trattò di rinnovare la Triplice alleanza (1887). L’eccidio di Dogali (1887), tuttavia, durante la prima fase dell’espansione italiana in Eritrea, accrebbe l’influenza della pentarchia, che intensificò la sua attività di opposizione. D. rassegnò quindi per l’ultima volta le dimissioni e nello stesso tempo aprì le trattative con Crispi e i principali capi dell’opposizione; malgrado fosse sofferente per una grave malattia, il vecchio uomo di Stato riuscì a rimanere ancora l’arbitro della vita politica italiana e ricostituì un ministero in cui entrarono sia Crispi sia Zanardelli. Fu l’ultimo successo politico di D., che morì pochi mesi dopo per il rapido aggravarsi della malattia.

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