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Acciaio: i macro trend del 2023 e le attese per il 2024

Acciaio: i macro trend del 2023 e le attese per il 2024

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All’orizzonte ripresa di prezzi e domanda, anche se a pesare molto sarà il ristoccaggio dei magazzini.


Sono 5 i macro trend che hanno caratterizzato il 2023 in modo molto profondo e che, forse, segneranno anche il 2024. Con questa riflessione, il responsabile dell’Ufficio Studi siderweb, Stefano Ferrari (nella foto), ha aperto il 5 dicembre l’ultimo appuntamento dell’anno con Mercato&Dintorni, il webinar di siderweb dedicato alla congiuntura siderurgica.

 

Il grande protagonista in Europa dell’attività della distribuzione è stato il destoccaggio, soprattutto dei magazzini dal pronto. Una tendenza rilevata anche in Italia: «La disponibilità, dal picco di settembre 2021, è scesa fino ai minimi di ottobre/novembre 2022, prima di un ritorno su livelli più alti. Ma se si guardano ai dati annualizzati, nel periodo 2018/23 – ha spiegato Ferrari – si nota una costante riduzione degli stock (con la sola eccezione del 2021, quando c’è stato un colossale aumento rispetto al 2020 e una prestazione fuori scala, prima del rientro della curva su valori vicino allo storico)». Nel 2023 il valore delle scorte è il più basso dei sei anni presi in esame: -16% sul 2018 e -9% sul 2019.

 

Alcuni fenomeni registratisi nel 2023 hanno rappresentato, secondo l’analista, una sorta di ritorno al passato: dopo 3 anni di forte volatilità e quotazioni che hanno raggiunto e infranto ogni record, i prezzi dell’acciaio sono tornati vicino a quelli del 2018/19, anche se su livelli più alti; dopo anni record come il 2021 e il 2022, il 2023 vedrà gli utili scendere e tornare su valori più vicini allo storico; il consumo europeo torna vicino ai volumi del 2015.

 

«Per la prima volta – ha spiegato ancora il responsabile dell’Ufficio Studi siderweb – il prezzo del materiale indiano (coils a caldo, ndr) a fine anno appare strutturalmente più alto rispetto a quello di Cina, Giappone, Turchia». Il sorpasso dell’India, ha aggiunto, è alimentato da una grandissima fame d’acciaio del Paese, il cui consumo apparente, secondo World Steel Association, è salito del 9,3% annuo nel 2022, dell’8,6% nel 2023 e crescerà del 7,7% nel 2024, salendo a 135,8 milioni di tonnellate.

 

Il 2023 ha visto, poi, il ritorno sempre più pressante degli echi della guerra: Russia-Ucraina; Israele-Palestina; conflitti latenti come Cina-Taiwan e Venezuela-Guyana. «Lo scoppio di una guerra tra questi due Paesi – ha detto Ferrari – avrebbe ovviamente ripercussioni soprattutto per le esportazioni venezuelane, che è uno dei protagonisti del mercato globale del petrolio ma che vende all’estero anche HBI e ghisa, seppur in quantità relativamente ridotte».

 

Infine, l’acciaio sta viaggiando a due velocità. Anche se il 2023 non si è confermato sui livelli del 2021 e 2022, alcune acciaierie continentali hanno reagito bene al cambio del mercato e riescono ancora a generare utili per i propri azionisti. Inoltre, ha illustrato Ferrari, molte di esse hanno intrapreso grandi piani di sviluppo, volti a trasformare il modo in cui si produce acciaio in Europa, rendendolo più ambientalmente sostenibile. Ma, a fronte di queste aziende che guadagnano e investono, ci sono gruppi che stanno affrontando alcune difficoltà: tra gli altri, Celsa, thyssenkrupp, Liberty Steel e l’ex Ilva.

 

Guardando all’Ue, il continente «resta un grande importatore di acciaio, mentre vediamo un progressivo calo dell’export. Un trend che continuerà nei prossimi anni sulla spinta di alcuni fattori, in primis il Cbam. Altra tematica che limita l’export – secondo Emanuele Norsa, analista di Kallanish e collaboratore siderweb – è che non c’è un rebate a supporto delle produzioni europee per far sì che non perdano quote di mercato». Un altro elemento è la Salvaguardia: a giugno arriva a scadenza e «al momento, quindi, non c’è chiarezza su cosa succederà dopo il 30 giugno 2024». Il terzo elemento da tenere d’occhio per il prossimo anno secondo Norsa sono «i flussi commerciali con la Russia, perché da ottobre 2024 si bloccherà l’import di semilavorati da questo Paese. Il che equivarrebbe a togliere dal mercato 3 milioni di tonnellate di bramme. Per questo abbiamo visto alcuni Paesi come Belgio e Repubblica Ceca che hanno già presentato richieste di proroga della scadenza».