La battaglia di Lepanto

7 ottobre 1571: la battaglia di Lepanto

Il 7 ottobre del 1571 si ebbe la più grande battaglia navale della storia moderna. Oltre 400 galere e 200mila uomini si affrontarono in una battaglia più "terrestre" che navale, in cui l’artiglieria europea ebbe la meglio sulla marina ottomana

Da anni le navi turche imperversavano nel Mediterraneo occidentale. Le coste italiane e spagnole erano costantemente minacciate e Malta fu sul punto di essere presa nel 1565. Davanti al crescente pericolo, la Spagna, Venezia e gli Stati pontifici formarono un’alleanza per fermare l’avanzata turca. Si costituì così la Lega santa, che riuniva, sotto il comando di don Giovanni d’Austria, figlio illegittimo dell'imperatore Carlo V e fratellastro del re Filippo II, lo Stato pontificio, l’Impero spagnolo, le repubbliche di Venezia e Genova, i cavalieri di Malta, i ducati di Savoia, Urbino e Lucca e il granducato di Toscana. Riunitasi a Messina, l’armata cristiana salpò verso le acque greche a metà settembre del 1571. Cipro, dopo la capitolazione di Famagosta, era appena caduta in mani ottomane, ma rimaneva la possibilità di sconfiggere la flotta turca attraccata nel golfo di Lepanto, all’imboccatura del golfo di Corinto.

I comandanti della Lega santa. Innsbruck, Portraitgalerie, Schloss Ambras

I comandanti della Lega santa. Innsbruck, Portraitgalerie, Schloss Ambras

Foto: E. Lessing / Album

All’alba del 7 ottobre, le navi della Lega santa, a forza di remi a causa del vento contrario, cominciano a dispiegarsi nella bocca del golfo. I turchi, invece, con il vento a favore escono dal porto già in assetto da combattimento. Improvvisamente il vento cambia a favore dei cristiani, un segno interpretato come divino, e dà loro il tempo di schierarsi in ordine di battaglia: tre corpi (corni) in linea e una retroguardia. I musulmani, sotto il comando dell’ammiraglio Mehmet Alì Pascià, formano anch’essi tre corni, dispiegati in forma di mezza luna. In totale sono 204 galere e sei galeazze cristiane per 205 galere turche. Circa cinquanta barche più piccole e leggere per lato le accompagnano, compiendo missioni di collegamento ed esplorazione. La squadra cristiana è composta da un totale di 90mila tra soldati e marinai, all’incirca la stessa quantità dei nemici.

La mappa, disegnata secondo le indicazioni del geografo Egnazio Danti, è posta all’interno della Galleria delle carte geografiche del Vaticano

La mappa, disegnata secondo le indicazioni del geografo Egnazio Danti, è posta all’interno della Galleria delle carte geografiche del Vaticano

Foto: Scala, Firenze

A prima vista, le forze sembrano equilibrate, ma la realtà è un’altra. Agli ordini di don Giovanni d’Austria vi sono 36mila soldati di fanteria, più circa 34mila marinai e galeotti sferrati a cui vengono distribuite spade per prendere parte all’arrembaggio. Altri 20mila sono rematori forzati; di loro, quelli che non sono schiavi cominciano a scatenarsi alla promessa di libertà e indulto delle loro pene se dimostrano valore nel combattimento. Nelle fila ottomane gli uomini di armi sono meno, intorno ai 20-25mila. Ma fra i turchi un alto numero di galeotti è costituito da schiavi, in gran parte cristiani, quindi non sono molti gli uomini che gli ottomani possono liberare perché li aiutino in battaglia. Pertanto la flotta della Lega santa dispone del doppio o addirittura del triplo di combattenti rispetto al nemico, fatto che sarà determinante nell’esito della battaglia.

«È terribile vedere con quale furore attaccano un vascello», scriveva un autore del XVII secolo sugli abbordaggi come quello raffigurato in questo dipinto di Andries Van Eertvelt

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Canti di guerra

Alle nove del mattino, entrambe le flotte si vedono chiaramente avanzare una contro l’altra: issano le bandiere e gli stendardi, immagini sacre e crocifissi, suonano trombe e tamburi; si prega, si benedice, si canta, si balla, si grida e arringa cercando di provocare il parossismo e motivare i combattenti. Ai rematori vengono offerti vino e cibo perché affrontino lo scontro con energia. Allo stesso tempo si svuotano le coperte, si accumulano le munizioni e si preparano le armi e gli attrezzi per l’abbordaggio. A poco a poco i cristiani riescono a portare in avanguardia sei galeazze, galere più alte, grandi, massicce e lente, ma pesantemente armate, la cui missione è schiacciare e rompere la formazione nemica. Sono passate cinque ore da quando le due flotte si sono avvistate e lentamente si avvicinano. Le galere navigano in parallelo, strette le une accanto alle altre, senza quasi poter manovrare; marciano solo in avanti a ritmo di vogate, verso lo scontro.

Quando si avvistarono, le due flotte spiegarono gli stendardi e suonarono trombe e tamburi

È mezzogiorno e l’inferno sta per scoppiare: cinque delle sei galeazze cristiane che marciano all’avanguardia della flotta si avvicinano ai turchi. Simili a fortezze, contano circa quaranta cannoni ciascuna. Gli ottomani aprono il fuoco, ma con scarsi risultati; invece i cannoni delle galeazze mandano a picco varie galere turche. L’armata del comandante turco, Alì Pascià, lascia che le galeazze attraversino le loro fila per subire meno danni, aspettando lo scontro con il grosso della flotta della Lega.

La prima carica di galeazze cristiane affondò diverse galere ottomane

L’artiglieria apre il fuoco

La tensione cresce: le due armate si fronteggiano a un centinaio di metri. Entrambe sanno che devono cannoneggiare il più tardi possibile per causare maggiori danni, perché poi, nel fragore della battaglia, sarà difficile ricaricare e la gran parte dei possenti pezzi di artiglieria potrà sparare una volta sola.

In questa tattica attendista sono gli ottomani a sparare per primi, ma quasi tutti i loro proiettili finiscono in mare. Quando già li separano meno di cento metri, i cannoni delle galere della Lega iniziano a vomitare la loro carica e distruggono i ponti delle navi ottomane. A questa distanza non è necessario prendere la mira: si spara alla cieca, sapendo che le palle incatenate e i proiettili colpiranno i corpi e le navi nemiche. Allo scontro, molti speroni delle galere riescono a infilarsi nei fianchi delle navi nemiche, rompendo remi.

Nel 1580, il pittore Andrea Michieli, detto Vicentino, realizzò un grande olio sulla battaglia di Lepanto per il palazzo Ducale di Venezia

Nel 1580, il pittore Andrea Michieli, detto Vicentino, realizzò un grande olio sulla battaglia di Lepanto per il palazzo Ducale di Venezia

Foto: AKG / Album

Ora, scafo contro scafo, inizia un’altra battaglia. Non si tratta più di un combattimento navale, è un abbordaggio nel quale le fanterie si lanciano tra le imbarcazioni unite da tavole e passerelle. Gli scontri fra le navi fanno sì che gli uomini di una galera debbano a volte lottare contro due, tre e perfino quattro navi nemiche che la circondano. Tuttavia, la norma è che ogni barca scelga un’imbarcazione nemica e si getti in una furiosa lotta uno contro uno.

I soldati cristiani sparano in continuazione dai loro archibugi; gli ottomani rispondono principalmente con frecce. L’obiettivo di ogni forza impegnata è riuscire ad abbordare l’oppositore e combattere sul ponte nemico a colpi di spada fino a uccidere o gettare fuori bordo tutti gli avversari.


Il golfo di Lepanto diventa un grande campo di battaglia che, a sua volta, si frammenta in centinaia di piccoli scenari nei quali la sorte può essere diversa. Entrambe le parti incrociano fuoco di archibugi e di pistole, frecce, lance e perfino fuoco greco, la famosa bomba incendiaria inventata dai bizantini. Non si fanno prigionieri, salvo i capitani più importanti per i quali si può chiedere un riscatto.

Entrambe le parti incrociavano fuoco di archibugi, pistole e colpi di lancia e frecce

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Il momento della fanteria

Il corno sinistro cristiano, formato da cinquantatré galere e due galeazze, è vicino alla costa, ed è il primo a entrare in combattimento. Lì si trovano i veneziani comandati dall’ammiraglio Agostino Barbarigo, che morirà a causa di una freccia in un occhio. Nei primi momenti i cristiani si vedono parzialmente sopraffatti dai turchi, però, avendo ricevuto il supporto di qualche nave del centro e della retroguardia di Álvaro de Bazán di Santa Cruz, riescono a imporsi e obbligano il nemico a fuggire via terra dopo averne ucciso il comandante Scirocco. Il centro di don Giovanni d’Austria entra in combattimento in continuazione, iniziando uno scontro frontale con le navi di Alì Pascià e imponendo la sua potenza di fuoco e la sua fanteria, superiore a quella dei giannizzeri, la milizia di fanteria ottomana.

Il dipinto del XVI secolo raffigura lo scontro tra galere cristiane e ottomane a Lepanto. National Maritime Museum, Greenwich, Londra

Il dipinto del XVI secolo raffigura lo scontro tra galere cristiane e ottomane a Lepanto. National Maritime Museum, Greenwich, Londra

Foto: National Maritime Museum, London / Album

Il resoconto della carneficina

Solo il corno destro, comandato da Gian Andrea Doria, che si è allontanato in mare aperto, viene sopraffatto e travolto dal gruppo di Uccialì (un corsaro calabrese convertito all’islam), che riesce ad affondare e distruggere una serie di galere cristiane. A subire l'attacco c’è anche la Capitana, la nave dell’Ordine di Malta comandata dal priore dell’ordine Piero Giustiniani, il cui equipaggio viene quasi totalmente sterminato. Ma l’arrivo di rinforzi del centro e la retroguardia fa fuggire i turchi con ciò che rimane delle loro navi, portando via come bottino il vessillo dell'ordine dei Cavalieri strappato alla Capitana.

Andrea Doria. Ritratto opera di Sebastiano del Piombo. 1526 circa

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Alle quattro del pomeriggio, la battaglia giunge al termine. È il momento del saccheggio e gli equipaggi discutono sulla quantità di galere nemiche da rimorchiare. Il conteggio delle perdite nella Lega è terrificante: quindici galere affondate (una di loro catturata), 7.650 morti e 7.784 feriti. Anche tra gli ottomani sono state affondate quindici galere e altre 160 sono state catturate (le cifre esatte differiscono a seconda dei comandanti), nonostante alcune imbarcazioni siano in un tale cattivo stato che presto andranno a picco. Il numero preciso di morti non si conosce, ma si valuta intorno ai 30mila. Più esatta è la cifra dei prigionieri, circa ottomila, che diventeranno schiavi. Vengono inoltre liberati 12mila galeotti cristiani, tra i quali ci sono anche numerose donne.

Quando l’ammiraglio veneziano, il settantacinquenne Sebastiano Venier, tornò a Venezia, dopo essersi aperto il cammino tra la folla informò il doge, carica che avrebbe ricoperto di lì a pochi anni, in forma solenne: «Porto, Serenissimo Principe, la più nobile e ammirabile Vittoria. L’Armata turca, completamente vinta e sconfitta dai nostri. Pochissimi si salvarono. Siate contenti e gloria a voi».

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Per saperne di più

Lepanto: la battaglia dei tre imperi. Alessandro Barbero. Laterza, Bari, 2010.

La battaglia di Lepanto. Jack Beeching. Bompiani, Milano, 2000.

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