Genocidio degli armeni, la strage dimenticata di 109 anni fa che molti si ostinano a ricordare ogni 24 aprile - la Repubblica

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Genocidio degli armeni, la strage dimenticata di 109 anni fa che molti si ostinano a ricordare ogni 24 aprile

Genocidio degli armeni, la strage dimenticata di 109 anni fa che molti si ostinano a ricordare ogni 24 aprile

Camminare per commemorare i martiri dell Medz Yeghern, il Grande Male. Ricordando quella notte del 1915 quando i “Giovani Turchi” scatenarono il primo genocidio del XX secolo

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BEIRUT – Come ogni anno i 24 aprile gli armeni in tutto il mondo si ritrovano per camminare insieme, per commemorare i martiri dell Medz Yeghern, il Grande Male. Ricordano la notte del 1915 quando il governo dei “Giovani Turchi” scatenò il primo genocidio del XX secolo. A Beirut marceranno da Bourj Hammoud, il quartiere armeno della capitale sorto nel 1915 come campo profughi per accogliere i sopravvissuti alle “marce della morte”, al Catholicos, la sede principale della chiesa Armena Apostolica.

La testimonianza. “Camminiamo per ricordare i nostri nonni, quelli che sono stati massacrati e quelli che sono sopravvissuti, ma che hanno avuto la vita segnata dal genocidio”. A parlare è Marie Helene, nata in Libano, ma prima di tutto un’armena, nipote di chi aveva subito il Medz Yeghern. “Quando ero bambina spesso la notte ci svegliavano le urla di mia nonna. Per tutta la sua vita i ricordi di suo papà decapitato e della marcia a piedi nel deserto da Sis a Der el-Zor l’hanno accompagnata e si materializzavano nei suoi incubi notturni.”

Il Genocidio dimenticato. Il primo genocidio del XX secolo non è così lontano nella storia, è avvenuto alle porte dell’Europa e ha colpito una popolazione vicina all’occidente e cristiana. Nonostante questo, è ignorato o dimenticato dai più. Eppure, in quella tragedia furono sterminate quasi due milioni di persone e, ironia della storia, è da questo evento che nel diritto internazionale si codifica il reato di genocidio. Il giurista polacco Raphael Lemkin dedicò la sua vita allo studio dei crimini contro l’umanità, ponendo le basi per un’assunzione di responsabilità degli Stati, che ha portato all’istituzione del Tribunale Permanente dei Popoli. Lemkin, dopo aver conosciuto lo sterminio degli armeni e la ferocia perpetrata dai nazisti, coniò il termine genocidio, fatto proprio dall’Assemblea generale dell’ONU il 9 dicembre 1948.

In Turchia parlarne è un reato. Ad oggi, però, solo una trentina di Paesi hanno riconosciuto il genocidio armeno, e in Turchia parlarne è un reato. La strage delle élite e le marce della morte Nella notte tra il 23 e il 24 aprile 1915 iniziò lo sterminio degli armeni. Intellettuali, artisti, preti, banchieri e deputati furono prelevati dalle loro case, deportati verso l’Anatolia e massacrati lungo il tragitto. La maggioranza degli uomini, 350.000 solo tra quelli che erano militari dell’esercito turco, furono trucidati. Bambini, donne e anziani furono costretti alle “marce della morte” nel deserto, dall’Anatolia a Der el-Zoor, nell’attuale Siria. Partirono in un milione e mezzo, ma centinaia di migliaia morirono di fame, malattia e tortura. Altre centinaia di migliaia furono massacrate dalla milizia curda e dall’esercito turco in tutto il territorio dell’Impero Ottomano.

Alle origini del genocidio. Le ragioni che spinsero a questo massacro sono le stesse alla base di ogni genocidio. L’Impero Ottomano viveva la crisi che alla fine della Prima Guerra mondiale avrebbe portato alla sua dissoluzione. Al potere c’era la formazione dei “Giovani Turchi”, fazione estremista del partito “Unione e Progresso”. Il forte nazionalismo era il fondamento della loro politica e mal si conciliava con la presenza nell’Impero di minoranze, soprattutto quella armena, integrata ma non assimilata alla cultura e alla religione dominante. Inoltre, beni e terree confiscate rappresentavano un ghiotto bottino.

Ancora in fuga. Oggi gli armeni sono circa sei milioni, poco meno di tre vivono nella Repubblica Armena e il resto soprattutto in Medio Oriente, Francia, Stati Uniti e Africa Ma la storia di dolore del popolo armeno non sembra destinata a concludersi, come mostra la recente conquista del Nagorno-Karabakh da parte dell’Azerbaigian. Il Nagorno-Karabakh è una piccola enclave, 4.400 km2, abitata quasi esclusivamente da armeni, che a causa dei trattati di pace seguiti alle due guerre mondiali e alla dissoluzione dell’Unione Sovietica era rimasta in territorio azzero. Dal 1989 allo scorso anno i due Paesi si sono scontrati, a fasi alterne, anche militarmente, in una situazione di sostanziale equilibrio. A settembre 2023 l’Azerbaigian ha lanciato una nuova offensiva e, grazie agli armamenti venduti da Israele, in pochi giorni ha occupato l’enclave e 200.000 armeni hanno abbandonato le loro case e si sono rifugiati in Armenia.

Un’isola tra le montagne. “Da sempre siamo come un’isola tra le montagne”, dice Vasquen Krikorjian, giornalista armeno a Beirut. “Nel 301 DC gli armeni diventano cristiani e poi passano la loro intera storia in un mondo musulmano. A lungo abbiamo convissuto con i nostri vicini in pace e cooperando, come tessere di un mosaico ricco di cultura e diversità. Poi il genocidio e la fine di quel meraviglioso equilibrio. Oggi gli armeni fuggono dalla Siria, dal Nagorno-Karabakh e da Gerusalemme. Sono tessere di mosaico che vanno via, ma così cambia il quadro nel suo complesso e quello nuovo che appare mi sembra sempre più povero e violento”.

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