Se n’è sentito molto parlare nell’ultimo anno, da quando è uscito al cinema il nuovo film Warner Bros dedicato a lei, e in questi giorni ancora di più fra gli amanti dei fumetti, dal momento che il 21 ottobre ricorre il Wonder Woman Day. Eppure, la fama della prima super eroina indipendente dei comics non è legata solo a una moda passeggera, tant’è che per l’appunto esiste un giorno dell’anno dedicato a lei, in memoria di quel martedì d’autunno del 1941 in cui il personaggio fece il suo debutto nel magazine All Star Comics #8, ottenendo fin da subito un enorme successo e arrivando a vendere addirittura più copie del già affermato Superman. Il motivo è presto detto: Wonder Woman esce in un momento storico di grandi cambiamenti, in piena seconda guerra mondiale, e porta per la prima volta fra le tavole dei fumetti americani un’amazzone abituata per sua stessa natura a vivere senza uomini al suo fianco, a trovare il modo di essere autonoma e a gestire in totale indipendenza il suo rapporto con la sessualità, spesso anche in compagnia di altre donne.

Si tratta per l’epoca di una rappresentazione sorprendente e innovativa del genere femminile, che non ha eguali non solo nel suo ambito, ma spesso nemmeno in altri contesti della società occidentale, ancora fondata su una netta divisione dei ruoli e su una mentalità di stampo conservatrice. Il suo creatore è William Moulton Marston, un professore di Harvard con una laurea in legge e un dottorato in psicologia, che – come viene raccontato in un film scritto e diretto da Angela Robinson nel 2017, dal titolo Professor Marston and the Wonder Women – matura un’esperienza di ben venticinque anni nello studio delle emozioni umane, e che si trova a operare nel periodo della Belle Epoque e del positivismo, convinto quindi che la scienza potesse risolvere qualunque problema umano e migliorare passo dopo passo la qualità della vita. Le sue ricerche si concentrano a lungo sulla messa a punto di una macchina della verità e sull’approfondimento della cosiddetta teoria DISC, un modello per esaminare il comportamento dei singoli individui in una determinata situazione sociale. Contemporaneamente, specie dopo aver sposato una sua brillante studentessa di nome Elizabeth Holloway, che diventerà poi una ricercatrice in psicologia alla Boston University e una redattrice, Marston è un teorico del femminismo liberale e della seconda ondata femminista, che nel tempo libero si dedica ai fumetti e ne rivendica l’importanza sul piano educativo, comunicativo e culturale.

wonder woman combatte contro un gorillapinterest
ABC Photo Archives//Getty Images

Sono tutti questi elementi a spingerlo, nella seconda metà degli anni Trenta, a dedicarsi alla creazione di un supereroe capace di sconfiggere i suoi nemici grazie alla forza dell’amore – supereroe che poi si trasforma in una super eroina su consiglio di sua moglie. È proprio di Wonder Woman, per la quale alla fine Marston decide di ispirarsi proprio a Elizabeth e a Olive Byrne, con cui la coppia intrattiene a lungo una relazione aperta sotto lo stesso tetto. Il primo nome ufficiale del personaggio è Supreme The Wonder Woman, poi accorciato dall’editore Sheldon Mayer, e si configura come il primo di genere femminile ad avere un titolo e una storia a sé stanti – se escludiamo la breve parentesi della Donna in Rosso. La sua particolarità, quindi, è in primo luogo quella di non limitarsi a fare da clone a una controparte maschile già esistente, com’era successo nel caso di Supergirl o di Batgirl, e in secondo luogo quella di sensibilizzare sul tema delle rivendicazioni femministe tramite un mezzo popolare, utilizzando il suo lazo magico per costringere i suoi avversari a dire la verità – un po’ come accadeva con il macchinario studiato da Marston – e impegnandosi affinché l’amore abbia la meglio.

Alla morte del suo creatore, nel 1947, il suo fumetto subisce però alcuni stravolgimenti: Wonder Woman perde i suoi poteri e le sue connotazioni, ed è strumentalizzata per promuovere un’ideale di donna più remissiva e meno ribelle, inserita in una Wonder Family dai contorni stereotipati. È solo nel 1972 che Gloria Steinem le dà nuovo lustro dedicandole una copertina di Ms.Magazine, e rilanciandola con le sue caratteristiche originarie finché non spopola in tv grazie a Lynda Carter e diviene addirittura protagonista del Wonder Woman Museum fondato in Connecticut da Peter Marston, figlio del dottor William. Attualmente, perciò, rimane un modello di empowerment femminile unico nel suo genere, che dopo avere ispirato intere generazioni è ancora in grado di mantenere la sua freschezza, e di permettere grazie alla raccolta fondi organizzata nel New Jersey e nell’Oregon ogni 21 ottobre di destinare il ricavato alla prevenzione contro le violenze domestiche, riconfermandosi come un’eroina dalla forte vocazione sociale.