HOLDEN, William in "Enciclopedia del Cinema" - Treccani - Treccani

HOLDEN, William

Enciclopedia del Cinema (2003)

Holden, William

Luigi Guarnieri

Nome d'arte di William Franklin Beedle Jr, attore cinematografico statunitense, nato a O'Fallon (Illinois) il 17 aprile 1918 e morto a Santa Monica (California) il 16 novembre 1981. Interprete fra i più prestigiosi e classici del cinema hollywoodiano, nonostante fosse dotato di una bellezza perfetta per rappresentare il tipico giovane della provincia americana, riuscì con il tempo a svincolarsi da questo cliché per affrontare, sempre con grande professionalità, ruoli diversi, spesso complessi, passando dalla commedia romantica alle storie di guerra, dai film drammatici a quelli d'avventura. Nel 1954 ottenne l'Oscar come miglior attore protagonista per il film di Billy Wilder Stalag 17 (1953; Stalag 17 ‒ L'inferno dei vivi).

Di agiata famiglia borghese, figlio di un industriale chimico, fece studi regolari e si iscrisse al Pasadena Junior College. Scoperto da un talent scout della Paramount, H. giunse a Hollywood dove venne selezionato ‒ sebbene ancora giovane e inesperto ‒ per il ruolo del sensibile violinista Joe Bonaparte, che si trasforma in un pugile violento e spietato prima di ritrovare conforto nella musica, nel film melodrammatico Golden boy (1939; Passione ‒ Il ragazzo d'oro) di Rouben Mamoulian. Seguì la parte da protagonista in Our town (1940; La nostra città) di Sam Wood, dal dramma di Th. Wilder, che scrisse anche la sceneggiatura, in cui l'attore continuò a rappresentare lo stereotipo di prestante e simpatico ragazzo americano, replicato anche con il personaggio del giovane soldato al fronte di Dear Ruth (1947; Sessanta lettere d'amore), innocua commedia di William D. Russel. Subito dopo la guerra, alla quale aveva partecipato con i gradi di tenente, H. cominciò a incrinare questo cliché, sorprendendo il pubblico con la sua interpretazione dello squilibrato evaso omicida in The dark past (1948; All'alba non sarete vivi) di Rudolph Maté. Fu un losco uomo d'affari che finisce per sposare la sua segretaria nell'inconsistente commedia Miss Grant takes Richmond (1949; Segretaria tutto fare) di Lloyd Bacon. La vasta popolarità arrivò nel 1950 con il capolavoro di Billy Wilder, Sunset Boulevard (Viale del tramonto), al fianco della diva del muto Gloria Swanson, in cui H. recita il ruolo dell'ambiguo sceneggiatore Joe Gillis, inizialmente previsto per Montgomery Clift. Crudele e sardonica parabola sul cinismo hollywoodiano e personale prova di bravura dell'attore, che riuscì a dar vita al suo personaggio con grande sobrietà e asciutto umorismo, ottenendo così la prima nomination all'Oscar. L'anno successivo ebbe modo di doppiare il suo successo nella brillante commedia di George Cukor Born yesterday (Nata ieri), in cui è un giornalista che accetta la sfida di educare un'ingenua e ignorante ballerina (Judy Holliday), che finirà per innamorarsi di lui. Fu ancora una volta uno scettico giornalista in The turning point (1952; Furore sulla città) di William Dieterle, un architetto seduttore nella commedia, per l'epoca scandalosa, The Moon is blue (1953; La vergine sotto il tetto) di Otto Preminger, e il duro capitano Roper di Escape from Fort Bravo (1953; L'assedio delle sette frecce), western di John Sturges. Tornò a collaborare con Wilder in altri due lavori eccellenti: il satirico e sorprendente Stalag 17, nel quale fu il contraddittorio Sefton, prigioniero di un campo nazista sospettato di essere una spia (anche in questo caso la parte era stata scritta per Charlton Heston), e l'impareggiabile commedia sofisticata Sabrina (1954), in cui contende la deliziosa protagonista (Audrey Hepburn) al fratello maggiore (Humphrey Bogart). Negli anni successivi H. confermò la duttilità e la versatilità del suo talento continuando ad alternare fascino e coraggio, parti da commedia e da melodramma e ruoli epici da eroe di guerra. Fu l'onesto vicepresidente di un mobilificio in Executive suite (1954; La sete del potere) di Robert Wise; il pilota di caccia in The bridges at Toko-Ri (1954; I ponti di Toko-Ri) di Mark Robson; il corrispondente dalla Corea, innamorato di una dottoressa di Hong Kong, in Love is a many-splendored thing (1955; L'amore è una cosa meravigliosa) di Henry King; il seducente vagabondo che smaschera i vizi nascosti della classe media americana nel grande successo Picnic (1955) di Joshua Logan; ancora un pilota in Toward the unknown (1956; Soli nell'infinito) di Mervyn LeRoy e il prigioniero fuggiasco incaricato di far saltare un ponte in Birmania nel possente kolossal bellico The bridge on the river Kwai (1957; Il ponte sul fiume Kwai) di David Lean. Nel 1959, in un classico minore di John Ford, The horse soldiers (Soldati a cavallo), interpretò l'ufficiale medico pacifista che si oppone al colonnello nordista (John Wayne).Negli anni Sessanta la sua carriera andò incontro a un evidente declino e H. fu scritturato in produzioni mi-nori, fatta eccezione per The world of Suzie Wong (1960; Il mondo di Suzie Wong) di Richard Quine, The lion (1962; Il leone) di Jack Cardiff, Paris when it sizzles (1964; Insieme a Parigi) ancora di Quine ‒ divertente commedia in cui H. recita nuovamente, nel ruolo di uno sceneggiatore fallito, accanto ad Audrey Hepburn ‒ e Alvarez Kelly (1966) di Edward Dmytryk. Fu il regista Sam Peckinpah a rilanciarlo clamorosamente nel suo rutilante e innovativo The wild bunch (1969; Il mucchio selvaggio), in cui H. offrì una delle sue più incisive interpretazioni ‒ il sanguinario fuorilegge Pike Bishop ‒ nel più classico dei western revisionisti, epico e tragico, smitizzante e rivoluzionario. Il successo gli assicurò altri due ruoli in film western, anche se non all'altezza del precedente: il cowboy rapinatore di Wild rovers (1971; Uomini selvaggi) di Blake Edwards e l'ex ufficiale nordista di The revengers (1972; La feccia) di Daniel Mann. L'anno successivo tornò alla commedia interpretando con grande efficacia il personaggio di Frank Harmon, un uomo maturo che s'innamora di una giovane hippy, nel malinconico melodramma Breezy, diretto da Clint Eastwood. Dopo aver ottenuto un vasto successo di pubblico interpretando il ruolo del poliziotto Bumper Morgan nel film per la televisione The blue knight (1973), per il quale vinse l'Emmy Award, fu al fianco di Paul Newman e Steve McQueen nel cast all star dello spettacolare The towering inferno (1974; L'inferno di cristallo) di John Guillermin con il personaggio del costruttore del grattacielo. Nel 1977 H. ottenne una nomination all'Oscar per l'interpretazione del producer televisivo in Network (1976; Quinto potere) di Sidney Lumet, duro pamphlet contro l'onnipotenza dei media. Sempre più assorbito dai suoi interessi extracinematografici, tra i quali il Mount Kenya Safari Club ‒ di cui era comproprietario e dove soggiornava a lungo ‒ e l'attività di animalista a favore delle specie in pericolo, H. tornò a segnalarsi come protagonista nella parte del produttore Barry Detweiler di Fedora (1978), complesso e affascinante progetto sul cinema di quello stesso Wilder ‒ ormai settantenne ‒ che lo aveva consacrato in Sunset Boulevard. Il suo ultimo film fu S.O.B. (1981), strepitosa e scatenata farsa antihollywoodiana diretta da Edwards.

Bibliografia

L.J. Quirk, The films of William Holden, Secaucus (NJ) 1973; J. Parish, D. Stanke, The all Americans, New York 1977; B. Thomas, Golden boy: the untold story of William Holden, New York 1983.

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