Vlad l’Impalatore, l'uomo dietro Dracula

Vlad l’Impalatore, l'uomo dietro Dracula

Principe di Valacchia nel XV secolo, la spropositata crudeltà esibita durante il suo governo fece strada a una leggenda diabolica, che divenne letteratura per mano di Bram Stoker

Verso la fine del XIX secolo lo scrittore irlandese Bram Stoker scrisse un romanzo dell’orrore legato alle leggende centroeuropee sui vampiri e i non-morti che già avevano ispirato altri suoi contemporanei, come John Polidori, il medico e compagno di viaggio di lord Byron. Indagando questo tipo di storie, Stoker venne a sapere dell’esistenza di un principe rumeno di nome Vlad Drăculea, vissuto nel XV secolo e divenuto celebre, tra l’altro, per la sua crudeltà.

Ritratto di Vlad III, 1560 circa, copia di un originale realizzato durante la sua vita (Innsbruck, Castello di Ambras)

Ritratto di Vlad III, 1560 circa, copia di un originale realizzato durante la sua vita (Innsbruck, Castello di Ambras)

Foto: Pubblico dominio

La fortuna del patronimico Dracula si deve in realtà a un fraintendimento. Suo padre, il principe o voivoda Vlad II di Valacchia, nel 1428 era entrato a far parte dell’ordine del Drago (drac, in ungaro), fondato dall’imperatore Sigismondo di Lussemburgo. Per questo da allora fu conosciuto come Vlad Dracul, mentre suo figlio fu detto Vlad Draculea, ovvero “figlio di Dracul”. Tuttavia, nella mitologia rumena la figura del drago non esisteva e il termine dracul designava il diavolo: per questo in rumeno Vlad II divenne “il figlio del diavolo”.

Il soprannome confermava la leggenda sulla crudeltà e l’animo sanguinario di Vlad, già riportata da cronache dell’epoca. In esse figurava come un principe appassionato di torture e morti lente, che per cena beveva il sangue delle sue vittime o v’inzuppava il pane. Si calcola che nei tre periodi in cui governò, per un totale di appena sette anni, mise a morte 100mila persone, nella maggior parte dei casi per impalamento. Per questo motivo dal XVI secolo fu noto come Vlad Țepeș, Vlad l’Impalatore.

In sette anni mise a morte 100mila persone, nella maggior parte dei casi per impalamento

Storia dei Balcani

Per comprendere la sua fama bisogna conoscere il contesto dei Balcani verso la metà del XV secolo. All’epoca l’impero ottomano era in piena fase espansiva nel sudest d’Europa: la Grecia fu sottomessa intorno al 1360, la Serbia dal 1389 e la Bulgaria nel 1396. Agli ottomani si opponevano il regno di Ungheria e i principati in cui era divisa l’attuale Romania: Valacchia e Moldavia, oltre alla Transilvania, territorio autonomo appartenente all’Ungheria.

Vlad Țepeș assalta il campo del sultano. Quadro di Theodor Aman

Vlad Țepeș assalta il campo del sultano. Quadro di Theodor Aman

Foto: Pubblico dominio

Le guerre di frontiera divennero costanti: guerre di straordinaria violenza, in cui le esecuzioni e le rappresaglie di massa erano all’ordine del giorno. Vlad di Valacchia era figlio di questo ambiente, e la sua vita fu una continua lotta per la sopravvivenza e il potere.

Un principe di frontiera

Secondo la maggior parte degli autori, il principe Vlad di Valacchia nacque a Sighișoara (Transilvania) nel 1431, uno dei tre figli legittimi di Vlad II, voivoda (governatore) di Valacchia. Ad appena tredici anni fu mandato alla corte ottomana insieme al fratello Radu, come ostaggio o garanzia di sottomissione. Vlad II, infatti, aveva stabilito con i turchi un’alleanza che gli costò l’amicizia del reggente di Ungheria, János Hunyadi, di origine valacca. Nel 1447 questi organizzò un’offensiva contro Vlad con il sostegno dei boiardi valacchi, nobili filoungari. Il risultato fu la morte del voivoda e del figlio Mircea.

Irritato per la perdita del suo alleato in Valacchia, il sultano ottomano Murad dichiarò suo figlio Vlad Draculea pretendente al trono. L’anno seguente lanciò le sue truppe contro Hunyadi, sconfiggendolo in Kosovo. Vlad ne approfittò per impadronirsi del trono di Valacchia, ma il suo primo periodo di governo durò poco, perché quello stesso anno, il 1448, fu cacciato da Hunyadi.

Vlad Țepeș in un affresco del Castello Esterházy (XVII secolo)

Vlad Țepeș in un affresco del Castello Esterházy (XVII secolo)

Foto: Pubblico dominio

Inizialmente Vlad si rifugiò alla corte del sultano ottomano, con la speranza che lo aiutasse a tornare in Valacchia. Tuttavia, defraudato delle proprie ambizioni, nel 1449 partì per la Moldavia, dove aveva dei parenti. Negli anni successivi intervenne nelle guerre intestine moldave, finché nel 1451 andò in Transilvania. Risiedendo nelle città tedesche del Paese, come Kronstadt, cercò di raccogliere appoggi per recuperare il trono di Valacchia. L’opportunità si presentò dopo la conquista di Costantinopoli da parte di Maometto II nel 1453. Vedendo la minaccia pressante degli ottomani sull’Ungheria, Hunyadi si mise in cerca di alleati per uno scontro diretto con i turchi. Il nobile che all’epoca era sul trono valacco si mostrava sempre più filoturco, e Hunyadi pensò di sostituirlo richiamando Vlad. Questi mise da parte ogni rancore per la morte dei famigliari e si lanciò in combattimento.

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Fu così che nel 1456 riuscì a recuperare il dominio sulla Valacchia. Iniziò allora la sua fase di governo più lunga, fino al 1462, che gli garantì la fama sinistra di cui godette presso i contemporanei tanto quanto i posteri. Questa fama è legata soprattutto ai metodi che impiegò in guerra. Da quando nel 1460 rifiutò di pagare tributo ai turchi, lo scontro armato divenne inevitabile, assumendo le tinte di una crociata, brutale e sanguinaria come quelle svoltesi in Terra santa nei secoli precedenti.

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I metodi di un crociato

La campagna del 1462 offre un esempio dei suoi metodi. In risposta a un’offensiva turca, Vlad attraversò il Danubio per saccheggiare il Paese bulgaro, che allora faceva parte dell’impero ottomano. Al termine della campagna inviò al re ungherese Mattia Corvino due sacchi pieni di orecchie, nasi e teste mozzate, accompagnati da una lettera che diceva: «Ho ucciso contadini, donne, vecchi e giovani che vivevano a Oblucitza e Novoselo, dove il Danubio sfocia nel mare, fino a Rahova, che si trova vicino a Chilia, dal basso Danubio fino a luoghi come Samovit e Ghighen. Abbiamo ucciso 23.884 turchi e bulgari, senza contare quelli che sono stati bruciati vivi nelle loro case o quelli le cui teste sono state tagliate dai nostri ufficiali… Finiremo insieme ciò che insieme abbiamo iniziato, e trarremo beneficio da questa situazione, giacché, se Dio Onnipotente ascolta le preghiere e le orazioni della cristianità, se accoglie le suppliche dei suoi pii servitori, ci concederà la vittoria sugli infedeli, nemici della Croce». Insomma, Vlad si vedeva come un crociato.

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Allo stesso tempo, il voivoda applicò le medesime tattiche violente contro i propri sudditi, al fine di rafforzare la propria autorità. Non gli mancavano i motivi per temere per la propria posizione. La nobiltà boiarda aveva defezionato, rifiutandosi di partecipare alla guerra contro i turchi. I coloni tedeschi, per parte loro, diedero il via a diverse rivolte. In tutta risposta, come braccio armato della giustizia, il voivoda la impose crudelmente, castigando duramente i traditori e soffocando le ribellioni. Le sadiche esecuzioni delle sue vittime avevano un valore esemplare, e contribuivano a imporre l’ordine. Per lui la paura era il mezzo per ottenere obbedienza.

Il dipinto di Theodor Aman mostra Vlad III mentre riceve gli ambasciatori turchi

Il dipinto di Theodor Aman mostra Vlad III mentre riceve gli ambasciatori turchi

Foto: Pubblico dominio

La sua severità diede adito a storie come quella della coppa d’oro che lasciò davanti alla sua residenza a Tirgoviste perché i viaggiatori potessero dissetarvisi: tale era la paura ispirata dal governatore che nessuno osò mai rubarla. Ma il castigo associato alla figura di Vlad è naturalmente l’impalamento. Non fu una sua invenzione: la sua storia risale per lo meno all’antica Assiria e sarebbe stato utilizzato a lungo.

In ogni caso, le fonti riportano che Vlad poteva toccare le vette del macabro, prolungando l’agonia dei condannati e usando i corpi degli impalati come terrificante monito. L’esempio più noto è il cosiddetto bosco degli Impalati, un luogo in cui si dice che Vlad fece tagliare tutti gli alberi per impalare più di 20mila prigionieri. Il cronista Calcondila sostiene che quando Maometto II lo visitò nel 1461 se ne ritrasse terrorizzato, pur elogiando un principe che si dimostrava esperto nell’arte di governare attraverso il terrore.

Il bosco degli Impalati è un luogo in cui si dice che Vlad fece tagliare tutti gli alberi per impalare più di 20mila prigionieri

Fino a che punto sono affidabili i racconti sulla crudeltà di Vlad? Senza dubbio alcuni di essi sono tendenziosi, come le cronache tedesche, derivanti dalle testimonianze dei coloni germani di Transilvania osteggiati dal voivoda. Altre cronache invece, lungi dal censurare il sanguinario principe, lodano i suoi metodi implacabili: è il caso delle fonti russe. Nell’epoca e nel luogo in cui visse Vlad, la sua crudeltà non fu affatto eccezionale, anche se furono in pochi a spingersi a tal punto con le tattiche del terrore.

Vlad Țepeș banchetta accanto ai condannati al palo in un incunabolo del tardo XV secolo edito a Strasburgo

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Foto: Pubblico dominio

Nel 1462 Vlad fu sconfitto dai turchi. Trascorse dodici anni prigioniero in Ungheria, finché nel 1476 recuperò il ruolo di erede al trono di Valacchia. La sua terza tappa da voivoda si concluse quando fu abbattuto da un’imboscata turca. La sua testa fu esposta a Costantinopoli e il corpo seppellito nel monastero del lago Snagov.

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