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Il pensiero politico di Vittorio Alfieri

Il rapporto di Alfieri con la politica è inscindibile dalle sue letture illuministiche nel periodo giovanile. Tuttavia egli tende a elaborare posizioni fortemente distanti per alcuni versi, maggiormente vicine per altri. Inoltre bisogna dimenticare l’ambiente socio culturale in cui Alfieri cresce : quello della nobiltà del Piemonte dei Savoia, particolarmente legata ai propri doveri verso la casa reale.

Probabilmente è proprio questo ambiente così chiuso in sé stesso a far nascere in lui un profondo disprezzo per qualsiasi forma di autoritarismo e tirannide, nel tentativo di evadere da questo mondo così opprimente. Alfieri riconosce come la società di ancien regime dove lui stesso vive, basata su schemi superati, fosse prossima al collasso, ma non riesce a vedere nella borghesia la forza motrice di questo cambiamento, perché troppo legata agli interessi economici. Questo nuovo potere borghese che va via via affermandosi non è di certo migliore dell’assolutismo monarchico che Alfieri aveva potuto osservare nel corso dei suoi viaggi, tanto che una volta raggiunta la vecchiaia incomincerà a provare un vero e proprio sentimento di nostalgia verso la società dell’ancient regime.

Quello che Alfieri esprime è un profondo disprezzo in generale per il concetto di potere, indipendentemente da quale forma assuma, tanto da non proporre nessuna forma di miglioramento del sistema politico. Quella di cui lui compie l’elogio è la libertà intesa come principio guida, non una forma particolare di libertà che può essere quella di espressione o di stampa. Tale principio di libertà è in realtà implicitamente raggiungibile dal nobile, quale “superuomo”, poiché slegato da qualsivoglia interesse materiale. Egli stesso si direbbe pronto a imbracciare le armi in caso di necessità, preferendo tuttavia la scrittura: famosa è infatti la sua massima secondo cui “Il dire altamente cose, è un farle in gran parte.”