"V for Vendetta": l'invenzione di una maschera - Fumettologica

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RecensioniClassic"V for Vendetta": l'invenzione di una maschera

“V for Vendetta”: l’invenzione di una maschera

v for vendetta fumetto alan moore

Oggi probabilmente più noto per la trasposizione cinematografica del 2005 e ancor di più per aver dato – o meglio, tolto – il volto ai partecipanti di alcuni gruppi antagonisti, V for Vendetta di Alan Moore e David Lloyd compie 40 anni, mostrando ancora, pur tra qualche acciacco, tutta la forza della sua originale matrice anarchica.

V for Vendetta, in breve

La trama del fumetto non è facile da riassumere. A seguito di una guerra nucleare globale, il Regno Unito – che pur non è stato toccato direttamente dal conflitto, ma sta affrontando una fase di pesante recessione e di  carestia – è caduto sotto il controllo di un regime fascista autoritario. In questo contesto si apre l’azione. Siamo a Londra, è il 5 novembre 1997, quindici anni nel futuro, rispetto alla prima pubblicazione del fumetto: è la notte di Guy Fawkes. La sedicenne Evey sta provando ad adescare degli uomini, i quali si riveleranno essere  membri della polizia segreta, che provano a violentarla. Evey viene salvata però da V, un giustiziere mascherato come Fawkes, il quale la porta nel proprio rifugio.

Comincia così la lotta tra le forze governative e V, il quale inizia ad avvalersi anche della collaborazione di Evey. Gli assassinii vengono compiuti da V attraverso modalità molto elaborate e chiaramente venate dall’idea del contrappasso dantesco. Durante una vendetta individuale di Evey quest’ultima viene rapita e tenuta segretata in una angusta prigione, nella quale trova una lettera scritta da Valerie Page, attrice uccisa dal governo fascista perché lesbica.

david lloyd

Evey è sottoposta a incessanti interrogatori e torture e infine, quando si rifiuta di collaborare anche sotto la minaccia di essere uccisa, viene liberata, scoprendo che la prigionia era solo un’impostura messa in atto da V. Il protagonista, infatti, si rivelerà essere un ex prigioniero del campo di Larkhill, intenzionato a far rivivere alla sua giovane allieva la propria tragica esperienza. 

A seguito di altri scontri e intrighi, V sarà ferito a morte (pronunciando la famosa frase «Dietro questa maschera c’è più che sola carne. Dietro questa maschera c’è un’idea… e le idee sono a prova di proiettile») e finirà per morire tra le braccia di Evey, che rinuncerà a smascherarlo per prendere invece il suo posto, concludendo la vendetta del proprio mentore con la distruzione del numero 10 di Downing Street.

Alan Moore, David Lloyd e Guy Fawkes

La genesi di V for Vendetta fu articolata, fatta di aggiustamenti successivi, frutto sia di necessità editoriali che della collaborazione paritaria tra i due autori coinvolti, lo sceneggiatore Alan Moore e il disegnatore David Lloyd, il quale ebbe l’idea di far vestire il loro vendicatore come Guy Fawkes: senza questa intuizione V for Vendetta avrebbe perso gran parte della propria carica iconica. 

Il progetto impiegò per lo meno un paio d’anni a diventare quello che è riconosciuto oggi come uno delle opere a fumetti più importanti – anche se forse non più influenti – del secolo scorso. Si evolse da un noir con sfumature da racconto di cappa e spada ambientato negli anni Trenta (idea rifiutata da Lloyd che non voleva impegnarsi nelle ricerche necessarie a una credibile ricostruzione storica) a una riflessione sul potere, sul fascismo e sull’anarchismo, ambientata in un futuro prossimo. 

v for vendetta fumetto alan moore

Il pastiche culturale e citazionista da cui V for Vendetta emerge è complesso e articolato (per una lista degli spunti che Moore voleva inserire nell’opera si veda il suo articolo Behind the Painted Smile) ma il richiamo più evidente è quello al governo di Margaret Thatcher, all’epoca al suo secondo mandato come primo ministro. Moore aveva fallacemente previsto la non rielezione della leader conservatrice nel 1983 e, a seguito di tale previsione, per giustificare l’insediamento di un governo apertamente fascista nel Regno Unito, era stato costretto a inventarsi un conflitto nucleare.

Peccato che, grazie al ‘successo’ riportato nella guerra delle Falkland, il governo conservatore aveva riacquisito consensi, tanto che la Thatcher sarebbe restata al suo posto fino al 1990. Una profezia non avveratasi aveva portato però a una interessante lettura – anche se forse ancora una volta non particolarmente preveggente – dei rischi legati alla presa di potere da parte di un governo autoritario.

Creare il mito

Eppure V for Vendetta non fu una satira dell’autoritarismo come Judge Dredd o una storia di ribellione eroica contro il potere come Give Me Liberty di Frank Miller e Dave Gibbons, tanto per citare un paio di opere quasi coeve che mostrarono qualche capacità profetica. L’opera di Moore e Lloyd fu invece un’articolata e volutamente ambigua riflessione sul concetto di anarchia, sul potere delle azioni e su quello delle idee. Ma quello che ha più inciso sul nostro immaginario in questi 40 anni (o forse 400) – vivendo anche in maniera autonoma rispetto all’opera originaria – è stata la maschera, il non volto o il volto collettivo indossato dal protagonista di V for Vendetta.

La maschera è un dispositivo che permette sì di nascondersi, ma anche di costruire una continuità, di rimandare ad altro (come ad esempio nel caso di quelle rituali o cerimoniali) di ‘annullare’  l’identità individuale di chi l’indossa. In questo senso l’idea non è nuova neanche per quel che riguarda il mondo dei fumetti. Molti supereroi indossano delle maschere, che servono a nascondere la loro identità per motivi pratici, ma tali maschere sono fortemente individualizzanti, degli stendardi: la maschera di Spider-Man è Spider-Man, insomma. 

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The Phantom, il (forse ormai non più) celebre eroe di carta creato da Lee Falk, invece raggiunge la fama di immortale facendo indossare sempre lo stesso costume a persone diverse attraverso i decenni: è la maschera a identificare l’eroe, a creare il mito. Contrariamente, l’elmetto di Judge Dredd – un altro eroe senza un volto proprio – rappresenta una giustizia senza una precisa fisionomia, che identifica il  giudice che lo indossa come una parte del meccanismo, un ingranaggio a cui non serve né individualità né riconoscibilità e a cui non è possibile appellarsi. La maschera disincarna, deresponsabilizza, oltre a celare, cosa che fa comunque molto bene.

La maschera di V

Quella di Guy Fawkes di V rappresenta però anche un volto, pur se grottescamente stilizzato. Un volto che nasconde ma che è destinato – così nella finzione del fumetto come, successivamente, nella vita vera – a essere quello di molti, assumendo il ruolo di bandiera: chi indossa quella maschera non solo – e non necessariamente – nasconde la propria identità, ma la dissolve all’interno di un concetto, di un’ideologia più grande, che non è più individuale. 

Quella di V è inoltre una maschera che sorride. Probabilmente riferendosi alla canzone del 1967 dei The Isley Brothers, Moore intitolò il suo articolo sulla creazione del fumetto Behind A Painted Smile. Il sorriso di V e di Fawkes aggiunge un ulteriore elemento di ambiguità e di disturbo al personaggio perché è, al contempo, una seconda maschera insondabile («You can’t imagine the tears and sorrow behind a painted smile») e una promessa mancata di felicità, così come i sorrisi del Joker e del Comico di Watchmen. Una divisa, un’uniforme da battaglia, quindi, che non ha bisogno di mostrare zanne o espressioni spaventose per atterrire il proprio nemico. 

v for vendetta fumetto alan moore

V è sia l’estremizzazione della figura del supereroe – un cliché che né Moore né Lloyd volevano ricalcare – sia la sua negazione. Lo sceneggiatore si mosse bene all’interno di queste due apparentemente disgiunte polarità, consapevole di come i vendicatori fossero capaci di esercitare un’enorme fascinazione sul pubblico cui si rivolgeva. Se Batman, o altri eroi o antieroi non allineati della sua specie, giustizieri per dirla con una parola, combattevano contro per ristabilire l’‘ordine’ nel contesto di uno scenario in cui anche il potere è corrotto, V rifiutava il concetto stesso di autorità. 

Per altri versi V è l’Edmond Dàntes dei personaggi a fumetti, con il quale però non condivide la linearità. Se infatti, secondo Gramsci, Il Conte di Montecristo «è forse il più “oppiaceo” dei romanzi popolari: quale uomo del popolo non crede di aver subito un’ingiustizia dai potenti e non fantastica sulla “punizione” da infliggere loro?», V for Vendetta non offre un modello certo, una barra dritta. Per ammissione dello stesso Moore, infatti, V è un personaggio estremo, un assassino, che lo sceneggiatore, dopo averlo mandato in giro allegramente ad assassinare i propri nemici, ha reso, da un certo punto in poi «molto, molto moralmente ambiguo». 

Insomma, V non è solo sia Batman che la sua nemesi, il Joker, ma è anche quanto del Joker c’è in Batman e viceversa: la prima compiuta riflessione dell’autore britannico sul ‘farsi giustizia da sé’ ma anche su cosa sia la giustizia. Meditazioni come queste, sul mascheramento e sulle motivazioni che lo giustificano, specificatamente in ambito supereroico sarebbero state inoltre approfondite e ampliate da Moore in alcune sue opere successive tra cui, naturalmente, Watchmen e The Killing Joke.

V for Vendetta: un gioco di immaginari e di rimandi

Continuiamo però il gioco di rimandi che riguardano il ‘volto’ di V: Guy Fawkes è la maschera di una maschera di una maschera. Infatti il termine ‘guy’ (traducibile come ‘tizio’, ‘ragazzo’, ‘compagno’ eccetera.), introdotto nella lingua inglese proprio dopo la notte del 5 novembre, prese il proprio significato dalle effigi bruciate per ricordare il fallito attentato da parte di Fawkes e aveva l’originale significato di persona dall’aspetto grottesco, uno ‘spavento’. Anche il nome stesso del protagonista, V, contiene un ribaltamento, un mascheramento, declinando in vendetta il famoso ‘V for Victory’ di Winston Churchill.

Insomma, chi indossa la maschera di Fawkes creata da Lloyd e ridisegnata per il film perde la propria identità e diventa un ‘guy’, o un Guy, un tizio, un contenitore. Se in film come Il tocco del male o La cosa (o molte altre opere) l’elemento terrorizzante derivava dal fatto che la presenza di turno poteva prendere le fattezze di chiunque, qui accade il contrario: chiunque può essere V. E se chiunque può essere V, cioè se è impossibile identificare gli oppositori perché, usando una stantia analogia, le idee si trasmettono come virus, il potere ha automaticamente perso.

Questa almeno sembrava essere l’ottimistica speranza del giovane sceneggiatore britannico, in parte tradita dalla Storia. Il sospetto è che le maschere, in un senso più ampio di semplice mascheramento ma anche di ‘personaggio’ (che deriva da ‘persona’, che sua a volta deriva da ‘maschera’), siano sempre meno capaci di ritagliarsi un posto importante e soprattutto duraturo all’interno del nostro immaginario. La maschera di V è forse uno degli ultimi esempi, insieme a Harry Potter e a pochi altri ‘personaggi’ d’invenzione, capaci di creare una mitologia duratura e non solo legata al successo transitorio di un personaggio. 

Il fatto che molte delle ‘maschere’  o dei volti che ancora oggi hanno cittadinanza nel nostro immaginario risalgano, al più tardi, agli anni Ottanta, dovrebbe farci riflettere sulle capacità della nostra produzione di cultura popolare di incidere in maniera perdurante sul nostro immaginario. Inoltre quella di Fawkes, o di V, è una maschera che è sopravvissuta sia al proprio personaggio, sia alle opere (fumetto e film) che l’hanno portata alla ribalta (soprattutto il film) e anche alle intenzioni dei propri autori. Cosa, quest’ultima, che a un personaggio come Moore, particolarmente attento al controllo sulle proprie opere ma anche capace di grandi riletture di opere altrui, non è dato sapere se possa piacere o meno.

Un’idea potente, ma in parte disinnescata

L’autore si è però espresso almeno su un caso specifico, commentando, nel 2008, una manifestazione contro Scientology in cui i manifestanti indossavano la maschera di V: «Questo mi ha fatto piacere. Questo mi ha dato un piccolo bagliore caldo». Un bagliore dovuto, presumibilmente, all’avversione di Moore nei confronti della chiesa statunitense.

Eppure, al di là delle simpatie dell’autore, la maschera di Guy Fawkes è diventata una maschera per tutte le occasioni, totalmente disinnescata dal trovarsi confusa tra movimenti tra loro diversissimi e spesso ideologicamente se non proprio fisicamente opposti: No-Vax, Qanon, Gilets Jaunes, Project Chanology, diversi gruppi anti-governativi in giro per il mondo e altri. Probabilmente non perderei scommettendo che molti fra coloro che la indossano non sappiano minimamente da dove proviene quel raggelante sorriso, e forse è proprio questo ad averla resa così diffusa e popolare. 

Insomma, la maschera di V, nella sua ambiguità e ormai astoricità, è quello che resta maggiormente impresso nel nostro immaginario, al di là di un bel fumetto (pur senza una grande capacità predittive) e che prendeva le sue idee migliori – per quanto riguarda l’ambientazione, almeno – dal milieu culturale distopico di quegli anni. Ciò non deve stupire: è stato nel tratteggiare il personaggio – o maschera – di V che Moore e Lloyd hanno ottenuto il loro più grande risultato. Hanno preso un vendicatore da feuilleton, lo hanno immerso nelle derivazioni fumettistiche di quest’ultimo topos (da Fantomas a Batman, per intenderci) per intenderci, e hanno continuato a stratificarlo  oltre i modelli di origine, svelandone le limitazioni, le ambivalenze e le plurivocità.  

Non solo la storia di un uomo contro il mondo – ovvero un giustiziere – ma la storia di un uomo piegato dal mondo che cerca di imporre, attraverso la violenza da una parte, e la persuasione (anche se sarebbe più corretto parlare di indottrinamento e reclutamento) dall’altra, il proprio punto di vista e che quando si trova ormai quasi sconfitto si trasforma in un’idea. Un’idea dietro una maschera.

Leggi anche: La più grande bugia che Alan Moore mi abbia mai raccontato

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