Titanic, la storia vera della nave affondata 110 anni fa - la Repubblica

Cronaca

L'anniversario
L'odissea del Titanic, la vera storia della nave affondata 110 anni fa

L'odissea del Titanic, la vera storia della nave affondata 110 anni fa

La notte del 14 aprile 1912 l'impatto con un iceberg in mezzo all'Atlantico: 2.224 passeggeri, ne sono sopravvissuti 710

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"E con il ghiaccio dentro al bicchiere, faremo un brindisi tintinnante...". La sera del 14 aprile 1912 al ristorante di prima classe del Titanic era stata servita una cena di dieci portate, dalle ostriche fino al gelato. Ma non era quello sulla tavola l'unico ghiaccio con il quale i passeggeri avrebbero dovuto avere a che fare quella notte. Fuori il cielo era limpido e freddo, il mare piatto come una lastra di vetro.

La nave più grande e lussuosa del mondo avanzava a gran velocità - 22 nodi - verso la sua destinazione finale. Che non era, come tutti credevano, il molo 54 del porto di New York, bensì un iceberg in mezzo all'Atlantico, 600 chilometri a est di Terranova. L'impatto avvenne alle 23.40. Due ore e 40 minuti più tardi il transatlantico si inabissò nell'oceano. 160 minuti per una delle più grandi tragedie della storia navale, che dopo 110 anni continua ad appassionare.

Chi c'era a bordo

Sul Titanic, nel suo viaggio inaugurale da Southampton alla Grande Mela, erano imbarcate 2.224 persone, tra passeggeri e membri dell'equipaggio. Ne sopravvivranno 710. Com'è noto, a bordo il rispetto della gerarchia sociale era rigidamente garantito, con la prima classe a occupare la parte superiore della nave, un po' come in una Downton Abbey galleggiante (non a caso la serie tv si apre proprio con la notizia dell'affondamento del Titanic).

In prima classe viaggiava la crème dell'alta società. C'erano alcuni degli uomini più ricchi del mondo: John Jacob Astor con la giovanissima moglie; il magnate Benjamin Guggenheim (il papà di Peggy) con l'amante Léontine Aubart, il proprietario del grande magazzino Macy's Isidor Straus con la consorte Ida. Poi, la milionaria e filantropa Molly Brown (amica degli Astor), che nell'occasione si guadagnò il soprannome di "inaffondabile". Non mancava una rappresentanza dell'aristocrazia british, tra cui si distinse la contessa di Rothes, che si mise al timone della sua scialuppa. A bordo c'erano anche il progettista della nave, Thomas Andrews, e l'amministratore della White Star Line, J. Bruce Ismay. E c'era pure almeno una coppia gay: Archibald Butt, consigliere militare della Casa Bianca, con l'"amico" e convivente, il pittore Francis Davis Millet. Al ceto medio erano destinati gli alloggi di seconda classe, mentre in terza viaggiavano perlopiù gli emigranti, di varie nazionalità ma soprattutto dalle isole britanniche e dalla scandinavia.

 

Gli italiani

Non erano molti i nostri connazionali a bordo. Appena 11 i passeggeri, dei quali solo due viaggiavano in prima classe, come domestici. Si salvarono in cinque. C'erano poi una trentina di italiani - in gran parte ragazzi intorno ai vent'anni - che lavoravano nel lussuosissimo ristorante À la Carte - per quei passeggeri che non si accontentavano del normale servizio di prima classe - gestito dal pavese Luigi Gatti, anche lui presente per il viaggio inaugurale. Morirono tutti: secondo diversi testimoni, furono rinchiusi nei loro alloggi dagli assistenti di bordo.

 

Quella notte non c'era la Luna

Contrariamente a quanto cantava De Gregori, quella notte non c'era la Luna. Il che significa che - stelle a parte - il Titanic navigava nel buio pesto e sarebbe stato molto difficile avvistare il pericolo con sufficiente anticipo. Diversi allarmi iceberg erano stati diramati quel giorno, ma non furono presi molto seriamente, per lo stesso motivo per il quale la nave non era provvista di scialuppe sufficienti (20 in tutto): il naufragio non era considerato una possibilità. Lo stesso comandante Smith aveva chiarito che non immaginava "alcuna condizione che avrebbe potuto causare l'affondamento di una nave. La cantieristica moderna è andata oltre". Tra l'altro, i marconisti - che erano dipendenti del Nobel italiano e non della compagnia di navigazione - erano impegnati a trasmettere i messaggi privati dei passeggeri e trascurarono sistematicamente gli allarmi meteo. L'ultimo, verso le 23, arrivò dal mercantile Californian: enorme campo di iceberg sulla rotta. Com'è noto, una volta avvistata la montagna di ghiaccio, non si riuscì a virare in tempo.

Iceberg right ahead!!!

L'urto con l'iceberg apri una serie di falle lungo un fianco dello scafo. L'acqua iniziò a fluire in 6 dei 16 compartimenti stagni. Ma la nave era progettata per restare a galla con al massimo 4 compartimenti allagati. Secondo vari esperti, se il Titanic avesse colpito l'iceberg di prua, invece di tentare di scansarlo, probabilmente sarebbe riuscito ad arrivare a New York.

È persino superfluo ricordare il destino che attendeva i passeggeri del Titanic: le scialuppe potevano accogliere al massimo la metà delle persone a bordo, e per di più molte barche furono calate mezze vuote. Con i loro giubbotti salvagente addosso, centinaia di persone finirono nelle acque gelide dell'Atlantico. E morirono assiderate in pochi minuti. Alla fine solo una quarantina di persone furono ripescate vive. La prima nave a giungere in soccorso fu il Carpathia, verso le 4 del mattino, ma ormai era tardi. Il mercantile Californian, ben più vicino, fu l'unico a scorgere i razzi di segnalazione del Titanic ma il comandante non intervenne, cosa che portò anche a un'inchiesta dopo il disastro.

Eroi e vigliacchi

Come ogni dramma collettivo che si rispetti, nelle tragiche ore del naufragio i passeggeri rivelarono le loro autentiche qualità umane: l'eroismo  o la codardia. Il poco desiderabile "scettro" di vigliacco numero uno spettò all'amministratore della compagnia di navigazione Ismay, che non colò a picco con la sua nave ma saltò su una delle ultime scialuppe. E pagò quel gesto con la sua reputazione. Diversamente si comportarono il comandante e il progettista, entrambi scomparsi nell'oceano. D'altronde la legge del mare era chiara: prima le donne e i bambini. Ci furono ufficiali che la seguirono con più rigore di altri. Il più duro fu Charles Lightoller, che non permise a nessun uomo di salire sulle scialuppe, ad esclusione dei pochi che servivano per vogare. Non voleva far salire nemmeno John Ryerson, poco più di un bambino. Ma il padre lo spinse sulla scialuppa: "Certo che questo ragazzo va con la madre, ha solo 13 anni".

Comunque, purtroppo, a salvarsi furono soprattutto donne e bambini di prima classe. Diversi sopravvissuti raccontarono che gli assistenti di bordo avevano bloccato le uscite di molti alloggi di terza classe, impedendo alle persone di uscire sul ponte.

Una serie di aneddoti sono scolpiti nel mito. Da Benjamin Guggenheim, che andò a cambiarsi in cabina e tornò sul ponte vestito da gran sera, per "affondare da gentiluomo",  ai musicisti dell'orchestrina di bordo, che rimasero a suonare sul ponte fino alla fine. E l'inaffondabile Molly Brown, che si batté per far tornare indietro la sua scialuppa semivuota per salvare altre persone. Qualcuno ha voluto leggere il disastro come una metafora della fine della Belle Epoque, che da lì a poco sarebbe affondata nei gorghi della Prima guerra mondiale. Ma forse il lascito più importante del Titanic, e dal clamore mondiale che seguì il suo affondamento, è assai più concreto: due anni dopo entrò in vigore la Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare. Che per la prima volta fissava dei limiti minimi di sicurezza per i passeggeri.