The Batman, di Matt Reeves

È un magnifico film-silhouette questo The Batman, colmo di ombre notturne che trovano il loro ambiente ideale sul grande schermo. Dall’imponente architettura visiva mai fine a se stessa

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Matt Reeves sa cosa vuol dire orchestrare un’esperienza cinematografica totalizzante che abbracci tutto il passato di Hollywood per trovare un possibile futuro a questi personaggi così archetipici. […] Un regista che crede senza riserve nelle nostre emozioni restituendocele come il cuore di un immaginario popolare da ricostruire”. Ci congedavamo così nel 2017 dall’ultimo (straordinario) The War – Il pianeta delle scimmie. E queste stesse parole sembrano oggi attagliarsi perfettamente all’ultima rifondazione immaginaria targata Reeves (The Batman, appunto) a riprova di un percorso registico a dir poco decisivo per le sorti del Blockbuster contemporaneo. Sì, perché la difficile missione affidatagli dalla Warner era proprio quella di separare momentaneamente i destini del Cavaliere Oscuro dal media franchise principale – ossia dal DC Extended Universe che ospita il Batman di Ben Affleck nei film di Zack Snyder – per consolidare le esigenze del nuovo cinecomic d’autore post Joker. Ma andiamo con ordine. Siamo nella notte di Halloween e un personaggio incappucciato si aggira per la città di Gotham definendosi “ombra” (quindi di per sé un archetipo classico), e pre-vedendo il caos che esploderà nei sei giorni successivi.

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Reeves e il suo direttore della fotografia Greig Fraser (vi ricordate Zero Dark Thirty?) immaginano una Gotham City cupissima che faccia confluire il gusto per le architetture espressioniste disegnate da Anton Furst per il primo Batman di Tim Burton nella metropoli concettuale e iperrealista della trilogia di Christopher Nolan. Un universo materico e tangibile immerso costantemente nella notte, con insistiti chiaroscuri neo-noir che sembrano figli dell’immaginario di Seven o della pioggia incessante di Black Rain e Il corvo. Insomma, il deciso recupero delle atmosfere anni ‘90 nel cinema americano contemporaneo trova in questo film un punto di non ritorno: i cinecomics del XXI secolo tornano a concepire racconti partendo dall’iconografia dei generi classici hollywoodiani (il gangster movie, il noir, il thriller, persino il melodramma) e tornano a riferirsi a luoghi immaginari ben archiviati nella nostra memoria di spettatori (la New York infernale di Taxi Driver e Il braccio violento della legge è ancora attraversata dai guerrieri della notte post punk). Nel contempo, però, The Batman sa salvaguardare in maniera lucidissima i segni della mitologia originaria (in particolare quella tratta dai fumetti di Frank Miller) senza mai avere la pretesa concettuale di emanciparvisi come tentava di fare il Joker di Phillips. L’eredità formale della New Hollywood, pertanto, riesce ancora a coesistere con le esigenze dei franchise contemporanei: non a caso si ha quasi l’impressione di assistere a “un primo film” che termina con un evento determinate dopo circa due ore, lasciando poi il tempo necessario per dispiegare ulteriori linee d’azione potenzialmente estendibili.

E allora: nel fluire di una trama dalla linearità molto classica, dove i conflitti edipici sovrastano persino le metafore sulla stretta attualità (seppur evidentemente presenti), ciò che scarta dal flusso sono proprio i magnifici momenti di sospensione emotiva (quasi a là Michael Mann) dove il giovane Bruce Wayne diventa paradossalmente l’ombra di Batman e non viceversa. Il suo lato oscuro e lacerato, i suoi traumi infantili ancora vivissimi, tendono più volte a sabotare le linee d’azione del vendicatore rubando la nostra attenzione. E Reeves non ha paura di concedere il giusto tempo alle esitazioni di tutti questi figli addolorati al cospetto dei loro padri sin troppo mitizzati, quindi cercando nell’umanità dei personaggi le giuste traiettorie per il suo film. Insomma, è un Batman dolente e grunge quello di Robert Pattinson (decisamente in parte), raccontato più volte dalla voce di Kurt Cobain che something in the way lo muove nella notte.

Ecco allora, quello di Reeves si conferma un cinema di conflitti intimi (e per questo universali) che rifunzionalizzano i segni della cultura popolare per ritrovare una loro verità al di là del gioco vintage. Dalla splendida e sinuosa determinazione di Zoë Kravitz/Catwoman (anch’essa figlia ferita di un padre assente), all’austero incedere del boss Carmine Falcone di John Turturro; dal Pinguino messaggero di Colin Farrell che prefigura scalate future, all’integrità utopica degli alleati Alfred/Andy Serkis e Gordon/Jeffrey Wright. Per arrivare ovviamente all’Enigmista di Paul Dano che dissemina rebus virali come fosse un killer dello Zodiaco 3.0, per poi rivelarsi hopperianamente in un diner alla Nighthawks. L’archivio di forme del passato dialoga sempre con i linguaggi della neo-modernità informatica per ritrovare una dimensione tangibile allo spettro emotivo di questi personaggi.

Da tali premesse emerge indirettamente un ulteriore discorso estetico (e politico) che ci riguarda in prima persona: l’esperienza di visione che noi spettatori percepiamo come “adatta” guardando The Batman è quella del grande schermo. Questo film è perfettamente consapevole della crisi delle sale post-Covid, tanto da esaltare la solennità di ogni singola inquadratura dilatandone strategicamente il tempo di lettura: le macchie di luce che si fanno strada nelle ombre sfruttando il potere dei simboli e delle maschere; i dettagli scenografici in profondità di campo che ne sfruttato sapientemente l’ampiezza; i primi piani silenziosi dei protagonisti che comunicano al di là di ogni parola.

Ecco, è un magnifico film silhouette questo The Batman, colmo di ombre notturne che trovano il loro ambiente ideale sulla superficie del grande schermo. Un film dall’imponente e fascinosa architettura visiva che non risulta mai fine a se stessa proprio perché cerca di ritrovare una referenza emotiva a ogni inseguimento, esplosione, catastrofe o scelta etica. Del resto, è proprio in quest’urgenza sentimentale da rinnovare nelle macerie dell’immaginario novecentesco che si stanno giocando i destini del cinema hollywoodiano contemporaneo (da Villeneuve a Spielberg, da Tarantino allo stesso Nolan). E Matt Reeves si conferma un grande regista proprio perché sa ancora attivare le forme originarie del pathos cinematografico a partire dai segni della cultura popolare fatalmente disseminati in piattaforme interattive e/o narrazioni espanse. Batman sta ancora guardando l’orizzonte cercando luce oltre le ombre: Something in the way… il cinema americano sopravvive.

 

Titolo originale: id.
Regia: Matt Reeves
Interpreti: Robert Pattinson, Zoë Kravitz, Paul Dano, Jeffrey Wright, John Turturro, Peter Sarsgaard, Colin Farrell, Jayme Lawson, Andy Serkis, Barry Keoghan
Distribuzione: Warner Bros. Italia
Durata: 175′
Origine: USA, 2022

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.5
Sending
Il voto dei lettori
3.1 (59 voti)
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