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Intervista con Michela Lombardi

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In occasione della pubblicazione del suo ultimo album “Believe in Spring”, incontriamo la jazz singer toscana Michela lombardi, una delle voci più affascinanti del panorama jazz italiano, per esplorare le ispirazioni dietro al nuovo lavoro, le collaborazioni artistiche nell’album e nella carriera, e le aspettative per il futuro.

“Believe In Spring” segna l’ultimo capitolo della tua esplorazione delle opere di Michel Legrand. Cosa ti ha spinto a dedicare un intero album a questo compositore e come hai selezionato i brani da includere?

Il pianista Piero Frassi ed io abbiamo sempre amato i “new standards” di compositori contemporanei come Burt Bacharach, Johnny Mandel e Michel Legrand. A Mandel abbiamo dedicato un intero cd (“Solitary Moon”, Philology, 2016), di Bacharach includemmo Wives And Lovers nel disco “So April Hearted” del 2008 e infine, con la scusa che Sting aveva lavorato con Legrand e inciso alcuni suoi brani, avevamo già registrato The Windmills Of Your Mind in “Shape Of My Heart – The Music Of Sting” (2019), una versione che al momento sfiora i 680.000 streams su Spotify, e Que Féras-Tu De Ta Vie? in “When We Dance – The Music Of Sting vol. 2” (2021). Ma era giunto il momento di dedicargli un disco intero!

Proprio la collaborazione con Piero Frassi dura ormai da oltre ventisei anni. Come descriveresti l’evoluzione della vostra intesa musicale nel corso del tempo e quale impatto ha avuto sulla realizzazione di questo album?

La parola giusta per descriverla è «telepatia», unita a «fiducia» (in tutti questi anni non gli ho mai sentito fare mezzo errore: con lui potrei trovarmi sul palco più importante del mondo e non avrei alcun timore). Col tempo sono diventata più consapevole di quello che per me è meglio cantare (mi concentro su un insegnamento che mi venne da Jay Clayton: «non cantare ciò che “ti piace”: canta ciò che “ami”»), e dunque rispetto al passato cerchiamo sempre di incontrarci su un terreno di brani che appassionino entrambi. L’impatto di Piero su questo disco è stato fondamentale: ha rimesso mano con entusiasmo e dedizione ad arrangiamenti che erano stati concepiti già nove anni fa per un concerto dedicato a Legrand, e invece di adagiarsi su cose già fatte ha sondato ulteriormente le possibilità di ogni brano aggiungendo nuove parti scritte e giocando anche con la presenza del violoncello (suonato da Andrea Beninati, qui anche alla batteria).

Nel tuo nuovo album hai collaborato con artisti come Dimitri Grechi Espinoza e Andrea Beninati, appunto. Cosa portano questi musicisti al sound complessivo dell’album e ci sono momenti particolari che evidenziano il loro contributo?

Sicuramente il suono spirituale, contemplativo e passionale di Dimitri Grechi Espinoza conferisce ulteriore pathos a un brano metaforico – quasi una riflessione sulle stagioni dell’esistenza umana – come The Summer Knows, e impreziosisce una ballad languida e romanticissima come What Are You Doing The Res Of Your Life?. E le vibrazioni commoventi del violoncello suggellano in maniera definitiva una perla come On My Way To You, nel cui testo si prendono in considerazione le varie «sliding doors» della vita, le gozzaniane «rose che non colsi», le occasioni perdute o lasciate andare, i rimorsi e i rimpianti, per giungere alla consapevolezza che tutto, in realtà, è andato come doveva andare.

 

Nel corso della tua carriera hai spesso reinterpretato brani di altri artisti, trasformandoli in pezzi unici grazie al tuo stile. Qual è il tuo processo creativo quando decidi di fare una cover e come scegli i brani da reinterpretare?

Nella mia testa c’è come un grande mobile antico da farmacia, con migliaia di cassetti in cui conservo le migliaia di canzoni imparate a memoria e le tante versioni che ne conosco: partendo da un brano di cui amo il testo e la cui melodia risuona per motivi sconosciuti con le corde del mio cuore, un misterioso algoritmo crea connessioni che mi suggeriscono come poterlo ripensare, e quale nuovo vestito potergli cucire addosso su misura.

Hai esplorato molti generi musicali, dalla jazz al soul e oltre. Quali generi trovi più espressivi per la tua voce e perché?

Al di là dei generi, credo che i brani che trovo più adatti alla mia voce siano quelli con una melodia più sinuosa, ariosa, cantabile. Pur non avendo mai cantato niente del repertorio lirico, se non qualche aria per mezzosoprano durante qualche lezione con Susanna Rigacci (la voce di riferimento di Ennio Morricone), forse l’essere nata a pochi chilometri da dove è nato Giacomo Puccini ha influito su di me più di quanto io creda. Che sia soul, jazz, pop o folk, datemi una melodia solida e mi farete felice!

Hai avuto l’opportunità di esibirti e registrare con numerosi artisti di fama internazionale. C’è un’esperienza o un artista che ha lasciato un’impressione particolarmente forte su di te e sul tuo percorso artistico?

Lavorare con Phil Woods è stata la cosa più importante per me. La sua stima, la sua fiducia e il fatto che sia stato lui stesso a scegliermi e a volere che Paolo Piangiarelli producesse i nostri due dischi in cui ricanto i suoi brani (con qualche testo scritto da me, anche), ovvero “Michela Lombardi & Phil Woods Sing & Play The Phil Woods Songbook, vol. 1 & vol. 2” (Philology, 2010), è una fortuna che ancora stento a credere che mi sia capitata.

Sei anche molto attiva nel campo della didattica, insegnando canto jazz al conservatorio “Giacomo Puccini” di La Spezia. Qual è la tua filosofia nell’insegnare musica e cosa speri di trasmettere ai tuoi studenti?

Spero innanzitutto di riuscire a nutrire in loro una passione, di instillare curiosità, di non far sentire nessuno inadeguato ma anzi di riuscire a capire in base alle diverse personalità che ho di fronte quale genere di jazz può essere più adatto a far fiorire il talento di ciascuno. Spero soprattutto di far capire quanto sia fondamentale l’ascolto profondo, attento, in un’era in cui (mancando l’ascolto compatto degli album in favore di streams disconnessi tra loro) la distrazione rende difficile fare in modo che quanto si ascolta lasci un segno indelebile: i dichi sono i primi e principali maestri.

Oltre ai dischi da leader hai anche partecipato a molte incisioni come parte di gruppi o ospite: c’è qualcosa di nuovo all’orizzonte? Oltre alla musica, poi, hai anche partecipato a progetti nel cinema e nel teatro. Ci sono nuovi progetti interdisciplinari in cui sei coinvolta che vorresti condividere?

Faccio parte sia della Fonterossa Open Orchestra diretta da Silvia Bolognesi (formazione con cui abbiamo inciso il disco “F.O.O.L.” uscito nel marzo 2020) sia del Nico Gori Swing 10tet, con il quale abbiamo quattro dischi all’attivo (e ne registreremo un quinto quest’estate). Tra poche settimane inoltre sarò in studio di registrazione con il pianista Francesco Scaramuzzino per cantare una sua bellissima composizione, e sto anche lavorando ai testi per brani inediti composti da Riccardo Fassi. Quanto alla multimedialità, un progetto europeo incentrato sul metaverso mi ha portato lo scorso anno a trascorrere un mese in Grecia con il direttore d’orchestra Federico Bardazzi, e a fine maggio sarò con lui su un palco speciale – nel magnifico Duomo di Firenze – con un progetto musicale e teatrale abbastanza visionario, già andato in scena negli ultimi cinque anni con l’Ensemble San Felice. È ideato da Carla Zanin e diretto da Bardazzi stesso, e si tratta di uno spettacolo dedicato a San Francesco che vede la presenza degli attori Cristina Borgogni e Paolo Lorimer. Con me nella sezione vocale, oltre a un grande coro, ci saranno alcune voci liriche tra cui la mia amica Letizia Dei, molto apprezzata anche come voce gospel. Il giorno seguente saremo in studio a registrare. Non vedo l’ora di improvvisare sul giro di The Great Gig In The Sky accompagnata da un coro di cento voci e di cantare Scarborough Fair con l’accompagnamento di arpa celtica, flauto e organo portativo!