Meditazione Mettā: coltivare la gentilezza amorevole nelle relazioni - Antropia
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Meditazione Mettā: coltivare la gentilezza amorevole nelle relazioni

La meditazione Mettā, o “loving kindness meditation” è una pratica antichissima che mira a coltivare sentimenti di compassione e benevolenza verso se stessi e gli altri con l’obiettivo di generare maggiore benessere individuale e sociale.

Le antiche origini della meditazione Mettā

La parola “Mettā” significa “gentilezza”, “amorevolezza” o “benevolenza” nella lingua Pali, un antico idioma indoeuropeo che intorno al 600a.C. acquisì fondamentale importanza per tutte le persone che abitavano a cavallo tra il Nepal e l’India e che condividevano il medesimo obiettivo: liberarsi dalla sofferenza umana. Se potessimo partire per un lungo viaggio nella pianura Gangetica di 2500 anni fa, potremmo seguire le folle di fedeli intenti ad ascoltare un uomo nepalese, con i lunghi capelli raccolti e una veste umile: Siddharta Gautama, meglio conosciuto come Buddha (= ”il risvegliato”), aveva oramai dato inizio con le sue parole e le sue esperienze ad una rivoluzione del pensiero del tempo, originando un nuovo approccio esistenziale, religioso, e psicologico: il Buddhismo.


Uno dei molti discorsi tenuti in lingua pali dall’uomo dai lunghi capelli prenderà  poi il nome di “Metta Sutta” o “il discorso sulla gentilezza amorevole” che viene considerato come uno dei più importanti sutta (o “sutra” in sanscrito) mai pronunciati dal Buddha, e che pone le fondamenta per il percorso della liberazione dalla sofferenza [1]. La meditazione Metta, che per Gautama Buddha aveva lo scopo di rafforzare l’amore incondizionato e la compassione per tutti gli esseri, è stata recentemente riscoperta dalla scienza contemporanea, che negli ultimi 10 anni ha portato avanti centinaia di ricerche con l’obiettivo di comprenderne il funzionamento e i benefici. Prima di esplorare i benefici di questa pratica, proviamo a comprenderne il funzionamento. La letteratura dimostra che due costrutti psicologici ci possono aiutare in questa impresa: l’amore incondizionato e la gratitudine.

Il ruolo dell’amore incondizionato

Il poeta latino Virgilio in uno dei suoi più celebri lavori arriva ad affermare con piena certezza “Omnia vincit amor”,  “l’amore vince su ogni cosa”: questo pensiero ci permette di introdurre il primo costrutto psicologico implicato nell’esperienza meditativa Metta. L’ “amore incondizionato” può essere inteso come la tendenza a generare costantemente intenzioni positive e gentili nei confronti delle persone e degli esseri viventi: non riguarda un sentimento quanto più un’operazione psicologica circolare che mira a generare sentimenti positivi nei confronti di se stessi per poi estenderli alle altre persone, riconoscendo loro pari dignità e importanza. Questo viene costantemente allenato con la pratica meditativa attraverso la ripetizione silenziosa di alcune frasi come “possa tu essere felice” o “possa tu essere libero dalla sofferenza” e la visualizzazione dell’immagine mentale della persona scelta.

Il fattore gratitudine

Il secondo costrutto psicologico implicato è la “gratitudine”, che viene concettualizzata dalle scienze psicologiche come la capacità di apprezzare ciò che secondo i propri valori è significativo e importante: le persone si differenzieranno dunque nel modo in cui attribuiscono importanza alle esperienze vissute, e in base al proprio sistema di valori saranno in grado di fare più o meno esperienza della gratitudine stessa. Se i valori per me importanti sono uno stipendio elevato, un gran numero di amicizie e il rispetto da parte delle persone, proverò gratitudine in riferimento ad un aumento di stipendio, a nuove conoscenze e al rapporto di potere con gli altri. Se i valori per me importanti sono la libertà, la condivisione e la cultura, proverò gratitudine in riferimento ad un trekking nel bosco, una birra condivisa in amicizia e la lettura di un buon libro. La gratitudine, più che un sentimento, una virtù morale o un tratto di personalità può essere invece intesa come una vera e propria esperienza a tutto tondo (emotiva, cognitiva e sensoriale) coerente con i propri valori e le situazioni relazionali e ambientali nelle quali siamo inseriti. Numerose metanalisi dimostrano che l’esercizio ripetuto della gratitudine, promuovendo emozioni positive e un maggior senso di coesione sociale e ambientale, permette alle persone di coltivare un maggior benessere psicosociale e corporeo, migliorando di fatto la salute delle persone [2]

Il monoteismo dell’ “Io” e la riscoperta del “Noi”

Nell’attuale società occidentalizzata, quale impatto hanno gli altri sulla nostra felicità? Secondo il celebre sociologo Zygmunt Bauman [3], stiamo vivendo un’epoca di tramonto del “Noi” inteso come il senso di communitas latina, in cui prende sempre più piede una nuova forma di monoteismo dell’ “Io”: l’altro trova sempre meno spazio e diventa scomodo, quasi ingombrante rispetto al nostro vivere personale. E’ possibile notare come la spinta individualistica della società occidentale stia progressivamente portando a uno sfilacciamento dei rapporti sociali: questo può implicare di riflesso una maggiore difficoltà nella sperimentazione di sentimenti di amore indiscriminato e di gratitudine. L’isolamento progressivo del singolo e la cultura dell’emancipazione da ogni vincolo relazionale possono spingere le persone a interpretare le dinamica di aiuto (nel richiedere e nel ricevere aiuto) e di gratitudine come delle  forme di debolezza e dipendenza. L’Altro diventa così oggettificato, divenendo nell’immaginario un potenziale ostacolo alla mia stessa realizzazione o uno strumento strategico da utilizzare per il mio guadagno. L’individualità dell’altro sparisce e viene fagocitata dall’ingombrante “Io” che prende sempre più spazio, ritrovandosi poi tragicamente isolato e abbandonato a se stesso.

L’interdipendenza essenziale dell’umanità

La riflessione Buddhista connessa alla natura delle relazioni umane aveva già individuato i rischi di un’individualismo sfrenato e ne aveva riscontrato le cause nell’illusione della separazione tra gli esseri: se ci convinciamo che ognuno di noi sia separato e indipendente dall’altro, provvederemo costantemente a rimarcare i confini del nostro “io allargato” estendendo di volta in volta il nostro senso di possesso fino a quando non entrerà in conflitto con l’io di qualcun altro. L’amore diviene dunque una moneta di scambio da non sperperare o elargire solamente a chi lo merita. L’unico antidoto a questa forma di illusione che condurrà irrimediabilmente alla sofferenza risulta essere la realizzazione della necessaria interdipendenza di tutti gli esseri: nessuno di noi può esistere al di fuori di una rete infinitamente estesa di network di relazioni reciproche all’interno delle quali io dipendo dall’Altro per la maggior parte delle mie attività quotidiane. George Kelly, celebre psicologo padre della Psicologia dei Costrutti Personali (1955), definisce questo fenomeno come “distribuzione delle dipendenze”: solo nell’interdipendenza reciproca l’essere umano riesce a svilupparsi, realizzarsi e sopravvivere. Questo, in modo circolare, come dimostra la letteratura, può essere reso possibile proprio dalla gentilezza amorevole e dalla capacità di provare gratitudine rivolta a se stessi e alle altre persone che abitano il nostro mondo relazionale.

I benefici della pratica

Nel sopracitato Mettā Sutta, il “discorso sulla gentilezza amorevole”, il  Buddha storico non solo aiuta gli ascoltatori a comprendere l’importanza spirituale della pratica, ma racconta in modo sistematico anche i benefici per la salute a cui possono andare incontro le persone che la praticano in modo continuativo. Questo, di fatto, anticipa di 2500 anni i risultati emersi dalla ricerca contemporanea, che conferma in gran parte le intuizioni del santo nepalese. Gli studi recenti infatti dimostrano numerosi benefici molto significativi rispetto alla salute individuale e relazionale: una migliore soddisfazione, una maggiore compassione, un maggior numero di esperienze emotive positive, una riduzione delle esperienze di ruminazione mentale e auto-critica, una minore incidenza di sintomi psicopatologici, una riduzione nell’ideazione suicidaria e infine una maggiore salute organica e minore invecchiamento cellulare [4].

Come avvicinarsi alla meditazione?

La meditazione Mettā tradizionalmente consiste nel recitare frasi compassionevoli e di gentilezza. La pratica meditativa inizia solitamente con alcuni minuti dedicati alla presa di consapevolezza del proprio respiro e delle sensazioni di movimento e calore che emergono al centro del petto. Poi, una volta centrata maggiormente sulla propria esperienza di stabilità, la persona può iniziare a rivolgere a se stessa alcune frasi come “Possa tu essere felice/in salute/ serena”: l’obiettivo è conservare un’intenzione sincera e profonda, che possa emanciparsi dai sentimenti di auto-critica o di elevazione narcisistica. Successivamente l’obiettivo è ripetere l’esercizio rivolgendosi a qualcuno che si ama, a qualcuno  tendenzialmente neutrale e infine a qualcuno per cui si nutrono sentimenti negativi. L’ultimo passaggio è cercare di estendere il medesimo sentimento di gentilezza amorevole all’intera comunità, per recuperare quel senso di interconnessione e interdipendenza sopracitati. Solitamente si consiglia di lavorare prima su se stessi, e solo successivamente provare ad estendere la pratica Mettā anche alle persone esterne. Come in ogni altra forma di esperienza contemplativa, il punto non è passare rapidamente da uno scalino ad un altro; il punto è connettersi veramente con la compassione e la gentilezza amorevole dentro di sé e negli altri, apprendendo l’arte della pazienza e della compassione in questa ardua impresa psicologica ed esistenziale.

Bibliografia

  • [1]  Hanh, T. N. (2006). True Love. Shambhala Publications.
  • [2]  Zeng, X., Chiu, C. P., Wang, R., Oei, T. P., & Leung, F. Y. (2015). The effect of loving-kindness meditation on positive emotions: a meta-analytic review. Frontiers in psychology, 6, 1693.
  • [3]  Bauman Z. (1999), La solitudine del cittadino globale, tr. it. Feltrinelli, Milano, 2000.
  • [4]  Le Nguyen, K. D., Lin, J., Algoe, S. B., Brantley, M. M., Kim, S. L., Brantley, J., Salzberg, S., & Fredrickson, B. L. (2019). Loving-kindness meditation slows biological aging in novices: Evidence from a 12-week randomized controlled trial. Psychoneuroendocrinology, 108, 20–27.

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