La Resistenza al cinema: i nostri consigli • DassCinemag

La Resistenza al cinema: i nostri consigli

resistenza film

In occasione del 25 aprile la redazione di DassCinemag propone una lista di titoli portatori delle tematiche di Resistenza e Liberazione. Due parole che possono essere intese in maniera diversa, che possono adattarsi a contesti differenti. Due parole che oggi risuonano più attuali che mai.

C’ERAVAMO TANTO AMATI (1974; Ettore Scola)

c'eravamo tanto amati, recensione

Cosa vuol dire essere italiani? Sono numerose le idee che il capolavoro di Ettore Scola ci suggerisce per rispondere alla domanda. Infatti, la storia di tre amici ex-partigiani (Vittorio Gassman, Nino Manfredi, Stefano Satta Flores) mette in mostra le gioie, gli amori e le paure di un’intera nazione e attraversa il nostro Paese dal dopoguerra fino agli anni ’70. Trent’anni di amicizia, trent’anni di cinema, trent’anni di Italia, alla ricerca di una matrice comune che possa in qualche modo riunire un popolo e tre uomini che a prima vista non avrebbero nulla da raccontarsi. Così C’eravamo tanto amati si configura come un film romanticamente prospettico, che trova una delle sue molteplici chiavi di lettura nel ricordo della Resistenza e di un passato condiviso all’insegna della Liberazione. È lo stesso Nino Manfredi a suggerirlo nella prima parte dell’opera: «Quando s’è rischiata la vita co’ qualcuno, resti sempre attaccato a quelle persone, come se quel momento non fosse mai passato e quelle persone te dovessero ancora salva’».

Di Ludovico Cerrone.

IL GENERALE DELLA ROVERE (1959; Roberto Rossellini)

il generale della Rovere, la recensione del film

Emanuele Bardone (Vittorio De Sica) è l’italiano medio. Amante delle donne, giocatore incallito, dribblatore della guerra e del conflitto. L’italiano della commedia all’italiana. Eppure, alla fine de Il generale della Rovere, questo truffatore bugiardo e codardo muore per proteggere l’identità di un partigiano. Cosa cambia così drasticamente un uomo? Cosa lo porta a sacrificarsi per un altro? Cosa spinge un uomo così a rendersi un martire? Le frasi incise sulle pareti della cella dei galeotti passati prima di lui. Gli altri carcerati che si fanno picchiare a morte pur di non confessare. La vicinanza della famiglia del vero generale. È la testimonianza della lotta per la libertà a trasformare Emanuele Bardone nel generale Della Rovere. Attraverso questo personaggio iconico, Roberto Rossellini dimostra quanto sia potente la memoria della Resistenza e della lotta partigiana, in un film fondamentale per la cinematografia italiana.

Di Paolo Moscatelli.

A BUG’S LIFE (1999; John Lasseter)

A Bug's life, la recensione del film

Come si fa a raccontare ai bambini l’importanza della Liberazione? Come si fa a spiegare loro cos’è la Resistenza? È essenziale, già in tenera età, comprendere il significato di tutto ciò, perché è da piccoli che si inizia a plasmare la propria identità. A Bug’s Life è la soluzione perfetta di divertimento e apprendimento, uno di quei cartoni animati colorati e dinamici ma con un sottotesto profondo ed adulto. “Le formiche non sono fatte per servire le cavallette!” L’insetto operaio fa grandi cose, con unione e forti ideali, non accetta più le locuste oppressori. Una dimostrazione sincera di ribellione positiva, di un popolo stanco pronto a sacrificarsi per la libertà collettiva. Pixar costituisce il più bell’esempio pedagogico-audiovisivo della storia della animazione americana attraverso una comunicazione umana, mai didascalica o esplicitamente moralista. Il regista John Lasseter realizza I sette samurai del metodo Montessori, potenziando le giovani menti, perché un’ingiustizia dispotica non ricapiti mai più.

Di Alessandro Viani.

FREAKS OUT (2021; Gabriele Mainetti)

Freaks out, la recensione del film

Si pensa spesso alla Resistenza come ad un evento ormai lontano. Un piccolo cavillo che ci fa avere un giorno di vacanza extra ad aprile. Quelle foto e film in bianco e nero li consideriamo quasi reliquie di un passato che non ci appartiene più. Forse proprio per questo il coloratissimo e “pazzoide” Freaks Out, ultimo film di Gabriele Mainetti, risulta essere così diverso e fresco. Decisamente capace di rompere tutti i pregiudizi a riguardo i film del suo genere, spesso reputati pesanti e ampollosi. Una storia che sembra fondere al suo interno le atmosfere di un film di Guillermo del Toro con sprazzi di realtà e cattiveria come fossimo di fronte ad uno Schindler’s List. Un mix di intrattenimento, realtà e fiaba che riesce, in buona parte, a modernizzare il genere. Ciò che è certo è che difficilmente vedere dei nazisti esplodere in mille pezzi è stato altrettanto catartico e soddisfacente come in questo film.

Di Federico Sagheddu.

L’ARMATA DEGLI EROI (1969; Jean-Pierre Melville)

l'Armata degli eroi, recensione

Una battaglia silenziosa eppure incredibilmente impattante: un film che fa delle pause e dell’introspezione i suoi migliori ingredienti. Jean-Pierre Melville dirige una storia su una Resistenza atipica, una Resistenza che penetra occultamente, sguscia tra le fauci di un sistema corrotto e cerca di disintegrarlo. Fedele adattamento del romanzo di Joseph Kessel, il film segue la storia di un intellettuale antifascista, Philippe Gerbier (Lino Ventura) che, dopo la prigionia in un campo di concentramento, persevera la sua battaglia per la libertà, la sua lotta contro il regime nazista. Fautore di decisioni spesso moralmente ingiuste, ma necessarie, l’uomo dovrà fare i conti con i sacrifici etici che una guerra porta a compiere. E se il sacrificio fosse addirittura l’imprescindibile perdita della propria umanità? Sarebbe corretto spingersi così oltre? Un gelido ed intenso ritratto della Resistenza francese, in cui non c’è spazio né per epica né per eroi.

Di Francesca Nobili.

HUNGER (2008; Steve McQueen)

Hunger, la recensione del film

Nella storia di un paese che nell’immaginario collettivo vive da sempre una condizione di pace, forse per l’assenza di fenomeni di ordine internazionale, il regista inglese Steve McQueen trova uno degli episodi di Resistenza più dolorosi. Siamo nell’Irlanda del Nord degli anni ‘80, lacerata da più di vent’anni dagli scontri tra i nazionalisti irlandesi dell’IRA e l’esercito inglese, in particolare nel 1981, anno in cui il detenuto repubblicano Bobby Sands (Michael Fassbender) si lascia morire dopo 66 giorni di sciopero della fame. Si tratta della forma di resistenza più dura, quella dell’autodistruzione fisica e identitaria: Bobby Sands e gli altri detenuti politici non solo smettono di mangiare, ma si autoinfliggono la deumanizzazione voluta dai loro stessi carcerieri perdendo a poco a poco il rapporto col mondo. Steve McQueen si dimostra come al solito eccellente nella resa di una condizione umana impensabile, con l’aiuto di una fotografia crepuscolare che accompagna rispettosamente il protagonista nel vortice del suo autoannullamento, mentre Michael Fassbender ci regala una delle sue interpretazioni più feroci.

Di Claudia Teti.

UNA VITA DIFFICILE (1961; Dino Risi)

Una vita difficile, la recensione del film

In questo indubbio capolavoro del cinema italiano, Dino Risi esplora brillantemente la tematica della Liberazione individuale attraverso un’inedita lente comica. Il film segue la storia di Silvio Magnozzi, magistralmente interpretato da Alberto Sordi, un impiegato un po’ opportunista che sogna di sfuggire alla sua vita ordinaria e cerca di sopravvivere al caos politico ed economico del periodo. Risi, tramite il personaggio di Magnozzi, dipinge un ritratto satirico della società italiana del dopoguerra, in cui le ambizioni personali finiscono spesso per essere soffocate dalle rigide strutture sociali e lavorative. Critica in modo sottile e pungente l’ambiguità e la mentalità opportunista e priva di valori che caratterizzano la società post-bellica, in un contesto storico non privo di sfide per la nostra nazione.

La narrazione è caotica e discontinua ed offre una visione sferzante e sarcastica delle frustrazioni quotidiane, ma allo stesso tempo incoraggia a riflettere sul significato e sul valore della vera libertà. La brillantezza del film risiede nella capacità, già ben nota, del suo autore di far emergere il riso anche dalle situazioni più desolate, trasmettendo speranza e resilienza. Una vita difficile si erge come un viaggio umoristico e toccante alla ricerca della libertà interiore, un’ode alla capacità umana di emanciparsi non solo dalle catene tangibili, ma anche da quelle che possono imprigionare l’animo.

Di Giulia Aveta.

LA BATTAGLIA DI ALGERI (1966; Gillo Pontecorvo)

La battaglia di Algeri, la recensione

Gillo Pontecorvo firma uno dei film più scomodi del suo tempo: La battaglia di Algeri racconta le lotte del FNL per l’indipendenza dell’Algeria dalla Francia. Siamo nel 1957 ad Algeri, a 3 anni dall’inizio delle insubordinazioni algerine, Alì la Pointe viene reclutato dal FNL e comincia a combattere contro la nazione occupante. Seguiremo il protagonista impegnato nella lotta armata, mentre diventa sempre più importante all’interno del FNL. Il film utilizza un’estetica vicina ai documentari precedenti di Pontecorvo: l’intero film si muove a cavallo tra la finzione narrativa e la realtà degli eventi accaduti. Il contrasto spiccato tra luci e ombre è dovuto alla straordinaria morbidezza della pellicola, molto versatile e quindi utile nelle produzioni senza una fotografia programmabile (come nei documentari di reportage). Anche la grana parecchio evidente e sporca regala un’estetica povera, “da battaglia”, unendo del tutto forma e contenuto. Nato da una collaborazione italo-algerina, La battaglia di Algeri è considerato la “Roma città aperta algerina”, girato con attori non professionisti, ne viene vietata la distribuzione in Francia fino al 1977.

Di Federico Ferri.

UNA GIORNATA PARTICOLARE (1977; Ettore Scola)

Una giornata particolare, recensione

Roma, 6 maggio 1938. Tutti gli italiani corrono in strada ad accogliere e acclamare il Duce e Hitler che sfilano tra la folla. Tutti, ad eccezione di un uomo e una donna: Gabriele (Marcello Mastroianni), un ex radiocronista dell’EIAR, licenziato perché “sovversivo”, pretesto in realtà volto a celare l’accusa di omosessualità, e Antonietta (Sophia Loren), una madre di famiglia relegata a nume tutelare della casa. Complice il caso (o il destino?), i due protagonisti condivideranno il tempo di una singola giornata prima di tornare alle proprie vite. Gabriele e Antonietta non potrebbero essere più diversi, eppure c’è qualcosa che li accomuna: l’isolamento e il senso di umiliazione, frutti dell’emarginazione sociale che li vede protagonisti, lui perché omosessuale, lei perché donna. Una giornata particolare è la storia di due solitudini che si incontrano e si riconoscono nella ricerca comune di affetto, comprensione e umanità. È un silente e amaro grido di rabbia contro l’oppressione e l’alienazione a cui il regime nazifascista condanna.

Di Francesca Gentile.

GIORNI DI GLORIA (1945; Giuseppe De Santis, Luchino Visconti, Marcello Pagliero, Mario Serandrei)

GIORNI DI GLORIA, RECENSIONE

«Sul campo sorgerà la nuova Italia, con la guerriglia» è il canto dei partigiani in Giorni di gloria. Mario Serandrei e Giuseppe De Santis organizzano le poche pellicole originali ricevute dalle formazioni partigiane e il girato dei tre registi, Luchino Visconti, Marcello Pagliero e De Santis stesso, per presentare gli avvenimenti che si susseguirono dal settembre del 1943 fino alla Liberazione d’aprile. Già in questo che fu il primo documentario sulla Resistenza italiana emerge la necessità di ribadire il sacrificio degli italiani, pronti a combattere il nemico nazifascista a costo della vita. Come la macchina da presa entra nelle Fosse Ardeatine per registrare la terribile scoperta, le immagini mostrano senza mediazione alcuna i corpi martoriati e impiccati e un paese ridotto in macerie. I fascisti non sono altro che servi dei nazisti, una piccola cerchia malsana (che tanto piccola non sembrava durante il ventennio) in un popolo con un’«anima francescana e garibaldina fatta di umanità e bontà». Così Giorni di Gloria anticipa l’estetizzazione della povertà e del sacrificio italiano che caratterizzerà la produzione neorealista nel decennio successivo. Sul mito della Resistenza e degli italiani “brava gente” potrà ricostruirsi un Paese pronto a diventare il «giardino d’Europa» con il sudore e il lavoro.

Di Luigi Parente.

GERMANIA ANNO ZERO (1948; Roberto Rossellini)

Assomiglia ad un piccolo angioletto, coi ciuffi d’oro e le guancie gonfie. Eppure non s’adagia sulle nuvole del cielo, non gioca a rincorrere colombe. È, invece, circondato da visioni funeste, terribili: la terra compatta di un cimitero, la carne di cavallo abbattuto, fantasmi che si trascinano umidi. Germania Anno Zero assorbe in sé l’estremismo poetico di una lacerazione, di un trauma insolvibile. Compimento della studiatissima trilogia della guerra, il film di Rossellini racconta di Edmund, bambino di dodici anni che cerca di sopravvivere nella Berlino devastata del ’47. Il piccolo trascorre le giornate tra lavoretti saltuari per assicurare a sé stesso e alla famiglia sfollata una minima fonte di sostentamento, finendo tuttavia per soccombere alla brutalità nullificatrice che lo circonda. Può dirsi un film di guerra, ma ne privilegia le conseguenze corruttrici nelle anime vergini. Può dirsi di liberazione, se però l’unica possibilità d’uscita è condanna al tempo stesso, morte al tempo stesso: un salto nel vuoto, poi il buio. L’agnello e la sua macchia, il parricidio e l’insostenibilità. Germania anno zero non è semplicemente il racconto di un’esistenza vessata dal conflitto. È la storia di un bambino, vera riserva drammatica, il cui occhio viene ferito da ciò che vede.

Di Mattia Croppo.

I DUE MARESCIALLI (1961; Sergio Corbucci)

Commedia degli equivoci a sfondo storico, I due marescialli è un’opera sull’importanza dell’azione contro la repressione. Antonio De Curtis e Vittorio De Sica duettano e improvvisano in un film d’impegno collettivo che mai rinuncia alla sua verve farsesca. La lotta partigiana si unisce qui alla rivalsa di un ladruncolo bonaccione e al perdono di un maresciallo troppo spigoloso. Capurro si finge il carabiniere Cotone e, tra uno sberleffo e l’altro, fa rigare dritto l’intera cittadina occupata di Scalitto; intanto, il vero Cotone conosce i membri della Resistenza e comprende che, per sopravvivere, deve rinunciare all’onore della divisa e collaborare addirittura con un lestofante come Capurro. Ecco allora che il Principe della risata diverte e commuove, con il suo fare da goffa marionetta e le sue espressioni da carogna con un cuore. Indimenticabile è in tal senso la scena del pernàcchio: il comandante tedesco Kessler (Roland Bartrop) tiene un discorso su balconata ma, durante il climax dello stesso, il signor fetente emette un terribile «rumore con la bocca». Dietro il giuoco di questa improbabile guardia si nasconde la tanto auspicata redenzione del ladro. Manca ancora il coraggio… quello che risveglia l’eroe.

Di Eugenio Sommella.

Ti potrebbero piacere anche

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Ho letto la privacy policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali ai sensi del Regolamento Europeo 2016/679 (GDPR) e del D.Lgs. n. 196 del 2003 cosi come novellato dal D.Lgs. n. 101/2018.