Snowpiercer - Stagione 2 - Recensione

La seconda stagione di Snowpiercer rappresenta un'ottima ragione per andarsi a recuperare la prima.

Snowpiercer - Stagione 2 - Recensione

LA RECENSIONE IN BREVE

  • La scrittura corale, a parte un paio di eccezioni, tesse un puzzle intenso e coerente dall’inizio alla fine.
  • Ci sono un paio di puntate che da sole valgono il prezzo del biglietto.
  • Daveed Diggs ha sempre l’espressività di un termosifone, ma a ‘sto giro oltre alla Connelly c’è di mezzo Sean Bean.

Lo scorso luglio, nella recensione della prima stagione di Snowpiercer, lamentavo tutta una serie di problemi che partivano dalla scarsa omogeneità del racconto passando per una messa in scena da compitino, fino ad alcune scelte di casting poco felici.

Nonostante l’idea di partenza pur sempre valida e un’ambientazione affascinante, la serie sospesa tra il film omonimo di Bong Joon Ho e il fumetto Le Transperceneige creato da Jacques Lob e Jean-Marc Rochett negli anni Ottanta, diluiva tutto il suo potenziale lungo una fila di trame e sottotrame dal sapore hard boiled che, per quanto vicine a certa fantascienza in stile Blade Runner, non trascinavano a dovere la dimensione politica del racconto. Tutte queste lacune lato scrittura, mescolandosi a un ritmo non sempre entusiasmante, finivano purtroppo per fare gioco ai difetti della serie anziché valorizzarne gli aspetti positivi.

Da questo punto di vista, la seconda stagione di Snowpiercer rappresenta un perfetto vademecum su come raddrizzare una roba “intelligente ma non si applica” andando a correggerne le falle principali e, eventualmente, coprendo tutti quei sapori che ormai sono capitati nel piatto e non ci possiamo fare niente, signora mia!.

F4.

Correva l’altro treno ignaro e quasi senza fretta

Si comincia dalla scrittura, che partendo dal cliffangerone introdotto al termine della prima stagione mette da parte la dimensione investigativa – o, comunque, la riduce al minimo indispensabile – per concentrarsi su un racconto corale sulle prime apparentemente sconnesso ma che, passo dopo passo, tira armoniosamente le trame fino all’esplosione conclusiva dove tutto acquista un senso, anche quella roba che appena tre puntate prima ti faceva dire “ma cosacazz?”. Inoltre, ho trovato decisamente intelligente la scelta di spezzare la linearità del racconto da un certo punto in avanti, per di più attraverso uno degli episodi più riusciti della stagione, in modo da far salire la tensione e creare le premesse per il finale (finale, tra l’altro, che se la gioca con un montaggio e una messa in scena mica da ridere).

#teamruth.

Tutte e dieci le puntate che compongono questa seconda stagione vantano una cura per i dettagli decisamente superiore rispetto alla prima tranche: niente da far calare la mascella, eh, a parte quei due o tre i picchi diretti da Leslie Hope e Clare Kilner, ma nel complesso un lavoro competente che ad avercene, di questi tempi.

Inoltre, ho la sensazione che lo showrunner Graeme Manson abbia goduto di una maggiore libertà creativa e ne abbia approfittato per rassettare i vagoni fuori posto ma, soprattutto, smarcarsi con cognizione di causa dall’eredità di film, fumetto e relativi cliché rivoluzionari, per costruire un racconto che, per carità, come ho accennato nell’anteprima di qualche settimana fa rientra nel giro delle antitesi in stile seconda stagione di Lost o arrivo della Pegasus in Battlestar Galactica - Big Alice è chiaramente quella cosa lì - ma che comunque funziona. Funziona per come mescola le carte in tavola ribaltando tutte le lotte per il potere e le alleanze, ma anche per la crescita che procura ai personaggi, che siano quelli ereditati dalla prima stagione (penso alla Audrey di Lena Hall ma, soprattutto, a Ruth, interpretata dalla bravissima Alison Wrigh) o le nuove leve.

«Non si può uscire all'indietro, per farlo si deve andare avanti!»

In quest’ultima risma rientrano Alexandra Cavill (Rowan Blanchard), la figlia data per persa di Melanie, e soprattutto ci straripa Joseph Wilford, che oltre a fornire a Sean Bean il primo ruolo da redivivo della sua carriera, inietta nella serie un surplus di carisma e crea, finalmente, un contraltare decente al personaggio di Jennifer Connelly, laddove Daveed Diggs aveva fallito per limiti recitativi e di scrittura.

«OK, fatemi capire bene, stavolta mi pagate per NON morire?».

Bean consegna un Wilford intrigante e pure abbastanza diverso rispetto a quella specie di mago di Oz evocato durante la prima stagione. Ogni volta che il nostro attraversa la scena, se la mangia, palleggiando il suo personaggio con toni che passano dall’istrionico al demoniaco per tutte le sfumature di mezzo, e divertendosi a sfidare a viso aperto quelle teorie che vedono nello Snowpiercer cinematografico il sequel apocrifo di Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato, laddove il misterioso capotreno interpretato da Ed Harris altri non sarebbe che la versione adulta di Charlie Bucket.

 
Questa scena si svolge in una zona chiamata "Willy's World", ci sono i biglietti dorati e, no, non sono soltanto coincidenze.

Certamente non volare, ma viaggiare

La maggiore cura emerge anche da personaggi di contorno come gli Headwood o Icy Bob, mentre per quanto riguarda i problemi, beh, diciamo che gli autori sono stati sufficientemente furbi da nasconderli sotto al tappeto. Stavolta la monodimensionalità di Layton pesa meno grazie a una gestione più oculata del personaggio e, di nuovo, alla presenza di Wilford, che col suo gusto speziato copre anche le linee narrative meno felici, tipo quella di Picca.

Nel complesso, anche alla luce del finale di stagione, la sensazione è che finalmente questo Snowpiercer televisivo si sia scrocchiato di dosso le croste di ghiaccio e abbia finalmente raggiunto una sua dimensione ben precisa, diversa da quelle di film e fumetti. Se siete tra coloro che hanno lasciato nel piatto qualche avanzo della prima parte perché non vi prendeva abbastanza, potrebbe esser il momento di dare alla serie una seconda chance. Se invece già vi piaceva, beh, tanto meglio.

La seconda stagione di Snowpiercer è disponibile su Netflix.

Verdetto

la seconda stagione di Snowpiercer dimostra che con un po’ di competenza e qualche furberia è possibile recuperare un treno in corsa e guidarlo verso binari più consoni. Buona parte del merito va a Sean Bean e relativi autori, che tirano su un antagonista interessante e, finalmente, degno di questo nome, ma in generale a essere migliorate sono la scrittura nel suo complesso e la messa in scena, che riescono a minimizzare i problemi e a far brillare locomotive e carrozze.

In questo articolo

Snowpiercer - Stagione 2 - Recensione

8.5
Buono
Se la prima stagione vi ha lasciato un po’ così e siete scesi dal treno in corsa, forse è il momento di staccare un altro biglietto.
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