A distanza di oltre due decenni, Perfect Blue di Satoshi Kon – per la prima volta al cinema in Italia in questi giorni con Nexo Digital – rimane un thriller psicologico magistrale. Considerato da molti spettatori un film di difficile comprensione e interpretazione, il primo lungometraggio di Kon propone una narrazione equivoca e oscura al punto giusto da affascinare e respingere in egual misura chi sta guardando. La sublime regia del maestro dell’animazione giapponese tende a confondere realtà e finzione, la vita vera di tutti i giorni e quella virtuale, con il preciso scopo di far provare allo spettatore lo stesso senso di perdizione che avvolge la protagonista Mima per quasi tutta la durata del film. Effettivamente, Il doloroso e graduale decadimento mentale di Mima crea un’atmosfera inquietante che è presente dall’inizio alla fine, con transizioni geniali che ci fanno interrogare su cosa sia reale e cosa no di quello che stiamo vedendo. In questa spiegazione del finale di Perfect Blue, analizziamo come il significato del capolavoro di Satoshi Kon può essere sviscerato tramite due aspetti principali: una confusa storia di orrore psicologico e una crudele satira del mondo degli idol e del lato perverso che nasconde.
I villain umani di Perfect Blue
Come abbiamo visto nella nostra recensione di Perfect Blue, il conflitto principale del film si sviluppa dalle molestie inflitte a Mima da un fan ossessionato, che si spaccia per lei e pubblica dettagli della sua vita su un sito web chiamato Mima’s Room. Inizialmente, Mima prende questi post con leggerezza ma, quando diventano eccessivamente accurati, comprende che c’è qualcosa di sinistro in corso. Questo sconosciuto gestore del sito mette in discussione le scelte di vita e di carriera di Mima, che ha abbandonato la popolarità da idol per diventare attrice. Le minacce si intensificano con telefonate, fax e persino omicidi, e Mima si accorge di essere costantemente seguita dallo stalker, che appare ovunque lei vada, persino nei suoi sogni. Tuttavia, pian piano che i fan si rendono conto della “morte artistica” del loro idol, i post diventano sempre più aggressivi e minacciosi. In effetti, la nuova carriera di attrice porta Mima a perdere gradualmente il suo velo di innocenza. La finta scena dello stupro, e il set fotografico in topless, sono l’apice della decadenza dell’idolo Mima, macchie indelebili sul suo velo di castità. Inoltre, sono proprio questi gli eventi che trasformeranno la mania dei suoi fan in una psicosi omicida. Alla fine, si scopre che il responsabile è Me-Mania, un fan ossessionato fino alla follia, che la attacca in un violento inseguimento, ma viene sventato quando Mima lo colpisce con un martello cercando di difendersi.
Dopo l’incidente, Mima viene soccorsa e confortata dalla sua assistente Rumi, ma presto si rende conto che c’è proprio lei dietro alle minacce e agli omicidi. Rumi, che si è sempre presentata come una stretta confidente e amica di Mima, rivela la sua vera natura, esprimendo disgusto per le scelte di carriera di Mima e arrivando addirittura a impersonarla. Il regista Satoshi Kon esplora profondamente la natura umana nel film, utilizzando una serie di artifici per distrarre sia gli spettatori che il personaggio di Mima dalle vere intenzioni di Rumi. Rumi viene presentata come il manager di Mima, una maschera che nasconde i suoi veri sentimenti e le sue azioni. La gravità delle sue azioni è ulteriormente minimizzata dall’incriminazione di Me-Mania: senza indizi evidenti su Rumi, risulta difficile identificarla come colpevole.
Perfect Blue maschera abilmente il suo antagonista principale, sollevando la domanda fondamentale su ciò che è reale e ciò che non lo è: la vera minaccia per Mima è la persona in cui ha maggiormente fiducia, ma sospetta di meno. Sebbene Mima sopravviva al confronto finale con Rumi e sembri ritrovare se stessa, l’orrore risiede nel fatto che era sul punto di perdere la sua identità. Questo solleva interrogativi sulla validità della prospettiva di Mima nella sequenza finale. Anche se Mima dichiara di essere “reale”, dopo tutto ciò che abbiamo visto, è difficile non mettere in discussione la sua autenticità e il significato del suo epilogo.
Violenza fisica VS paranoia surreale
Tutto questo gioca un ruolo cruciale nel progressivo deterioramento dello stato paranoico di Mima: non solo si sente costantemente minacciata e perseguitata dai suoi supposti ammiratori, ma è soprattutto la sua stessa mente a nutrire e alimentare questa sensazione. Dopo l’incidente del finto stupro, Mima, originariamente presentata come una giovane donna modesta con forti principi, inizia a mettere in discussione la sua identità e la sua recente carriera di attrice. I post sul fansite e le costanti persecuzioni quotidiane amplificano il suo disagio, rendendo sempre più fragile il suo equilibrio psicologico, fino a provocarle vere e proprie allucinazioni.
È proprio affrontando queste angosce che, alla fine, Mima riesce a riconquistare la sua autentica identità. Il primo confronto avviene con Mimaniac ed è caratterizzato dalla violenza fisica che, non a caso, avviene in un contesto simile alla scena del finto stupro. Tuttavia, questa volta è il suo stalker a essere sconfitto. Mima ha superato le proprie paure e si immagina di ricevere gli applausi del personale sul set del film, finalmente libera di continuare la sua carriera di attrice.
Il secondo confronto si svolge con Rumi, in un contesto paranoico e surreale, durante il quale Mima salva la vita del suo aggressore, in netto contrasto con l’episodio precedente coinvolgente Mimaniac. Questo momento rappresenta il punto culminante dell’accettazione da parte della protagonista del suo passato da idol, liberandosi finalmente dalle catene che limitavano la sua mente. Una volta ritrovata la sua identità, Mima si sente pienamente integrata nella realtà che la circonda. L’ultima scena del film simboleggia questa rinnovata serenità: Mima, ormai una celebrità cinematografica, fa visita alla clinica psichiatrica dove è stata ricoverata Rumi, molti anni dopo gli eventi drammatici mostrati precedentemente. Questo incontro rappresenta chiaramente come Mima abbia superato la paura di confrontarsi con il suo passato e come sia riuscita a liberarsi dall’eredità della sua precedente vita da idol, a differenza di Rumi.
Appartenere a chi ci guarda: il fenomeno delle idol
In Perfect Blue, Satoshi Kon si addentra in uno dei fenomeni più complessi e discussi della cultura popolare giapponese: le idol, giovani che svolgono attività di intrattenimento e il cui fascino è studiato per conquistare un seguito di fan devoti. Le agenzie spesso reclutano adolescenti senza alcuna esperienza nel campo, presentandole come aspiranti star, principalmente focalizzate sulla musica ma con competenze anche nell’arte drammatica, nella danza e nella moda. Kon offre una rappresentazione accurata di questo fenomeno, mettendo in evidenza il suo impatto sulla società e offrendo una prospettiva morale.
Lo sfruttamento delle ragazze adolescenti da parte delle agenzie è centrale in Perfect Blue, ma non solo. Queste sono obbligate a esibirsi davanti a un pubblico principalmente maschile e poi spesso dimenticate quando diventano troppo “vecchie” per questa professione. Kon va oltre questa critica morale, mostrando come in realtà sia l’intero sistema a poter fare impazzire le persone, trasformandole in mostri. Proprio per avere una prospettiva il più possibile completa, nel film vengono esplorati i punti di vista degli idol stessi, delle agenzie di spettacolo e dei fan, i cosiddetti wota.
Questi ultimi rappresentano il pubblico, l’ingranaggio che muove il sistema. Le agenzie, spinte dal profitto, soddisfano la richiesta del pubblico, anche se moralmente discutibile. Non esitano a sfruttare ragazze innocenti attratte dalle promesse di successo. Kon evidenzia come ciò che viene idolatrato non sia solo l’aspetto fisico, ma anche la purezza, l’innocenza, tipica delle adolescenti: questo è ciò che attira i fanatici, il desiderio di possedere qualcosa di “puro”. Satoshi Kon va oltre la semplice descrizione del lato distorto del fenomeno delle idol, mostrando anche le conseguenze che può avere su individui mentalmente fragili o già affetti da disturbi mentali, come Rumi e Mimaniac. In effetti, ci lascia molti dubbi sui due personaggi: non è chiaro se abbiano agito insieme o separatamente, e persino l’esistenza stessa di Mimaniac è messa in dubbio. Kon, attraverso il suo gioco di illusioni e allucinazioni, confonde la realtà con la finzione, portando lo spettatore a dubitare dell’autenticità di questo personaggio; non è chiaro se sia una creazione della paranoia di Mima o un vero stalker. Il finale, in cui Mimaniac scompare nel nulla dopo aver ricevuto un colpo alla testa, solleva ulteriori interrogativi sulla sua esistenza. Tuttavia, è evidente la natura depravata di entrambi i personaggi e le implicazioni oscure di un fenomeno culturale molto discusso.
Rumi, da fata a strega di un mondo che non esiste più
Per tutta la durata del film, Kon riesce a celare abilmente la grave forma di disturbo dissociativo dell’identità di cui soffre Rumi, omettendo il suo passato e mascherandola dietro la facciata della cura e dell’affetto materno di una tutrice, una figura guida che accompagna la crescita di Mima dal punto di vista professionale e personale. In un colpo di scena finale scopriamo che anche lei, come Mima, è stata una idol in gioventù. Tuttavia, a differenza della protagonista, Rumi non è riuscita a superare quel periodo così magico della sua vita, fatto di innocenza, felicità e amore, strappato dall’inesorabile scorrere del tempo e ha scelto di diventare manager delle nuove idol nell’illusione di non staccarsi mai dal ricordo di quel tipo di vita. Per fare questo, Rumi va addirittura oltre: decide di rivivere attraverso Mima le emozioni e le sensazioni di quel periodo tanto caro. Nella sua mente, si attiva il meccanismo del “transfert” per cui, dopo la finta scena di stupro con Mima protagonista, il disturbo della personalità di Rumi si fa palese e questa inizia ad appropriarsi dell’identità della protagonista. Alla fine del film, la sua mente è così compromessa da costringerla a ricoverarsi in una clinica psichiatrica. Rumi ha completamente perso se stessa, preferendo rifugiarsi in una falsa identità piuttosto che soccombere alla triste realtà dei fatti.
Lo stalker: inseguire l’illusione di una promessa
Mimaniac è un personaggio creato appositamente da Kon per esemplificare il comportamento ossessivo tipico di un wota. Il suo nome stesso, “maniaco” di Mima, lo definisce. Il regista intende mostrare come una semplice passione possa facilmente trasformarsi in fanatismo, specialmente quando il soggetto di quella passione è un personaggio immaginario, come l’idol del gruppo CHAM conosciuta come Mima, non la vera Mima Kirigoe, bensì un personaggio di fantasia creato dallo spettacolo e dai suoi fan. Mimaniac simboleggia le estreme conseguenze dell’infatuazione ossessiva, quando la mania può arrivare ad alterare il nostro punto di vista sulla realtà, compromettendo seriamente l’etica e la morale della nostra vita sociale. Un’ossessione acceca completamente la mente: questo è il monito che Kon rivolge a tutti i “fanatici” del fenomeno idol; la fine riservata a Mimaniac ne è un simbolo.
Nell’ultima scena in cui Mimaniac appare, è disteso a terra, senza vita, nello stesso luogo in cui è stata girata la finta scena di stupro di Mima: è posizionato sul palcoscenico esattamente dove è stata girata quella scena, evidenziando la morte della sua personalità nel momento in cui la sua mente si è disintegrata quando, in maniera analoga a Romi, la sua identità è completamente andata perduta.