Robespierre nell'Enciclopedia Treccani - Treccani - Treccani

Robespierre

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Uomo politico (Arras 1758 - Parigi 1794). Fu tra le maggiori personalità della Rivoluzione francese. Divenuto capo del club dei giacobini, si oppose con intransigenza alle forze rivoluzionarie moderate. Riuscì a prevalere, ma inevitabilmente finì per assumere un potere dittatoriale. Figura al centro di giudizi radicali, prima condannata come emblema dell'estremismo rivoluzionario, poi rivalutata da pensatori come A. Mathiez e dalla storiografia di orientamento marxista, R. è stato successivamente oggetto di una valutazione più equilibrata, che ha collocato la sua politica all'interno di una emergenza rivoluzionaria che richiedeva atti estremi.

Vita e attività

Studente borsista (1769-81) del collegio Louis-le Grand, terminati gli studi, esercitò l'avvocatura ad Arras. Nel 1789 fu eletto deputato agli Stati Generali; intransigente nei suoi principi democratici, si mise in luce alla Costituente, dove si espresse su tutte le maggiori questioni dibattute e i suoi interventi gli valsero grande popolarità presso il popolo parigino; contemporaneamente crebbe la sua influenza nel club dei giacobini, di cui divenne presidente nel marzo 1790. Dopo la tentata fuga del re (20 giugno 1791), attaccò la propaganda bellicosa condotta dai brissottini nell'Assemblea legislativa, temendo una coalizione europea antirivoluzionaria all'esterno e la dittatura all'interno. Iniziate le ostilità (20 apr. 1792), i primi insuccessi militari e il veto del re ai decreti dell'Assemblea volti a rafforzare le difese del paese diedero fondamento alle sue critiche. Il 10 ag. 1792 entrò nel Consiglio generale del Comune parigino, insorto il giorno stesso; di questo fu l'anima fino al suo ingresso alla Convenzione nazionale, che si riunì il 20 sett. 1792; eletto deputato di Parigi, sedette nelle file della Montagna, guidando l'aspra lotta, politica e ideologica, contro i girondini. Dopo la condanna di Luigi XVI, di cui aveva chiesto il pronto giudizio motivato da ragioni di salute pubblica, avviò, con le denunce contro la Gironda portate alla Convenzione (10 apr. 1793) e al club giacobino (26 maggio), l'insurrezione popolare (31 maggio - 2 giugno) che abbatté la fazione girondina. Il 27 luglio entrò nel Comitato di salute pubblica, imprimendovi una rigidissima pratica di governo; soffocate le sommosse girondine e realiste nel paese, eliminò (marzo 1794) la fazione hebertista (alle cui tendenze opponeva una concezione di democrazia fondata sulla piccola proprietà), sacrificando poi alla sinistra i dantonisti, fautori di una politica moderata. Contrario alla campagna di scristianizzazione avviata da J.-R. Hébert, contro il rischio della caduta del controllo morale esercitato dalla religione sostenne e impose (maggio 1794) il culto laico dell'Ente Supremo. Già minato il consenso popolare dall'adozione della legge del Maximum generale, l'intensificazione della repressione e l'allontanamento della minaccia esterna (vittoria di Fleurus, 26 giugno) saldarono nella Convenzione le diverse componenti avverse a R.; nella seduta del 9 termidoro (27 luglio) venne posto sotto accusa e arrestato. Liberato dai suoi sostenitori, fu catturato dalle milizie della Convenzione nell'Hôtel de Ville e giustiziato il giorno successivo.

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