Se uno decide di guardare tutti i film dell’attrice Premio Oscar Penélope Cruz, non potrà non notare che nella maggior parte dei casi, interpreta quasi sempre il ruolo di una madre. Pensateci bene e nella vostra mente, se siete degli appassionati di cinema, scorreranno le figure di quelle donne: madri con i capelli biondi o neri, corti o lunghi, donne sole, infelici, solari, irrisolte, emancipate o tristemente sottoposte a uomini che di interessante non hanno neanche il nome, figurati tutto il resto. “Ho un lato materno fortissimo da quando ero piccola”, ci spiega quando la incontriamo alla 79esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia dove è arrivata per presentare L’immensità, il nuovo film di Emanuele Crialese in concorso ufficiale. “Ho fatto sette film con Pedro Almodovar e in cinque sono una madre, non so perché. Pensandoci, poi, ho capito in realtà che la maternità mi appartiene, perché è un mondo infinito sempre da scoprire, così come la famiglia”. Nel film - prodotto da Wildside e distribuito da Warner dal 15 settembre – è Clara, una donna che vive nella Roma degli anni ’70, madre di tre figli. Una di loro, Adriana (Luana Giuliani), è una dodicenne che vuole essere un maschio e farsi chiamare Andrea con tutto ciò che la cosa comporta. Clara all’inizio non capisce, pensa che la ragazzina abbia dei disturbi psichici, poi però riesce a trasformare quell’insicurezza e a fare in modo che la sua insoddisfazione vada ad unirsi al suo dolore, diverso, ma non per questo meno profondo.

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“Quella donna non è pazza – precisa più volte la Cruz - ma in lei c’è la voglia di una sufficiente follia, necessaria per poter sopravvivere”. Ce lo dice in un italiano perfetto, una delle tante lingue che parla con grande capacità oltre allo spagnolo. “È una donna infelice, intrappolata nella famiglia e nella casa in cui vive. Il suo matrimonio finito, ma resta saldamente una madre complice dei suoi figli, soprattutto di Adriana, così diversa e anche lei infelice che attende gli alieni che la portino via in un altro mondo in cui sentirsi meglio e chiamarsi diversamente. Tra madre e figlia, c’è fortissima connessione nel loro sentirsi in gabbia, senza possibilità di scappare, nel non detto, nel loro scambio di sguardi c'è tutto”. “Per Clara, fingere è il suo forte, ma a un certo punto non ce la fa più. La violenza all’interno delle mura domestiche è un male silente, ma pericolosissimo della nostra società. A pagarne le conseguenze, non è solo la vittima diretta, ma soprattutto i figli che assistono e subiscono. I bambini – aggiunge – vivono una paura profonda quando le cose non vanno bene in famiglia. Tanti, tantissimi, purtroppo, possono raccontare esperienze del genere e non è certo un caso che Emanuele (il regista, ndr) abbia voluto raccontare questa vicenda dal punto di vista dei bambini. I genitori dovrebbero dar loro una sicurezza, ma non sempre è così. I bambini nel film – davvero ben scritto da Crialese con Francesca Manieri, Vittorio Moroni - non si sentono al sicuro e io stessa, che interpreto la madre, mi trasformo in una bambina anche io che ha bisogno di essere ascoltata, rassicurata ed amata”. La soluzione, è reagire e lei riesce a farlo coinvolgendoli, trasformando quella casa/prigione anni ‘70 in qualcosa di diverso, grazie a Raffaella Carrà, scatenandosi – e facendo scatenare i tre ragazzini - a ballare Rumore. "Sono sono pazza di Raffaella da sempre, confessa la Cruz, cantavo le sue canzoni a squarciagola per tutta la mia famiglia, è stata una donna molto importante per me”. Nel film, dichiaratamente autobiografico per il regista, Cruz è una madre che – come la definisce lei – “rappresenta tanti tipi di madre nella complessità di questo ruolo”. Bravissima anche la ragazzina che non accetta la sua identità sessuale, un personaggio che prende spunto dalla vita personale di Crialese, che nel suo coming-out veneziano, ha ribadito che quello di Adriana è il suo punto di vista. Il regista Crialese, infatti – che è tornato al Lido dopo aver portato nel 2006 Nuovomondo, premiato con Leone d’Argento e candidato all’Oscar come miglior film straniero - consegna così a tutti un’opera che affronta quella parte della sua biografia che l’ha visto nascere biologicamente donna e successivamente assumere la propria reale identità di genere, quella maschile. Una storia molto intima di un’Italia che c’è stata e che c’è ancora. “L'Italia è la mia seconda casa – conclude l’attrice spagnola - amo questo Paese dove sono sempre stata accolta e il nostro è anche un legame cinematografico. Qui, come in pochi altri posti al mondo, sono felice”. E se lo dice lei – definita da Crialese come “una sciamana, una donna d’altri tempi, il mistero, l’assoluto” – c’è da crederle.

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