Patrizia Cavalli in cinque poesie

5 poesie per ricordare Patrizia Cavalli

L'urgenza fisica di vivere

7 minuti di lettura

Scomparsa un mese fa, il 21 giugno 2022, la poetessa Patrizia Cavalli ha regalato a tutti noi versi di un fulgore difficile da dimenticare.

Nata a Todi nel 1947, esordisce con Le mie poesie non cambieranno il mondo nel 1974. La sua vita letteraria è molto prolifica: seguono, sempre per Einaudi, le raccolte Il cielo (1981), L’io singolare proprio mio (1992) — entrambe riunite poi nel medesimo anno in Poesie (1974-1992). Proseguono poi le pubblicazioni di Sempre aperto teatro (1999, Premio Letterario Viareggio-Repaci), Pigre divinità e pigra sorte (2006, Premio Dessì), Datura (2013) e Vita meravigliosa (2020).

Quest’ultima opera si interroga in particolare su malattia e morte: quasi un preludio, un grido lanciato verso l’inevitabile. Il suo unico approdo alla narrativa si rispecchia in una raccolta di prose, Con passi giapponesi (2019), vincitrice del Premio Campiello – selezione Giuria dei Letterati.

Gli esordi: la nascita di una lirica provocatoria e indimenticabile

La sua prima raccolta di poesie, dal titolo pungente e provocatorio Le mie poesie non cambieranno il mondo, esce nel 1974 grazie all’appoggio di Elsa Morante. Poco dopo la loro uscita, i suoi versi furono definiti esistenziali, sulla scia di mostri sacri come Sandro Penna e Pier Paolo Pasolini.

Intrisa di un sentimentalismo che non è mai fine a sé stesso, la poetica di Patrizia fu in grado di mantenere grande promessa anticipata da Elsa Morante.

Da sempre tesi nella dicotomia disperazione-speranza, i versi di Patrizia Cavalli irrompono con una naturalezza tale negli occhi di legge che è difficile dimenticarsene.

Qualcuno mi ha detto

che certo le mie poesie

non cambieranno il mondo.

Io rispondo che certo sì

le mie poesie

non cambieranno il mondo.

da Le mie poesie non cambieranno il mondo, 1974

Diretta, schietta e semplice: l’impasto lirico di Patrizia Cavalli è qualcosa che squarcia, opprime, e al tempo stesso è salvifico. Parla la lingua di ogni ceto sociale. L’uso della metafora è lezione di stile, inizia e comincia dove partono e finiscono le sue poesie; spesso brevi ma dense, fulmini in grado di risvegliare dal torpore.

Bene, vediamo un po’ come fiorisci,

come ti apri, di che colore hai i petali,

quanti pistilli hai, che trucchi usi

per spargere il tuo polline e ripeterti,

se hai fioritura languida o violenta,

che portamento prendi, dove inclini,

se nel morire infradici o insecchisci,

avanti su, io guardo, tu fiorisci.

da Poesie, 1999

Leggi anche: Carlo Castellaneta, storia di un oblio

La lotta contro il giogo dell’amore

Forse più meditata e ricercata, la raccolta Il cielo si lega al concetto di epifania causata dall’assenza dell’amato/amata. Costretta tra un desiderio di librarsi e di raccontarsi in altre formule, l’amore appare qui forse più come un giogo, qualcosa a cui non si può rinunciare ma che diventano agonia, prigionia e sofferenza. La solitudine e il saper rimanere con la solitudine della propria anima appaiono gli unici rimedi possibili.

Adesso che il tempo sembra tutto mio

e nessuno mi chiama per il pranzo e per la cena,

adesso che posso rimanere a guardare

come si scioglie una nuvola e come si scolora,

come cammina un gatto per il tetto

nel lusso immenso di una esplorazione, adesso

che ogni giorno mi aspetta

la sconfinata lunghezza di una notte

dove non c’è richiamo e non c’è più ragione

di spogliarsi in fretta per riposare dentro

l’accecante dolcezza di un corpo che mi aspetta,

adesso che il mattino non ha mai principio

e silenzioso mi lascia ai miei progetti

a tutte le cadenze della voce, adesso

vorrei improvvisamente la prigione.

da Il cielo, 1981

Sette anni dopo la poetessa pubblica  L’io singolare proprio mio, dove il respiro e il ritmo si fanno più intimi, l’autrice si indaga e indaga il proprio corpo, il proprio sentire; il corpo diventa un oblungo, un prolungamento della mente – a tratti nemica, a tratti benefattrice.

A seguire, a certificare il suo sempiterno amore per la formula teatrale (non dimentichiamo le sue traduzioni per Einaudi dell’Anfitrione di Molière e il Sogno di una notte d’estate di Shakespeare), vede la luce Sempre aperto teatro (1999), seguito da La guardiana (2005), Pigre divinità e pigra sorte (2006), Datura (2013) e infine Vita meravigliosa (2020).

Emblematico il titolo della sua penultima raccolta Datura (2013) che richiama il nome di un fiore da cui si può estrarre una sostanza dai potenti effetti ipnotici e allucinatori.

Essere testimoni di se stessi

sempre in propria compagnia

mai lasciati soli in leggerezza

doversi ascoltare sempre

in ogni avvenimento fisico chimico

mentale, è questa la grande prova

l’espiazione, è questo il male.

da Il cielo, 1981

Il congedo con «Vita meravigliosa»

Eterogenea e miscellanea, l’ultima raccolta della poetessa ne certifica la mescolanza di intuizioni, l’impronta di una voce che si è modificata, refrattaria di una saggezza che ha avuto modo di amplificarsi e crescere negli anni. Approda al comico come a un’àncora di salvezza, per salvaguardarsi dall’ineluttabile.

Usa le opposizioni dialettiche per confermare la percezione impalpabile che ormai tutto stia per finire. La scrittura diventa dunque l’unico mezzo contro l’oblio e Patrizia se ne serve fino alla fine.

E me ne devo andare via così?

Non che mi aspetti il disegno compiuto

ciò che si vede alla fine del ricamo

quando si rompe con i denti il filo

dopo averlo su se stesso ricucito

perché non possa più sfilarsi se tirato.

Ma quel che ho visto si è tutto cancellato.

E quasi non avevo cominciato.

da Vita meravigliosa, 2020

Di una vitalità sottesa, i versi di Patrizia Cavalli sono difficili da dimenticare. Comunicano al mondo e gridano un’urgenza fisica di vita, di aggrapparsi alla bellezza delle cose intangibili. Ma parlano anche di infelicità quotidiane, semplici. E per questo immense.

Segui Magma Magazine anche su Facebook e Instagram!

Ester Franzin

Lettrice incallita, amante della letteratura e della lingua italiana in tutte le sue declinazioni. Classe 1989, è nata in un paesino della Pianura Padana. Si è laureata in Storia dell’Arte a Venezia e poi si è trasferita a Rimini, nel cuore della Romagna. Ha frequentato la scuola Holden di Torino e pubblicato il suo primo romanzo «Il bagno di mezzanotte».

10 Comments

  1. ” Ma parlano anche di infelicità quotidiane, semplici. E per questo immense.”
    Molto bene, la tua recensione mi ha fatto capire di più e meglio la poesia e anche la poesia di Patrizia Cavalli. Grazie

  2. Nel mio giardino i cespugli di Datura sono in piena fioritura. I calici bianchissimi si aprono la sera e sfioriscono il mattino, sembrano lampade accese che illuminano la notte, ogni tipo di notte…come le poesie di Patrizia.

  3. Questo incontro mi rende felice
    Bellissima esposizione .
    Mi ha restituito a me stessa oggi che stavo quasi perdendo coraggio

  4. E una penna che in modo proprio incomparabile ha fato spiegare situazioni nella vita che tanto assomigliano e altretanto cambiano . Mi sono inamorato legendo le poesie

  5. Amo la poesia perché parla e fa vedere la vita che non si vede, e Patrizia Cavalli è struggente, profonda e sa entrare con una elegante semplicità dentro l’anima e ne Abbiamo così tanto bisogno che trovare chi ci accompagna è, lo definirei, un miracolo.

Lascia un commento

Your email address will not be published.