One Second Recensione

One Second, la recensione: Zhang Yimou, cinema e sentimento

17 ottobre 2021
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Presentato in selezione ufficiale alla Festa del Cinema di Roma, il film del regista cinese a lungo ostaggio di non meglio specificati problemi di post produzione debutterà nei cinema italiani con Fenix Entertainment e Europictures. Un frammento di cinema nel deserto dei contenuti.

One Second, la recensione: Zhang Yimou, cinema e sentimento

Nell'era dei contenuti, è diventato così facile ormai riconoscere quando ci si trova di fronte a un film vero.
A qualcosa che mette in scena sullo schermo - meglio grande, ma anche piccolo, non è quello il punto - immagini che hanno un senso, un significato: estetico, narrativo, emotivo, storico, sentimentale. Immagini fatte di spazi, di paesaggi, luoghi e soprattutto persone, anzi personaggi, o forse il contrario. Personaggi che si muovono dentro le immagini con scopo preciso, anche quando ondivago, e che non sono pose, manichini, adattamenti di storie di Instagram o evoluzioni di vecchi fotoromanzi. Personaggi che dentro quelle immagini, con le parole e i silenzi, i gesti e le immobilità, sono capaci di veicolare qualcosa. Non il messaggio, per carità, figuriamoci il Tema: semplicemente - si fa per dire - un racconto. E, quindi, dei sentimenti.
Sommersi soprattutto da immondizie visuali, per parafrasare un Maestro, basta un niente a capire che quello lì sullo schermo è un film, è cinema. Basta o dovrebbe bastare: ma qui si aprirebbe un capitolo troppo lungo. Quindi, per farla breve: One Second è cinema, Zhang Yimou è un regista. E non tutti quelli che fanno film, oggi, sono registi.

Zhang è un regista, Liu Haocun e Zhang Yi sono due attori.
Sono loro i protagonisti di questo film. Un evaso e un'orfana emarginata che, tra i deserti della provincia cinese del Gansu negli anni della Rivoluzione Culturale, s'incontrano e si scontrano, con tocchi che vanno dal dramma storico alla comica chapliniana, attorno a una pizza (quella che contiene pellicola, non quella che si mangia). Lui vuole vedere a tutti i costi la figlia che gli è stata tolta nelle immagini del cinegiornale destinato ad aprire un film di propaganda contenuto in quella scatola di latta; lei è alla ricerca di pellicola per realizzare un paralume, e raddrizzare un torto, e fare un favore al fratellino.
La lotta tra i due per il possesso della pellicola diventa un duello a tre quando finiscono di fronte a "Mr. Film" (Fan Wei), proiezionista di partito, e ovviamente feticista della celluloide e dell'immagine, in quel remoto angolo di Cina dove il Cinema è sogno collettivo, e non solo politica.

Non serve dire molto altro. Perché è ovvio che questi tre personaggi sono destinati a intrecciare i loro destini in maniera intima e complessa, legati insieme da qualche metro di pellicola e da tonnellate di sentimenti umani e universali: quelli semplici, basilari, essenziali. Quelli che riguardano padri, figlie, famiglie. Di sangue e non. E il racconto è altrettanto semplice, di conseguenza avvincente. Senza fronzoli o vezzi d'autore.
One Second non sarà forse il capolavoro di Zhang. Non sarà, forse, fino alla fine, il film che il regista voleva, e che, forse, è stato fermato dalla censura cinese (è possibile che i ritardi di post-produzione che hanno tenuto il film fermo per due anni fossero dovuti alle richieste di un nuovo montaggio da parte del governo cinese). Può essere anche che, in alcuni fugaci momenti, si rischi troppo l'effetto Nuovo Cinema Paradiso. Ma non importa.
Zhang è un regista, i suoi sono attori, e One Second è cinema. Un frammento di cinema nel deserto dei contenuti.
Coi tempi che corrono, basta e avanza.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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