venerdì 26 aprile 2024
Domani l'appuntamento del Papa con seimila "nonni". Parla l'arcivescovo promotore della Fondazione "Età grande". «Viviamo l'invecchiamento della popolazione coma un'opportunità»
Nonni giocano con i nipoti

Nonni giocano con i nipoti - Dal Web

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Sarà intitolato “La carezza e il sorriso” l’incontro di domani nell’Aula Paolo VI, in Vaticano, tra il Papa e seimila tra nonni e nipoti. Un appuntamento promosso dalla Fondazione “Età grande” voluta dall’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la vita e gran cancelliere del Pontificio Istituto “Giovanni Paolo II”.
Monsignor Paglia, che significato ha questo incontro?
Per la prima volta nella storia umana, convivono in Italia e in tantissimi paesi quattro generazioni insieme: non era mai accaduto prima. È come se fosse apparso, negli ultimi decenni, il quarto piano di un palazzo: venti, trent’anni in più da vivere, l’età in più. Ma sembra che la nostra società della velocità non sappia che farci, quando il corpo e l’aspetto cambiano. Anche se i piani di sotto, le generazioni più giovani, sono stati costruiti grazie agli “intrusi” del quarto piano. Dobbiamo fare in modo che non si pensi che il quarto piano è abusivo. Sono i proprietari del terreno anche quando non lo rivendicano. Il Papa lo sa bene. E sa bene che rischi si corrono se gli anziani sono considerati un peso: «L’esaltazione della giovinezza come unica età degna di incarnare l’ideale umano, unita al disprezzo della vecchiaia vista come fragilità, come degrado o disabilità, è stata l’icona dominante dei totalitarismi del ventesimo secolo», ha ricordato recentemente.
La cultura dominante parla di efficientismo, di giovanilismo, di funzionalismo. Dove sta l’errore?
L’idea di autosufficienza, ossia di non dovere mai dipendere dagli altri, che è così popolare, in realtà è una delle radici dell’infelicità di tanti. La velocità, se taglia fuori un quarto della popolazione, quanti sono già oggi gli anziani, diventa quasi una maledizione. Ognuno di noi ha bisogno, in misura diversa, degli altri. Nonni e nipoti mostrano che in questa relazione c’è vita e c’è futuro, i bambini e gli anziani non potrebbero vivere senza un aiuto. Ma questo può aiutare a guarire un mondo fatto di tante solitudini e dove a forza di reclamare il diritto a farcela da sé tanti cadono e in tanti non ce la fanno.
La vecchiaia è un problema o una opportunità, secondo lei, monsignore?
La vecchiaia fa paura, la si nega mettendola fuori dalla nostra vita delle città, dalle nostre case. Non la si può neppure nominare. Quando si accompagna agli acciacchi, a malattie croniche di cui non si muore e con cui invece si può convivere, le nostre città, le nostre case, i ritmi di vita vanno da un’altra parte. E così diventa, per tantissimi solitudine, quasi sempre in un istituto. Il paradosso è che anche se ci riguarda tutti c’è rassegnazione, si pensa che “tanto per me sarà diverso”, e non si fa niente. La cultura dello scarto contiene questa rassegnazione, come se fosse ineluttabile. Al contrario, anche solo da un punto di vista sociale, nelle famiglie, l’aiuto informale dei nonni vale una legge finanziaria. L’abbiamo calcolato. C’è poi un ulteriore aiuto, questo concreto: i nonni danno ai figli e nipoti 38 miliardi all’anno. Già questi numeri dovrebbero farci riflettere sull’importanza dei nonni per la vita del Paese.
La Fondazione “Età grande” perché è nata, che cosa si propone?
Dobbiamo aiutare la nostra generazione a cambiare la narrazione, i sentimenti, le politiche, o siamo destinati tutti a un futuro, che è già iniziato, di tristezza e solitudine. È una sfida planetaria. L’Italia è in prima linea, ma fra vent’anni in Asia ci saranno metà degli anziani del mondo. L’Europa è già in declino. L’invecchiamento della popolazione è una verità, ma ignorata. È una grande opportunità. Le nostre aree interne, la storia, la vita, la fede, l’arte, la cultura possono vivere in una alleanza anche con chi viene da fuori, gli immigrati, invece di appassire. Può essere un antidoto alla frammentazione sociale, per esempio, reimparare come società a curare gli anziani, quanto più possibile, a casa, con l’assistenza domiciliare integrata, con servizi di prossimità. La casa, da sola - sono le statistiche del Covid-19 che ha falcidiato gli anziani - ha protetto la vita 15 volte di più di qualunque casa di riposo e istituto. Affiancare un nuovo modo di aiutare gli anziani in difficoltà a casa a quello che c’è aiuta le famiglie a non sfilacciarsi e aiuta a guarire in un mondo di solitudini.
Ma come? Lei ha spesso parlato della necessità di un cambio di passo nell’assistenza alle persone anziane: da un sistema di attesa, a uno che va incontro ai cittadini, una sorta di chilometro zero applicato alla assistenza. A che punto siamo con questo obiettivo?
Siamo agli inizi. I decreti attuativi della legge che mette al centro i risultati della Commissione governativa che mi è stato chiesto di presiedere sono stati approvati. I finanziamenti sono ancora un frammento, ma mi auguro che cresceranno, come promesso. La legge ha già avviato questa rivoluzione culturale, sociale e sanitaria. Spontaneamente, con i propri fondi, un terzo delle Asl italiane stanno facendo i primi passi in questa direzione, a riprova che questo è davvero il futuro. Il governo dovrà, però fare la sua parte, o al di là delle buone intenzioni, alla fine, ci aspetta un istituto.
Anziani e nipoti insieme. Non è una illusione che i vecchi possono essere utili in una società che corre?
Gli anziani aiutano l’intera società a non soffocare nel presentismo, niente passato, niente futuro, niente memoria. L’intero cristianesimo è la trasmissione di una memoria, il centro, l’eucaristia, è una memoria che si rinnova ogni giorno e ogni volta. Senza memoria le guerre, i totalitarismi, tornano di attualità, come se fossero il modo normale di risolvere i conflitti. Molti nipoti imparano nello speciale rapporto con i nonni, il significato della preghiera, le parole della preghiera. Può essere un ruolo importante anche nelle nostre comunità cristiane, che a volte ne godono della presenza con i capelli bianchi, ma come un dato di fatto, residuale. Gli anziani sono i testimoni viventi della memoria dell’orrore della guerra mondiale che lascia tutti e tutto peggio di come era prima. E questo oggi, con la guerra mondiale a grandi pezzi è di straordinaria importanza. I nipoti, sensibili all’ambiente, al cambiamento climatico, dagli anziani possono imparare la resistenza al pensiero corrente, quando è antiumano, e il sogno di cambiare la realtà, non solo adattandosi.

Monsignor Vincenzo Paglia

Monsignor Vincenzo Paglia - Ansa

Ha ragione chi sostiene che oggi l’assistenza agli anziani è troppo sbilanciata verso le Rsa e che la maggior parte degli over 75 alloggiati in queste residenze potrebbero rimanere a casa propria se ci fossero l’integrazione assistenziale adeguata?
È un dato di fatto. Ma non bisogna avere paura a creare un secondo modello, intanto a fianco di quello esistente. C’è un grande lavoro culturale da fare. E un grande lavoro concreto per resistere a questa vulgata. “Questo palazzo si è riempito man mano di innumerevoli inquilini e non ce ne eravamo accorti. Lo abbiamo scoperto soltanto, amaramente, durante il Covid. Il quarto piano è stato il più falcidiato, perché li avevamo già scartati. Due terzi di tutte le vittime in Europa sono stati gli anziani, ma quasi tutti in un istituto, perché la casa ha protetto la vita 15 volte di più anche senza interventi particolari. È stata una epifania, ma non è seguito un cambiamento. In Italia ci sono 14 milioni di persone sulle quali non c’è un pensiero politico, economico, sanitario, culturale e neanche religioso. Abbiamo persino paura di usare la parola vecchio.
Non è un sogno impossibile cambiare tutto questo?
Quando nel 2001 la legge 149 ha avviato la chiusura degli orfanotrofi e dei brefotrofi che hanno sostenuto la vita di migliaia, di milioni di bambini per secoli, e dal 2006 ogni bambino ha diritto a un sostegno il più possibile simile a una famiglia vera in una casa, tantissime istituzioni benemerite del mondo cattolico si sono trasformate, ma non hanno diminuito il loro impegno. E così il settore privato. Umanizzare è un guadagno per tutti. Il welfare esistente non ha risposte sostenibili all’invecchiamento della popolazione, o invecchiare per troppi sarà una maledizione. È invece una grande conquista e una benedizione. Vale la pena di lavorarci.


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